Capitolo 4 Ignazio di Loyola e gli Esercizi spirituali
8 Gli Esercizi spirituali
8.3 Sull’importanza dell’Annotazione 20
L’isolamento dal mondo prescritto da Ignazio crea le condizioni affinché tra l’esercitante e la divinità si formi una vera e propria lingua non linguistica224, nuova,
223 Cfr. nota a Romani 8, 19 in Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1995, p. 2433. 224 Cfr. Roland Barthes, Prefazione dell’autore, in Sade, Fourier, Loyola, seguito da Lezione, Einaudi, Torino, 2001.
privatissima e personalissima, solo a loro intelligibile. Per poter assolvere alla propria funzione l’isolamento deve essere tale da far perdere all’esercitante non solo la concezione dello spazio, ma anche quella del tempo, deve cioè operare un condizionamento dell’abitudine. A ciò il ritiro in una stanza oscurata, in un luogo chiuso, possibilmente, isolato ed insolito – esattamente come per i padri del deserto – una diversa pianificazione del tempo – talmente accurata da definire anche la durata dell’immagine da contemplare – accompagnata da un’educazione gestuale: gli esercizi prevedono anche un’educazione del corpo, per cui talvolta sarà opportuno stare in piedi con il viso rivolto verso il cielo, altre volte seduti o in ginocchio o prosternati.
L’isolamento è, ad un tempo, una cassa di risonanza che amplifica le voci e uno spazio vuoto che preserva dall’interferenza di quelle altrui. I vari esercizi, con le loro ripetizioni, ne articolano l’interpunzione, mentre il globale coinvolgimento d’intelletto e volontà, corpo e sensi, sentimenti ed affetti, immaginazione e fantasia costruisce un sistema in grado d’insistere sull’esercitante, penetrando piano piano nel suo mondo e trasformandolo.
In particolare, l’impegno richiesto all’immaginazione e alla fantasia è tale – parte di ogni esercizio implica che si veda, interiormente in idea – che l’orazione travalica i propri limiti trasformandosi in un atto teatrale di cui Ignazio non è, come scrivono Marrone e Barthes, lo scenografo, bensì lo sceneggiatore che riadatta un testo non suo. Il vero scenografo è l’esercitante poiché è a lui che viene richiesto di disegnare il quadro in cui gli attori, ed egli stesso, recitano. Egli è dunque scenografo ed attore insieme. Per questo motivo gli Esercizi sono così poveri di immagini: è l’esercitante stesso a doversele costruire, fa parte del fare esperienza.
Il testo degli Esercizi non solo conduce a fare un’esperienza divina, ma trasmette quella di Ignazio, facendoci conoscere Ignazio di persona, alcune sue inflessioni
caratteristiche, sui gusti, sue passioni e debolezze – financo, in certe meditazioni – il suo impeto cavalleresco, in una parola, per usare un’espressione di Barthes, i suoi biografemi. Il testo parla della persona che lo ha scritto. Di più, parla anche della persona che lo ha ispirato, Dio. Ed ancora: non solo il testo parla della persona, ma nel testo vi parla la persona stessa. Gli autori, con i loro caratteri, sono dispersi nel testo. Vi si può dialogare, li si può ascoltare, odiare, combattere: di nuovo, se ne può fare esperienza viva e diretta. Si produce una co-esistenza in cui gli autori, con la loro scrittura, trasmigrano nella vita del lettore o dell’esercitante ed arrivano persino a scrivere dei frammenti della loro quotidianità. Tale co-esistenza fa sì che il discorso non sia più solo epistemologico, ma drammatico: non vi è più solo il pensiero che pensa il pensiero. Come l’autore non è più uno solo, anche il testo non è più uno, ma molteplici. Oltre ai quattro canonici livelli testuali descritti da Barthes – letterale, semantico, allegorico, anagogico – livelli che corrispondono ai diversi tipi di referenti, se ne possono rintracciare altri. Per esempio, Dio scrive il proprio testo non solo come risposta al testo dell’esercitante, ma molto prima, egli è già presente quale co-autore del testo degli Esercizi scritto da Ignazio, essendone l’ispiratore.
Il coinvolgimento sensoriale sanzionato dagli Esercizi è progressivo: poiché i sensi devono essere educati non possono essere attivati simultaneamente, come accade nel teatro o nel cinema, ma devono esserlo in successione. Il primo senso ad essere chiamato in causa è sempre il visivo, di poi l’uditivo, gli altri a seguire225. Il contenuto dell’immagine non è statico, fisso come in un quadro, ma vivo: in essa la vita di Cristo si muove così che, in un certo qual modo, l’immagine è materiale, ed è proprio in virtù di questa sua materialità che tutti gli altri sensi possono trovare un loro ruolo nella
composizione di luogo226. L’immagine non è una semplice visione, in cui solo si vede o si reagisce agli stimoli luminosi, ma si compone in una veduta, cioè nell’esperienza attuata, nell’esercizio della facoltà del vedere.
Queste immagini in movimento rendono evidente che ciò che si cerca negli
Esercizi non è il senso di un contenuto concettuale, bensì esperienziale, ove il concetto è
intriso d’esperienza; si cerca la determinazione dell’astrazione nella sua particolarizzazione in un corpo, in specie in quello cristico – da osservare ed imitare – e in quello personale – che prende parte al movimento della veduta e in cui effettivamente si attua l’imitatio Christi. Le immagini in movimento producono a loro volta un movimento sensibile che si palesa, in ultimo, nelle desolazioni227, nelle consolazioni228 e
nelle devozioni. Ma in primo luogo si palesa nei desideri. Queste immagini agiscono creando nuovi pensieri, riflessioni e desideri che insistono su quelli vecchi, usuali e stratificati e vi entrano in tensione. Così una enorme massa di desideri gioca la propria partita nel gioco degli Esercizi che diventano un campo d’esperienza temibile e attraente allo stesso tempo. In un certo senso gli Esercizi conducono e raccontano la storia di questo faticoso gioco di ricerca dei segni della volontà di Dio dispersi “sia dentro la persona – capacità intellettive e volitive, memoria e fantasia, sentimento e affetti, temperamento e carattere, inclinazioni, tendenze ed abitudini, talenti e carismi, esperienze, ricordi, salute…; – sia fuori – circostanze di persone, tempo, luogo”229. Tutto ciò rende
226 Come rafforzativo logico alla composizione di luogo, Ignazio si avvale sia di un procedimento retorico derivante dalla seconda sofistica, che di una più squisitamente cristiana.
227 La desolazione è una mozione interiore operata dallo spirito malvagio che causa oscurità – cioè oscura le facoltà interiori così che divenga difficile discernere, mentre è proprio di Dio dare giudizio e non toglierlo – e turbamento nell’animo, inclinandola verso tutte le cose basse e terrene, provocando inquietudine data da agitazioni e tentazioni che muovono a sfiducia totale, pauroso scoraggiamento, disperazione e conseguente abbandono delle proprie intenzioni, incapacità di provare amore, tutte cose che lasciando l’anima pigra, tiepida, triste e separata dal suo Creatore.
228 La consolazione, al contrario della desolazione, proviene dal Consolatore, dallo Spirito Santo, che infiamma dell’amore del Creatore aumentando speranza, fede e carità e ogni letizia interna che chiama e attrae altre cose celesti. Cfr. 3a regola per il discernimento degli spiriti.
229 Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali. Ricerca sulle fonti. Con testo originale a fronte a cura di Pietro Schiavone sj, op. cit., p. 42.
estremamente chiaro come la comprensione della volontà di Dio non sia qualcosa di meramente intellettuale, bensì qualcosa che investe tutte le strutture e le dimensioni dell’essere e dell’essere nella sua esistenza storica. Questo è uno dei motivi per cui non è inesatto dire che l’intera costruzione degli Esercizi si ancora alla filosofia della storia.
L’intera struttura è pensata per saldarsi alla storia sempre di più ad ogni progresso: questa infatti è la valenza della ripetizione negli Esercizi. Ignazio chiede che ogni esercizio venga fatto e rifatto, cioè che venga ruminato, così che, come ricorda il cardinal Martini, in questo lungo itinerario si possa passare dal semplice accostamento dei misteri della vita di Cristo alla penetrazione esegetica. Ad ogni ripetizione i particolari possono cambiare perché l’esercizio in sé segue l’andamento interiore dell’esercitante: si può vedere qualcosa di diverso e nuovo o avere una chiarezza maggiore della veduta o anche un coinvolgimento più profondo e attivo, si può anche cambiare punto di vista. Non si ha quindi una semplice, meccanica ripetizione dell’esercizio. Di poi, ogni ripetizione è, anche, insieme, una ricapitolazione: nel rifare l’esercizio lo si confronta con quello precedente, ne si considerano le variazioni, si verifica che la progressione sia nella direzione del più e meglio e non in quella della stagnazione.
Nelle quattro settimane il progresso verso il meglio, e dunque anche verso la scelta, si divide e scandisce in quattro dinamismi, o meglio il dinamismo degli Esercizi fa quattro movimenti procedenti l’uno dall’altro: deformata reformare, reformata
conformare, conformata confirmare, confirmata transformare. In altre parole: cosa
accade negli Esercizi? Accade che due immagini si fronteggiano, una è quella di Cristo e della sua vita, l’altra è la propria immagine personale. Lo scopo degli Esercizi è trasformare la propria immagine alla luce di quella di Cristo, rifulgere della stessa luce di bene.
Nella prima settimana ogni esercizio svolto de-forma l’immagine dell’esercitante, si muove in direzione della kenosis: l’esame di coscienza – che altro non è se non la risposta alla domanda «Chi sono io?» nell’esame dei propri pensieri, parole ed opere – ne è il primo atto fondante. Ivi ci si priva della propria forma, resta l’essenza, e ci si prepara ad assume un’altra forma, un’altra immagine, quella cristica, ci si ri-forma.
Nella seconda settimana, dopo essersi disposti ad essere plasmati, si familiarizza con la nuova forma ed in ultimo vi ci si adatta dentro, cioè ci si distende, si respira in esso la stessa aria di Cristo.
Nella terza settimana si decide se voler davvero aderire a Cristo: dopo avervi vissuto insieme ed aver cercato d’imitarlo per un certo tempo, bisogna scegliere se diventare quell’immagine che si cerca d’imitare o meno. Questo è il tempo della scelta, la quale implica un certo grado di dolore, in cui si tirano le fila della propria vita230.
La quarta settimana è quella in cui la scelta si concretizza nella propria esistenza trasformandola. Le ripetizioni dovrebbero in un certo qual modo garantire la coscientizzazione – progressivamente sempre maggiore – del processo dinamico degli
Esercizi. Essi alla fine non sono che un processo di decostruzione a cui ne segue uno di
costruzione, esattamente come per l’edificazione di un palazzo o per la sua fortificazione. E però, come comprendere effettivamente i segni della volontà di Dio? Ignazio lo spiega nella sezione delle Regole proprie per il discernimento degli spiriti ed in quelle per sentire e conoscere gli scrupoli, poste, nel testo, a seguito delle quattro settimane. La manifestazione della volontà divina si stabilisce già a livello del corpo, in quelle che
230 È bellissimo, in questo senso, un commento del cardinal Martini a questa settimana, in cui dice che affinché l’elezione, cioè la scelta, sia ben fatta, chiara, decisa, deve passare attraverso la passione di Cristo della terza settimana, cioè attraverso l’esperienza della paura della morte, della fallibilità – usando espressioni già usate in questo lavoro, si potrebbe dire la paura di non riuscire a sopportare il peso del proprio destino, il dolore che il cambiamento porta seco, lo strappo che si sente nella vita che si torce, nelle ossa che si rompono per venire rinsaldate. Quello della IIIs è il tempo in cui si passa dal kērigma blaterato a quello sperimentato. Cfr. Martini C. M., I misteri della resurrezione, in I misteri della vita di Cristo negli Esercizi, CIS, Roma 1978, p. 94-97.
Ignazio chiama devozioni, piccole teofanie dirette che confermano le decisioni prese: allegrezza, sentimenti di calore, di luce, di avvicinamento e d’elevazione, associate a lacrime, loquela – o il suo contrario – sensazioni cinestetiche che lo Spirito Santo produce nell’anima. Segno tra i segni, che fa seguito alla decisione, è la pace con le sue consolazioni. Questa è, per usare un’espressione di Barthes, la marca di Dio, cioè il segno della volontà di Dio, come spiega il punto c della 2a regola per il discernimento degli spiriti, è “proprio del buono spirito dare coraggio e forze, consolazioni, lacrime, ispirazioni e quiete, facilitando e togliendo tutti gli impedimenti”231 in coloro i quali
salgono nel servizio a Dio di bene in meglio.
Sottesa a queste Regole è l’idea, anch’essa dai tratti molto cavallereschi, che lo spirito proprio di ogni uomo sia conteso – come un bottino, o ancora meglio, come una dama da conquistare – tra lo Spirito Santo che inclina verso il bene ed uno spirito malvagio che gli si oppone. Ignazio spiega in che modo tali spiriti agiscano su quello dell’uomo attraverso le desolazioni e le consolazioni232, come sui vari tipi di uomo, come nelle varie particolari condizioni spirituali, e come durante il progresso di purificazione.
Quest’idea ne sottende un’altra ancora più importante, cioè che tutto provenga infine da Dio, che tutto sia dono e grazia, financo le desolazioni, che assumono una valenza educativa, vari modi per far conoscere all’uomo la propria natura.
Queste Regole, sebbene pensate come correlate agli esercizi, rimangono valide ed utili sempre, anche al di fuori del loro setting, come strumenti di igiene quotidiana, esattamente così come lo stesso Ignazio le aveva originariamente pensate e raccolte nei giorni di Loyola e Manresa.
231 Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali. Ricerca sulle fonti. Con testo originale a fronte a cura di Pietro Schiavone sj, op. cit., p. 386.
Probabilmente è nelle Addizioni ai vari esercizi, Regole in generale, ed in specie in quelle della I233 e IIs, che Ignazio mostra maggiormente il proprio acume psicologico e il proprio ancoraggio alla filosofia della storia. Nella 6.a regola consiglia all’esercitante di annotare la storia della tentazione, cioè del passaggio, del modo in cui un’iniziale gioia spirituale si trasforma in un’intenzione depravata, “perché con tale esperienza conosciuta ed annotata, si guardi per l’avvenire dai suoi consueti inganni”. La pratica dell’annotare era già diffusa nell’antichità, i Pensieri di Marco Aurelio non ne sono che una testimonianza, pratica che molti secoli dopo fu massimamente utilizzata dallo stesso Nietzsche anche se con un’operazione di segno inverso: per esempio, i Tentativi di
autocritica dell’86 non sono tanto e solo in vista dell’avvenire, ma essendo, come già
detto, la storia di un divenuto, ricapitolano Come si diventa ciò che si è; solo in quanto ricapitolazioni sono, o possono essere, anche considerati, al contempo, quali esercizi spirituali di discernimento e indicazioni di metodo per l’avvenire. Ancora più pregnante è, probabilmente, la 8.a regola che ritorna ancora una volta a focalizzare il principio della discrezione, il quale è sempre comprensione del momento storico esistenziale, comprensione e ricerca del tempo e dell’ora “più favorevole per parlare”234. La discrezione – quale criterio proprio della filosofia della storia come presente – è per Ignazio tanto importante da essere richiamata ancora in conclusione del testo degli
Esercizi, quale sotteso nella 16.a regola per il retto sentire nella Chiesa: nonostante le
233 Le Addizioni della Is sono importantissime in funzione di questo studio perché delucidano il ruolo fondamentale del corpo all’interno dell’antropologia ignaziana. Ci si priva della conveniente razione di cibo, del necessario tempo del riposo e si mortifica la carne infliggendole dolore sensibile, ma mai sino all’infermità; poiché servono solo a rendere più malleabile lo spirito e l’anima più libera e più adatta al servizio divino gli esercizi di penitenza carnale devono spingersi solo fino al punto in cui si raggiunge un riequilibrio della ragione e della sensibilità. Dunque essi stessi sono raccomandabili solo per brevi e particolari periodi. Non ci si deve flagellare a sangue perché il corpo, che è tempio di Dio e come tale va trattato: un’anima sana in un corpo sano è più adatta al servizio perché può fare molto di più. Tutto ciò che danneggia le regolari funzioni corporee deve essere eliminato o guardato con sospetto. Ignazio non è incline alla mortificazione dei sensi per cui sconsiglia tali pratiche anche a coloro che invece ne sentono desiderio esortandoli ad allenarsi piuttosto nell’arte dell’obbedienza e nell’abnegazione della volontà.
indicazioni dettate dagli Esercizi abbiano una loro validità permanente, resta comunque la necessità di applicarli e adattarli alle problematiche e alle esigenze dei tempi, cioè rispondere alle istanze del presente.