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Ignazio ed il problema della scissione

Capitolo 4 Ignazio di Loyola e gli Esercizi spirituali

7 Ignazio ed il problema della scissione

Ignazio lottò per tutta la vita contro ogni forma di scissione. Come testimoniano gli Esercizi, per lui Spirito è sempre spirito di unità, “già piantato negli avvenimenti, nella sensibilità, nei desideri, nelle tensioni profonde dei cuori e dei contesti sociali, culturali e spirituali”207; disconoscere l’importanza dell’unità, o prescindervi, equivale di fatto a perdere la capacità di comprendere ed agire nella storia, e più gravemente, a pervertire l’uomo e la storia.

In questo senso il calvinismo rappresentò l’Idra di Ignazio: l’antropologia calvinista concependo la natura umana come totalmente corrotta ne distruggeva la sacralità, vi gettava sopra un velo di sfiducioso discredito208 che negava importanza a

207 Antonio Spadaro, Introduzione. Il mondo è il cantiere di Dio, in Jorge Mario - Francesco Bergoglio, Chi sono i gesuiti. Storia della compagnia di Gesù, EMI, Bologna, 2014, p.14.

tutto il portato emozionale. Il calvinismo intaccava l’unità della società e della Chiesa209 e nell’uomo scindeva la ragione da tutto il sistema emozionale fino a fratturare la ragione stessa frammentandola; e con ciò finiva per introdurre anche nella conoscenza un ultimo e sistematico scisma, opponendo la positiva alla speculativa210, senza però con ciò offrire una via alla ricomposizione o alla sintesi, se non quella di una rigida disciplina non troppo dissimile per presupposti all’idea del lavoro accumulatorio.

Alla concezione scismatica e pessimistica di Calvino sant’Ignazio contrappose un’antropologia di segno totalmente opposto basata sulla ferma convinzione che la materia esprime in se stessa le realtà trascendenti. Tale ancoraggio trascendente garantisce che la salvezza passi attraverso l’intera corporalità le cui emozioni, più che combattute, o negate, devono essere accolte ed ordinate. D’altro canto, la realtà tutta dialoga costantemente con l’uomo anche per suo tramite. Il potente apparato degli

Esercizi richiama all’azione tutti i sensi – interiori ed esteriori – con i loro corollari,

affinché l’uomo conoscendo intimamente la completezza della propria corporalità, possa imparare ad essere padrone di sé e così esprimersi al meglio. Questo dominio di sé è una vera forza trasformante in grado di trasformare la percezione ed il modo in cui l’uomo si rapporta alla storia e vi cammina. Per Ignazio essere liberi significa in primo luogo essere

209 La lotta alla scissione affonda così tanto il coltello nell’anima del gesuitismo da diventare un modus operandi di tipo socio-culturale. Ignazio si muove sempre nella dimensione del rispetto; così nel rispetto della singolarità di ogni popolo, in cui si manifesta la pluralità della divinità, Ignazio plasma il modo della catechizzazione. Prima di poter evangelizzare, il gesuita deve osservare, conoscere e capire la cultura in cui vive; dopo deve imparare ad esprimere il Vangelo in quella cultura. Si vede qui un altro modo in cui si declina la kenosis, un altro scalino della rinuncia a sé: qui si rinuncia alla propria cultura, dunque in un certo qual modo alle proprie radici e ad una parte del proprio modo di sentire, per farsi altro. Non si pensi che questo processo di inculturazione – bilaterale – sia indolore per il gesuita, come ricorda Bergoglio: “questo fa male, questa è la croce” (Cfr. Jorge Mario - Francesco Bergoglio, Chi sono i gesuiti. Storia della compagnia di Gesù, op. cit., p. 31).

210 Nei collegi gesuiti Ignazio imporrà, come si vedrà, una riformulazione della metafisica con lo studio della teologia positiva che insegna ad amare e servire Dio – San Gerolamo, Sant’Agostino, San Gregorio – e della scolastica che attraverso la via della definizione confuta gli errori intrattenendo così un dialogo sempre vivo con la storia – San Tommaso, San Bonaventura, Pietro Lombardo.

padroni di sé. Non vi può essere libertà se non vi è discernimento e non può esservi discernimento se non si ha conoscenza integrale di sé211.

Libertà, padronanza e conoscenza integrale di sé decadono però di fronte al sistema delle scissioni. Il sistema delle scissioni è uno schematismo che ordina la realtà incasellandola in contrapposizioni, “o…o”, per esempio o la fede o la giustizia; ma la realtà stessa, che pure si esprime in un linguaggio antinomico, e la cui natura è variegata e multiforme, piena di tensioni dialettiche, offre la possibilità di comporre i contrari rinviandoli ad un piano superiore in cui poter trovare la loro sintesi. La realtà è in sé eloquente, getta essa stessa l’amo della sintesi. Per questa ragione una pedagogia che intenda mirare alla ricomposizione, piuttosto che dare seguito alla cattiva infinità delle contrapposizioni, deve permettere che si conservi la ricchezza della dynamis della natura e della storia, poiché è solo attraverso il contatto esperienziale con il contrario212 che si plasma la profondità della coscienza e la sua disposizione al cambiamento. Inoltre, la stessa struttura dinamica dell’uomo, in cui convivono ragione e sentimento, cambia continuamente anche in ragione del cambiamento storico – le strutture sociali contribuiscono a foggiare il mondo e l’uomo, le sue idee, i suoi sentimenti, i suoi desideri

211 La liberazione dell’uomo solo sul piano sociale o su quello delle strutture esteriori – mediante una promozione del senso di giustizia, cioè del bene – non procede di pari passo con la sua liberazione spirituale: questa deve esserle precedente. La liberazione materiale non può avere luogo se l’ingiustizia non viene amputata alla radice, cioè nel processo di scissione del cuore della ragione: solo lavorando sulla sintesi delle antinomie si può sperare di trasformare gli atteggiamenti e le tendenze che generano l’ingiustizia. Questo Ignazio lo aveva capito perfettamente. Gli Esercizi lavorano sulla coscientizzazione del singolo in virtù del cambiamento globale, cioè lavorano dalla più intima delle strutture interiori per emanarsi su quelle esteriori.

212 Quando negli Esercizi Ignazio spiega i tre modi di orare, scrive che “per meglio conoscere le colpe commesse nei peccati mortali, si considerino i loro contrari”. Con peccati mortali vengono intesi qui i sette vizi capitali a cui vengono contrapposte le sette virtù, quattro cardinali e tre teologali. Lo stesso si trova nel capitolo 10 del Manuale di Epitteto, per combattere le rappresentazioni che turbano: “In occasione di ogni rappresentazione che ti si presenta allo spirito, ricordati di rivolgerti a te stesso e di cercare la facoltà che possiedi per usarla con questa rappresentazione. Se vedi un bel fanciullo o una bella fanciulla, troverai una facoltà per questo, il controllo di sé; se ti tocca il duro lavoro, troverai la resistenza, se l’ingiuria, troverai la pazienza. Se arrivi a creare questa abitudine, le rappresentazioni non ti travolgeranno più”. Nelle Diatribe II, 18, 25: “Non permettere alla rappresentazione di svilupparsi e di esporre la serie dei suoi quadri, altrimenti essa ti possiede e ti conduce dove vuole. Ma piuttosto sostituiscile una rappresentazione bella e nobile; quanto a quella che è impura, scacciala”.

e le sue aspirazioni – e viceversa. Per cui, per comprendersi meglio nella propria complessità e per capire ed adattarsi allo spirito dinamico del tempo, l’uomo, nel suo essere passaggio, deve imparare a sfruttare il linguaggio delle antinomie. Sfruttarle, senza arenarsi o arrendervisi. Una non partitica ermeneutica della realtà può avere luogo solo dalla ricomposizione delle scissioni, dunque da una dialettica, che ha sempre bisogno di essere riformulata, tra materia-spirito e ragione-cuore.