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4) dominanza strategica: consiste nella possibilità di realizzare le mosse più

3.4 Dimensione morale e costruzione delle identità nelle interazioni istituzional

Un aspetto che è possibile rintracciare come determinante all’interno delle interazioni istituzionali è quello legato alla dimensione “morale” relativa al tipo di identità che vengono rese rilevanti dagli interagenti. Durante un’interazione istituzionale le persone cercano, tramite il discorso, di “attivare” versioni morali di sé stesse, ossia versioni orientate alle aspettative sociali, a modelli culturali dominanti, alle definizioni normative di realtà che caratterizzano il gruppo sociale di appartenenza e il periodo storico.

Per esempio, si può pensare ai racconti effettuati dai genitori in sede di colloquio scolastico (Pillet-Shore, 2015) o ai racconti che vengono fatti dalle neo-mamme con i medici e le infermiere (Heritage, 2012) relativi a ciò che fanno a casa in quanto madri per assicurarsi il benessere dei propri figli. Lo scopo morale e implicito di questi “racconti”, che spesso racchiudono svariati dettagli personali, sembra essere quello di dimostrarsi abili e all’altezza del proprio ruolo genitoriale di mostrarsi come “buoni” genitori, mostrando una versione morale positiva del proprio sé. Sebbene lo scopo di un colloquio scolastico o di una visita medica non sia quello di fornire giudizi morali, tuttavia i discorsi che avvengono in queste interazioni (così come in altre di tipo istituzionale), inevitabilmente (e spesso implicitamente, attraverso la scelta di alcune parole che lasciano trapelare giudizi, reclami, obblighi) evocano e portano diversi mondi morali ai quali doversi attenere.

Come viene sostenuto da Heritage (2012), gli stessi concetti di medicina o di maternità rientrano in questa sfera ideale e vengono tacitamente confermati e dunque cristallizzati all’interno dell’ordine sociale più ampio. Nelle sue ricerche Heritage (2012) ha messo in luce come la scelta delle parole e di eventuali sinonimi influenzi le dimensioni e le visioni etiche- morali. Heritage nota come in presenza di un neonato, ad esempio, la prassi generalizzata da parte di medici ed infermieri sia quella di ricorrere al termine “padre”, poiché suggerisce una condizione di piena congruenza e

legittimità. Al contrario non vengono contemplati quasi in nessun caso “marito” (apposizione che informa su una relazione non strettamente necessaria al contesto) e “fidanzato" (condizione illegittima per l’immaginario collettivo in relazione a un bambino). In relazione alle modalità di categorizzazione attivate dagli interagenti stessi può essere utile richiamarsi a quello che Sacks (1992) ha definito come Membership Categorization Device (MCD). Questa definizione fa riferimento a come le persone durante l’interazione scelgono di categorizzare se stesse e gli altri in base ai quadri culturali e sociali di riferimento. In altre parole per MCD sacco intende quell’insieme di termini o classificazioni che noi tutti usiamo per descrivere o designare persone, oggetti, azioni durante la conversazione, testi scritti. Tali categorizzazioni possono essere usate per descrivere le persone con le quali si interagisce o alcune caratteristiche di queste persone. Le categorie sono concretamente situate in relazione anche all’istituzione di riferimento nel momento in cui le persone si trovano a comunicare. È interessante notare che vi è un profondo legame tra l’uso di determinate categorie e il senso comune. Ad esempio quando si deve categorizzare una persona che non si conosce si fa riferimento ad una serie di quadri culturali e sociali che possono dire molto rispetto all’ordine morale all’interno del quali le persone si trovano ad interagire. Questi processi di categorizzazione presentano poi un carattere metodico, ordinato e sistematico e sono indispensabili per l’attribuzione di senso ad una particolare situazione comunicativa e relazionale (Hester e Eglin, 1997).

Heritage si è occupato anche, nello specifico, di analizzare la relazione che si va ad instaurare tra infermiere e neo-mamme (2012), prendendo in analisi la condivisione e la discussione di problemi legati alle preoccupazioni quotidiane delle mamme, non direttamente connesse con la gestione del bambino. Se le infermiere danno inizio alla conversazione con un primo turno incentrato sulla condotta reputata consigliabile (advice giving) e su cosa sembra essere preferibile per la crescita del neonato, le madri tendono invece a rispondere con giustificazioni riportando la propria

esperienza, sottintendendo un eventuale accordo o disaccordo con i consigli appena ricevuti. Ciò è probabilmente la diretta conseguenza dell’essere desiderosi di sottolineare le proprie competenze genitoriali, le proprie abilità nella cura dei bambini e le proprie doti di responsabilità mostrandosi come genitori moralmente responsabili e conformi ai “modelli” culturali dominati. Anche Baker e Keogh (1995) mostrano come durante i colloqui la pratica di advice giving da parte delle insegnanti possa essere percepita come intrusiva dai genitori. Gli autori sottolineano come gli insegnanti nelle fasi finali del colloquio tendono a suggerire ai genitori alcune condotte da adottare a casa per dare continuità al lavoro iniziato a scuola. Gli autori sottolineano come questi non siano semplici consigli ma racchiudano in sé anche una forte dimensione morale legata alle responsabilità della crescita educativa del bambino. Allo stesso tempo, però, può anche accadere che siano i genitori stessi a richiedere suggerimenti su come comportarsi con il bambino. Tuttavia, anche la richiesta di consigli non è mai del tutto al riparo da giudizi morali in quanto corre il rischio di essere percepita, da colui che rappresenta l’esperto, come un’ammissione di incompetenza o di eccessiva incertezza. Questo tipo di considerazioni permette di comprendere quanto i contesti istituzionali siano “carichi” di moralità e quanto questa dimensione venga co-costruita dagli interagenti momento dopo momento nell’interazione.

Anche Pillet-Shore (2003, 2015), parlando di interazioni istituzionali tra genitori e insegnanti, ritiene che nel momento dell’incontro, i due interlocutori (insegnanti e genitori) si mostrino come rappresentanti delle istituzioni portate in essere tramite il discorso, ovvero la scuola e la famiglia. Parlando e condividendo conoscenze gli interlocutori creano un legame interdipendente tra queste istituzioni. Sebbene non sia la loro funzione primaria e fondante, l’interazione che viene instaurandosi durante i colloqui viene utilizzata da parte dei genitori come tacita occasione di presentazione di sé stessi, caricando così il contesto di un certo grado di moralità. Dai loro studi Crozier (1998), Lareau (1989), Robinson e Harris (2014) sembrano giungere alla

conclusione che nell’ottica degli insegnanti i “buoni genitori”, siano coloro i quali si sforzano di creare con impegno e costanza un ambiente domestico culturalmente favorevole per i propri figli, supervisionato, stimolante e ricco di incentivi. Altri obiettivi perseguiti tra le mura domestiche riconosciuti come primari sembrano essere il sostegno dell’autonomia e della responsabilità in riferimento all’età (Baker e Keogh, 1995), soprattutto tenendo conto di quanto le ragioni alla base dell’impegno scolastico dello studente siano situate fuori dalla scuola e più probabilmente con implicazioni familiari. Baker e Keogh (1995) parlano addirittura di un curriculum for the home relativo alle attività moralmente responsabili da svolgere a casa per sostenere e incoraggiare il lavoro fatto in classe.

L’essere moralmente un “buon" genitore, proprio come afferma Danielle Pillet-Shore

(2015), non può essere considerato un fattore esogeno, oggettivo e dato una volta per tutte, ma al contrario è qualcosa di transitorio e di labile che si va determinando tramite il dialogo e il confronto. L’organizzazione morale a cui fa riferimento Pillet- Shore viene costruita passo passo tramite l’attribuzione di responsabilità specifiche in relazione al ruolo ricoperto tanto che, in presenza di situazioni complesse, molto spesso vengono esplicitate giustificazioni sul personale rendimento in quanto genitori, ancor prima che su quello scolastico dei figli (Pillet-Shore, 2015).

La dimensione morale risulta fortemente legata e dipendente anche dalle possibili valutazioni che gli interlocutori mettono in atto durante l’interazione. Greenfield, Quiroz, e Raeff (2000) mostrano come all’interno delle valutazioni che vengono formulate dagli insegnanti siano presenti quelle ideologie che stabiliscono di volta in volta cosa è importante o meno nella crescita e nello sviluppo di un individuo.

Le versioni morali che vengono attivate tramite le valutazioni (ma anche l’idea di sviluppo del bambino), possono evidenziare inoltre, quali sono i modelli culturali

intersoggettivamente reificati, quali sono gli aspetti ritenuti salienti, e quali dimensioni della vita acquisiscono valore e importanza di una determinata cultura.