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L’esperienza di Manresa

Capitolo 4 Ignazio di Loyola e gli Esercizi spirituali

3 La Spagna

4.3 L’esperienza di Manresa

Così da sistemare per qualche giorno il proprio quaderno, Ignazio pensò di fermarsi in un ospizio a Manresa, ma la peste lo costrinse qui per undici mesi. Mendicò e aiutò i malati nell’ospizio di Santa Lucia. Non predicò in senso stretto, poiché era un semplice laico senza un’adeguata istruzione teologica; si limitò a parlare “familiarmente con qualcuno delle cose di Dio” 190– ad orientare le anime nella fuga dal peccato. Così come gli anacoreti dei primi secoli, prese l’abitudine di ritirarsi in preghiera in grotte ed eremi, soprattutto in quella aperta nella roccia sopra il fiume Cardoner – un luogo aspro, solitario e nascosto, quasi inaccessibile a causa dei fitti rovi – e nell’ermita di Viladordis – dove era custodita un’immagine della Vergine, sua nuova dama. Qui alcune persone

188 Dove Wagner ambienterà il proprio Parsifal. 189 Ef 6, 16-17.

venivano a cercarlo per ricevere consolazione spirituale, altre solo lo spiavano, ma senza infastidirlo. Qualcuno guardava con sospetto quell’uomo così trascurato, con barba e capelli incolti, le unghie come artigli, che aveva visibilmente sorpassato il ragionevole limite dell’imitazione dei santi padri del deserto.

Ci volle del tempo prima che Ignazio riuscisse a comprendere che le eccessive mortificazioni corporali e la miseria con cui trattava il proprio corpo non potevano essere né gradite a Dio191, né funzionali ai propri scopi catechetici. Come poteva, con tale aspetto semi-animalesco non essere preso per pazzo, infondere fiducia o essere credibile? Se davvero il corpo era tempio di Dio – e ciò era stato reso ancora più vero dall’Incarnazione – simili eccessi non lo avrebbero imbruttito e distrutto? Come poteva un cavaliere servire il proprio Signore se prostrato dal dolore e dalla fame? Così Ignazio smise l’animale per riappropriarsi, anche se in modo nuovo, dell’umano. Ciò rese più semplice anche le sue relazioni sociali.

Di questo nuovo periodo della vita di Ignazio due cose saltano immediatamente all’occhio: come Ignazio rimanga fortemente impregnato dell’ideale cavalleresco e com’esso conviva, poi in tutti gli Esercizi, con ma morale eroica e quella ascetica.

A Manresa soprattutto pregò e lesse intensamente. Oltre ai già citati, facevano parte delle sue letture quotidiane un Libro de Horas illustrato e il De la imitacion de

191 Ignazio elaborò a fondo quest’idea di cui si ritrova limpida traccia nella 5.a regola Per ordinarsi nel mangiare in avvenire degli Esercizi, in cui, durante i pasti, Ignazio consiglia di “considerare, come se lo vedesse, Cristo nostro Signore mangiare con i suoi apostoli, e come beve, come guarda, come parla; e procuri di imitarlo. Di modo che la parte superiore della mente si occupi nella considerazione di nostro Signore e l’inferiore nel sostentamento del corpo; perché così ottenga maggiore armonia e ordine sul modo di comportarsi e governarsi”. È probabilmente in queste Regole che il problema della scissione trova una sua felice tematizzazione e concertazione. In tal senso si orientano poi i consigli, di molti anni posteriori a questi fatti, a quanti chiedevano lumi in materia di digiuni ed astinenze; in particolare a Francesco Borgia Ignazio disse di ricordare sempre che appartenendo la sua anima “insieme con il corpo al suo Creatore e Signore, gliene deve rendere conto e perciò non deve lasciare indebolire il fisico, la cui debolezza non permetterebbe più allo spirito di esercitare le sue attività”.

Cristo, di Tommaso de Kempis192, che Ignazio lesse per la prima volta solo a Manresa; lo colpì al punto di rifiutarsi di leggere altri libri di devozione. Ogni giorno, seguendo l’ordine di composizione, proseguiva di un capitolo, ma, in altre ore, quando aveva bisogno di risposte, spesso lo apriva a caso.

L’esperienza di Manresa si sciolse in tre tappe spirituali: ad una prima di pace e tranquillità, ne seguì una piena di scrupoli, tentazioni – anche al suicidio – e pene interiori – il cui frutto saranno le Note per sentire e conoscere scrupoli e insinuazioni – che si risolse nella finale famosissima illuminazione del Cardoner. Fuori dalla città, sulla riva sinistra del fiume Cardoner, vicino alla chiesetta di San Paolo l’Eremita,

assorto nelle sue devozioni, si sedette un poco con la faccia verso il fiume che scorreva in basso. Mentre stava lì seduto, cominciarono ad aprirglisi gli occhi dell’intelletto; non ebbe alcuna visione, ma comprese e conobbe molte cose, sia spirituali, sia della fede e delle lettere. Questo con una luce così grande che tutte le cose gli sembravano nuove. […] ricevette una grande chiarezza dell’intelletto […] gli pareva di essere un altro uomo e di avere un intelletto diverso da quello di prima193.

No, non si trattava di una voce, era quasi il contrario, come un silenzio che aveva smorzato tutti i suoni del mondo. Non sentiva più il mormorio del Cardoner, il ronzio delle api, il chiacchiericcio distante delle donne. […]

La stessa presenza che sentiva anche adesso, più concreta e tangibile della propria o di quella del fiume.

Era quella presenza a esistere davvero, e lui, Iñigo, e il fiume erano soltanto ombre, spettri fiacchi e inconsistenti.

Era la presenza a pensare Iñigo e a sussurrargli i pensieri, e mai in vita sua lui aveva sperimentato una tale ricchezza mentale.

Nessuna laboriosa concatenazione logica, nessuna fatica durante il ragionamento o compiacimento arrogante una volta raggiunta la conclusione.

E non era nemmeno un’illuminazione interiore, come capita quando un’idea spunta dal nulla […].

No, era come una luce costante.

Illuminava ogni cosa – il passato in tutta la sua lunghezza, il futuro in tutta la sua profondità. Era la chiave per aprire la porta, la porta stessa e la stanza in cui conduceva, e lui era l’uomo nella stanza, e la chiave per entrarci.

192 Ignazio lo chiamava il Gersoncito, perché nelle prime edizioni spagnole del 1491 veniva attribuito al cancelliere Juan Gerson.

193 Autobiografia, in FN I, 402-404. FN sta per Fontes narrativi, che fanno parte dei MI, i Monumenta Ignatiana. Secondo Nadal, Ignazio ebbe qui un’intuizione sapienziale architettonica, cioè schematica e in compendio, dell’anima della Compagnia, di cui comprese però solo lo spirito, contenuto negli Esercizi spirituali, non la sua successiva forma sociale.

Adesso la sua mente ragionava così, ed era la mente di un uomo ma anche di una donna e di un bambino, in ogni momento della sua vita – il miracolo operato dal tempo e dal peccato, dalla presenza del padre e della madre, la generazione del corpo e la sua crescita miracolosa, la nascita del pensiero, l’effusione dell’anima, e i segreti della musica umana e il significato di quella musica in un’altra dimensione.

Vedeva i modi meravigliosi in cui lo strumento della mente può essere suonato, e le distanze che può percorrere in questa o quella direzione, le forme che può assumere in funzione di come viene plasmata.

Nella grotta vicino al Cardoner, gli appunti di Ignazio iniziarono ad assumere una forma meno disordinata e compulsa, ma più orientata ad uno scopo, poiché piano piano l’uso e l’esperienza delle cose divine nelle relazioni umane lo correggevano e guidavano nella direzione della salvezza delle anime. Se all’inizio non furono che semplici appunti, e benché continuamente accresciuti, continuarono ad esserlo per diverso tempo, presto gli Esercizi spirituali si trasformarono in un vero e proprio manuale con cui anche Ignazio si aiutava. Fu il primo esercitante dei suoi stessi esercizi: prima cominciò a farli lui, poi li fece fare ad altri sotto la sua guida e, infine, li scrisse per insegnare ad altri a condurli194. Le semplici osservazioni ed introspezioni si coagularono in un’immagine, un’idea germinativa complessiva che andò perfezionandosi e declinandosi nella scrittura, se non definitiva quantomeno sostanziale, di quelle che saranno alcune fondamentali meditazioni, note, consigli, regole e norme che il direttore dovrà tenere presenti nel dirigere l’esercitante. Sin dai tempi di Loyola, nello scrivere Ignazio procedette d’intuizione in intuizione; a cui si aggiunse, dopo l’illuminazione del Cardoner, la percezione della presenza fisica della divinità. Sarebbe errato pensare che fossero delle vere visioni – poiché non c’erano immagini – ed ancora di più che fossero delle suggestioni. Era un vedere senza immagini, un sentire senza suoni, un odorare senza

194Ignazio non parla o propone mai nulla di cui non sia stato in prima persona protagonista, di cui non abbia fatto esperienza vissuta. Ed è ciò che imporrà ai propri gesuiti: “Si abituino a dare gli Esercizi spirituali agli altri, dopo averli sperimentati in se stessi” (in C 408. Con C si indicano le Costituzioni) poiché non si diventa guide d’un tratto. Per esempio le Regole per sentire e conoscere in qualche modo le varie mozioni che si producono nell’anima: le buone per accoglierle e le cattive per respingerle sono il frutto maturo di quelle osservazioni e dubbi così bene descritte da de Wohl.

profumi. Iniziò a tratteggiarsi qui la consapevolezza dei sensi interiori195, o, come li aveva definiti Origene, spirituali.

Per molti aspetti l’illuminazione del Cardoner ricorda quella di Nietzsche nei boschi lungo il lago di Silvaplana, vicino a Surlei, all’inizio dell’agosto 1881, quando durante una passeggiata – «a 6000 piedi al di là dell’uomo e del tempo»196 – venne

folgorato dall’idea dell’Eterno ritorno. Fu l’inizio della gestazione dello Zarathustra, che partorì poi nel febbraio 1883. Anche il processo di formazione degli Esercizi ricorda quello dello Zarathustra: un concepimento che nacque dalla, e nella, prostrazione fisica; che prese vita da un’illuminazione improvvisa ed inattesa nonostante i presupposti fisiologici fossero già evidenti in precedenza; un’incubazione che si protrasse per lungo tempo. Una tensione costante verso la natura, le alte vette ed il cielo. Ci si potrebbe chiedere se in ambo, i casi, o in nessuno, si possa parlare di un’illuminazione di tipo mistico. Senza essere troppo fieramente trancianti e frettolosi, bisognerebbe iniziare a considerare quest’ipotesi a partire da una semplice considerazione: “Che cosa è la mistica?”; una domanda, questa, che come già affermato in precedenza, non trova una risposta univoca. Proprio tale mancata univocità apre alla possibilità di una riflessione in merito. Dunque, se per mistica, per esempio, si accetta la spiegazione di Marco Vannini, allora certamente entrambi possono essere qualificate quali mistiche e mistici – secondo determinazioni diverse – i loro stessi autori.

195 Ritroviamo la teoria dei sensi interiori, in tutta la sua forza, nella quinta contemplazione del primo giorno della IIs la quale chiede di applicare i cinque sensi – che Ignazio chiama dell’immaginazione – sulle precedenti contemplazioni. Una bellissima nota di Schiavone spiega come siano stati intesi all’interno del gesuitismo.