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La filosofia come mezzo di ricomposizione della scissione umana

Capitolo 1 Sulla spiritualizzazione n/della natura umana

1.7 La filosofia come mezzo di ricomposizione della scissione umana

Il giovane Nietzsche della terza Inattuale si affida precisamente a quest’idea di destinazione alla libertà – mediante un’educazione del sentimento del singolo capace di guidarlo nella vita, in ogni sua scelta – alla ricerca critica del fondo della verità; all’idea di un’educazione che esprima: “perché e a qual fine proprio ora siamo nati” e che non permetta che l’esistenza assomigli ad una casualità priva di senso; all’idea del gravoso compito della cultura di “educare un uomo ad essere uomo”52.

Inattuale rivolta ai giovani, così come lo era stata la Prolusione schilleriana.

Entrambe parenetiche; entrambe nate dalla volontà filosofica di dar vita ad un individuo che possa redimere l’esistenza, dire di sì alla vita; entrambe fondate sulla convinzione che primo motore di questa redenzione debba essere, non tanto la sfera politica, quanto quella culturale – in Schiller nella figura del filosofo e dell’artista, nel primo Nietzsche

anche in quella del santo –; entrambe immerse nella descrizione della crisi della civiltà e

della critica alla società moderna; entrambe un invito all’azione, ad un’azione che porti alla trasfigurazione e conoscenza di sé ma che, attraverso se stessi, giunga, infine, a tutti53.

Se per Schiller l’arte genera armonia nella totalità scissa, per Nietzsche essa, per poter generare armonia – ma anche conoscenza e libertà – deve prima mostrare con veracità il fondo originario e terribile su cui posano le moderne pretese di civiltà.

In Nietzsche il dramma della scissione tinge tragicamente la condizione esistenziale umana. L’uomo si scinde dalla propria prima destinazione – e da tutte le altre diverse destinazioni – rinunciando consapevolmente alla propria unicità e unità. Egli

sceglie di scindersi o, ancora più gravemente, si lascia scindere: “Ogni uomo in fondo sa

52 F. W. Nietzsche, Schopenhauer come educatore, Adelphi, Milano, 2014, p. 10. Da notare come ricorra l’espressione schilleriana della Prolusione.

benissimo di essere al mondo solo per una volta, come un unicum, e che nessuna combinazione per quanto insolita potrà mescolare insieme per una seconda volta quella molteplicità così bizzarramente variopinta nell’unità che egli è: lo sa, ma lo nasconde come una cattiva coscienza – perché?”, per paura del prossimo e, al fondo, per pigrizia, perché teme i fastidi che gl’imporrebbe un’incondizionata onestà e nudità.

A questa pigrizia si assomma, o forse addirittura consegue, quell’innegabile enigmaticità umana che rende il compito di conoscersi, e così destinarsi, estremamente difficoltoso: “Come può l’uomo conoscersi? Egli è una cosa oscura e velata; e se la lepre ha sette pelli, l’uomo può trarsene settanta volte sette e non potrà dire: «ecco, questo tu sei realmente, questa non è più corteccia». Inoltre è un inizio tormentoso, rischioso scavare se stessi in tal modo e discendere con violenza per la via più breve nel pozzo del proprio essere”.

Un compito, è innegabile, estremamente difficoltoso, ma non impossibile. Come, dunque, essere se stessi?

Guardi, la giovane anima, indietro nella sua vita, e chieda: che cosa finora hai amato veramente, che cosa ti ha attratto, che cosa ti ha dominato e in pari tempo ti ha reso felice? Metti davanti a te la serie di questi oggetti venerati e forse essi ti mostreranno […] la legge fondamentale del tuo te stesso vero e proprio. Confronta questi oggetti, guarda in che modo l’uno completa, allarga, supera, trasfigura l’altro, in che modo essi formano una scala sulla quale fino ad ora ti sei arrampicato verso te stesso.

Ivi, lo schilleriano “risalire nel pensiero” seguendo quei segnavia – Wegzeichen – che, mentre nella Prolusione guidavano lo storico universale nel risalire “dalla situazione più recente del mondo all’origine delle cose” 54, nell’Inattuale guida il singolo alla conoscenza di sé – risalendo, appunto, dalla condizione attuale del proprio sé sino alla sua origine – alla legge fondamentale del se stessi vero e proprio, alla comprensione del

54 Cfr. l’espressione in F. Schiller, Che cosa significa storia universale e per quale fine la si studia? Una prolusione accademica, in Lezioni di filosofia della storia, op. cit., p. 69.

modo unico, irripetibile e produttivo in cui la natura si particolarizza nel singolo, dialoga con la persona, e si compie.

Questo risalire nel pensiero è la pietra angolare dell’atteggiamento prospettico nicciano, quasi, si potrebbe azzardare, un’indicazione di metodo per la conquista del

grande stile. Come si evince dalle lettere e dalle sue opere, in Nietzsche esso è un

esercizio spirituale davvero costante, quotidiano, di presenza nella distanza, di autocomprensione e ri-centratura di sé che frappone un’indispensabile distanza dagli eventi e dai pensieri del presente in vista di una loro riconquista più perfetta e consapevole. Esso è la rete con cui Nietzsche raccoglie, collega ed unisce lo svolgersi di ogni suo pensiero, provocazione, descrizione, oltre che lo strumento attraverso cui al lettore è offerta una loro chiave d’accesso; la lente attraverso cui continuamente rimette a fuoco, legge e ripercorre sé, la storia e sé nel proprio agire storico. Tale dinamicità della distanza – una distanza sempre relativa che essendo ancorata al presente della vita vissuta necessita d’esser ininterrottamente rivista – riconsegna un Nietzsche-filosofo in condizioni sempre provvisorie, i cui concetti e categorie seppur problematici, non sono mai però meramente dogmatici o incoerenti, ma frutto di un serrato confronto evolutivo con la realtà storica, per definizione, sempre in movimento.

Precisamente in tale dinamismo la filosofia della storia si fa eminentemente carnale: è ricerca di senso in una storia che è la propria storia. Ed è soltanto in tale carnalità, come vita filosofica, come vita del filosofo, che diventa possibile per Nietzsche comprendere la filosofia: “Dunque si deve innanzi tutto pensare se stessi, laddove si tratta del pensare; un filosofare reale è possibile laddove il filosofo è condotto da una «cura sui». Il pensare deve stare nella vita e ha soltanto così la sua lealtà e libertà, la sua dinamicità e la sua capacità di correggersi prontamente e provvisoriamente così da poter

iniziare sempre di nuovo” 55. Ivi si fa evidente come con Nietzsche la filosofia torni ad essere concepita quale esercizio spirituale secondo l’intendimento dell’antichità greca e della tarda antichità greco-romana:egli non progetta alcun sistema di pensiero costruito architettonicamente, il suo filosofare è piuttosto un continuo movimento che nasce dall’esperienza viva e mira a correggere i meccanismi di unilateralizzazione prodotti dalla scissione delle facoltà; “ciò che Nietzsche fa e vuole è filosofia nella tradizione socratica, non conta la dottrina isolabile, ma colui che fa filosofia, il singolo che è garante di ciò che pensa e fa con la sua forza persuasiva e la sua sincerità”56.

Come imparare ad avere cura di sé, correggersi e iniziare di nuovo, in breve ricomporre la scissione, è il grande sotteso del pensiero nicciano – l’eterno esercizio che ritorna – che trova una propria prima esplicita formulazione programmatica57 nell’Inattuale su Schopenhauer sviluppandosi fino ad Ecce Homo. Nel proporre Schopenhauer quale educatore, Nietzsche non solo porta avanti una ferocissima critica alla moderna cultura tedesca ed al suo sistema educativo, ma si propone egli stesso, quale araldo di un’educazione in grado di trasfigurare la physis, di correggerne le stoltezze e goffaggini, conciliando nella corporalità concreta della persona, il conoscere e l’essere. Mettendosi alla sequela di quegli uomini che si sono destinati alla verità dandone coraggioso esempio con la loro vita visibile – che conosciutisi per ciò che sono, hanno osato edificare la loro vita come un’opera d’arte, divenendo educatori e liberatori, capaci d’indirizzare le giovani anime al senso originario e alla materia fondamentale del proprio essere – Nietzsche stesso intraprende, e nei suoi scritti fa intraprendere al lettore, un cammino di liberazione guidato, da uomo a uomo, diverso per ognuno: “liberazione,

55 Gunter Figal, Nietzsche. Un ritratto filosofico, Donzelli editore, Roma, 2002, p. 85. 56 Ivi, p. 17.

57 Nell’Inattuale diventa solo esplicitamente programmatica, ma, come si vedrà, è il grande tema già dei suoi primi scritti giovanili.

rimozione di tutte le erbacce, delle macerie, dei vermi che vogliono intaccare i germi delicati delle piante” 58. Un lavoro di coltura non solo di quel germe di ragione citato da Kant – se così fosse s’incorrerebbe in quella superfetazione della logica59 alla base della moderna decadenza, del trionfo del socratismo e dell’ottimismo scientifico che Nietzsche vorrebbe smantellare – ma anche di tutte le altre disposizioni naturali; e ciò fino a rendere il corpo stesso, con la sua fisiologia, criterio interpretativo attendibile e fondamentale, un sismografo che registra progressi e declini, il luogo in cui si attua quell’educazione estetico-morale capace di riannodare i fili separati della natura e dello spirito di cui parlava lo Schiller – e a cui occhieggia il giovane Nietzsche.