Capitolo 2 La filosofia come esercizio d’esperienza
3 La vita come esercizio filosofico
3.8 Neoplatonismo Il divino dentro di noi
A partire dal I secolo, all’interno dell’Accademia platonica fondata da Antioco di Ascalona, si fa largo una nuova tendenza, il neoplatonismo, una fusione tra platonismo ed aristotelismo, che contiene al suo interno anche elementi marcatamente mistici. Questi raggiunge una propria stabilità solo col neoplatonismo post-plotiniano di Porfirio che pian piano dal III e IV secolo d. C. prende il posto di tre – stoicismo, epicureismo e scetticismo – delle quattro scuole tradizionali.
Cardine della scelta di vita plotiniana è vivere una vita secondo lo Spirito, secondo l’Intelletto, la parte più elevata dell’uomo, il vero io. Apice della scelta esistenziale plotiniana è raggiungere una condizione di perfetta trasparenza con se stessi, divenire
Intelletto, pensarsi, non più come individuo, ma nella prospettiva della totalità che tutto
contiene. Per far ciò però anche l’Intelletto umano ha bisogno di trascendersi in quell’Intelletto superiore e assolutamente perfetto, che è già totalità, annullamento delle divisioni e conquista di una nuova natura. Questi però, a sua volta, non è che un’emanazione della fonte originaria della totalità che si fa una, dell’Uno divino.
La vita secondo lo Spirito è, dunque, la strada per vivere la pienezza di sé nell’unione con il divino. Ci si distacca dalla sensazione, dall’immaginazione, dalle passioni riducendo allo stretto indispensabile le necessità del corpo; ci si ritira dalla folla e dal risvolto politico – che fino a quel momento la filosofia aveva implicato. Ci si distacca anche da tutte le connotazioni più intimamente personali, frutto del dinamismo anima-corpo.
Quest’unione, in cui si fa esperienza di “qualcuno che sia in me più me stesso di me”, è un’ascesi per tappe che presuppone un costante esercizio di attenzione di tutto l’essere143.
In una prima tappa l’esercizio del discorso filosofico insegna a distinguere l’anima razionale – il vero io da imparare a conoscere – da quella irrazionale che anima il corpo e ne è confusa: “togli ciò che è superfluo”144, i piaceri e le pene ch’essa trascina seco, “sfronda ed esamina te stesso”145. Il discorso predispone l’anima ad una tappa successiva, alla fusione con la totalità favorendo una conoscenza di grado superiore, un’esperienza mistica unitiva, cioè un’intuizione conoscitiva immediata e rarissima che strappa la fluida continuità della coscienza, la quale d’un tratto fa un balzo in avanti, identificandosi e diventando uno con l’Intelletto. Pur predisponendo, il discorso non è però in grado né di comunicare l’unità esperita né di spiegare cosa sia l’Uno in sé146; d’altronde descrivere equivale già a rompere l’unità frammentandola: così rimane in sé indicibile. Se con il discorso ci s’incammina soli verso il Solo, nell’esperienza mistica si è soli a Solo.
Garante e cardine della veracità dell’unione mistica divina è la pratica della virtù, l’esperienza concreta del Bene scelto e compiuto. Senza la virtù non vi può essere
143Se considerata dal punto di vista dell’integrazione e della trascendenza wojtyliana, quest’ascesi procede verso, e non entro l’Intelletto, acuendo drammaticamente ad ogni tappa la scissione anima-corpo; non vi è una salita verso un’integrazione sempre maggiore dei livelli dell’essere, quanto piuttosto verso una coscienza e conoscenza di sé sempre maggiori, secondo una doppia via d’accesso: il discorso filosofico che permette all’anima razionale di conoscersi come dipendente dall’intelletto, e l’esperienza interiore, che permette di conoscersi come Divenire Intelletto.
144 Plotino, Enneadi, 4.4. (2).10.30. 145 Ivi, 4.7. (2).10.27.
146 Testimone moderno, ad un tempo, sia di tale limite che di tale unità, è un significativo passo di Simone Weil: “Il linguaggio enuncia relazioni. Tuttavia ne enuncia poche, giacché si svolge nel tempo. Anche nella migliore delle ipotesi, uno spirito rinchiuso nel linguaggio è in prigione. Il suo limite è la quantità di relazioni che le parole possono far sì che egli tenga presenti contemporaneamente. Rimane nell’ignoranza dei pensieri che implicano un numero maggiore di relazioni; questi pensieri sono al di fuori del linguaggio, non possono essere formulati, sebbene siano perfettamente rigorosi e chiari, e ciascuna delle relazioni che li compone sia esprimibile in parole perfettamente precise. Così lo spirito si muove in uno spazio chiuso di verità parziale […] ogni spirito capace di cogliere rapporti inesprimibili a causa della moltitudine di rapporti che vi si combinano, seppure più rigorosi rispetto e luminosi rispetto a quanto il linguaggio più preciso esprime, ogni spirito pervenuto a questo punto abita già nella verità”. Weil Simone, La persona e il sacro, op. cit., p. 40.
autentico incontro con il divino che è Bene. Ciò significa che la vita secondo lo spirito non può limitarsi ad un’acquisizione di conoscenze discorsive e razionali: “La theoria, la contemplazione di ciò che conduce alla felicità, non consiste in un accumulo di ragionamenti, né in una massa di conoscenze apprese”147, è necessario che queste conoscenze “diventino natura in noi”148, non tanto ri-ossigenando, quanto piuttosto mutando, la natura umana.
Anche nel giovane Nietzsche, come si vedrà, è presente, ed a più riprese, questa stessa necessità di creare in noi una seconda natura, anche se secondo un diverso intendimento. Insieme a ciò ritroveremo poi nel Nietzsche maturo un analogo doppio sentiero, discorsivo e mistico, ma anche in questo caso declinato in una dimensione non totalmente coincidente a quella plotiniana.
147 Porfirio, Dell’astinenza, 1.29.1-6.