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2.2 La fenomenologia dell’educazione e lo studio della vita quotidiana

Nonostante la tradizionale collocazione della pedagogia tra i “saperi deboli” perché priva di un suo statuto ufficialmente e largamente riconosciuto, la tradizione pedagogica che storicamente si è costituita sulla scia di buone prassi tramandate di generazione in generazione, chiede oggi una rinnovata consapevolezza che riesca a sottrarre all’ovvietà e al senso comune le pratiche educative, tanto quelle informali in famiglia, quanto le formali nelle istituzioni (Visalberghi, 1965).

Come già detto nel paragrafo precedente, più che un insieme di conoscenze, il senso comune si struttura come un atteggiamento verso la conoscenza, un dare per scontato che non interroga e non discute, ma prosegue silenziosamente i suoi contenuti perché sarebbe pleonastico ribadire l’ovvio (Jedlowski, 2008). Il senso comune si fonda su un insieme di presupposti che danno ordine e senso alla realtà e ne fondano la possibilità di comprensione, funzionando anche da controllo sociale in norma della sensatezza di certi valori creduti universalmente validi (ivi, p.30).

Nei termini fenomenologici, il senso comune coincide con la conoscenza ordinaria, all’insieme dei saperi familiari e taciti che implicitamente vengono mostrati per rappresentarsi come membri competenti e appartenenti al proprio rispettivo mondo sociale (ivi, p.32).Viene messo in atto quello che Schutz aveva definito “sospensione del dubbio”, perché il senso comune non si occupa troppo di ricercare la verità,

quanto di perseguire e stabilire un accordo tra i soggetti (ivi, p. 39) che può essere tanto un limite quanto una risorsa: condividere un sistema di valori e di credenze circa quei valori ha una forte componente emotiva e fonda il sentimento di appartenenza al gruppo ivi, p..44).

Ciò non toglie che ogni individuo, nel suo costituirsi in quanto tale, ha davanti a sé un orizzonte di scelte possibili (che può essere ampliato) per distanziarsi e mettere in discussione le certezze ereditate con la possibilità di pensare altrimenti la realtà in cui vive. Scongiurando il rischio della delega acritica alla “tradizione” rassicurante, il professionista dell’educazione deve necessariamente impegnarsi per raggiungere una nuova consapevolezza sui suoi meccanismi di conoscenza, per rendersi conto delle sue proprie prospettive per poter compiere delle scelte responsabilmente ed eticamente sostenute (Contini, Demozzi, Fabbri, Tolomelli, 2014).

Morin, uno dei sociologi contemporanei più influenti, ha scritto “è sorprendente che l’educazione, che mira a comunicare conoscenze, sia cieca su ciò che sono i suoi dispositivi, le sue menomazioni, le sue difficoltà, le sue propensioni all’errore all’illusione, e che non si preoccupi affatto di far conoscere che cosa è conoscere” (Morin, 2001, p.11 ).

É necessario fermarsi a riflettere sui dispositivi della ricerca empirica in educazione, sulle questioni epistemologiche sottese ma soprattutto sulla nozione stessa di conoscenza, provando a mettere in discussione tutto ciò che viene dato per scontato e creduto oggettivo, assumendo come proprio l’atteggiamento fenomenologico.

Caronia sostiene che la fenomenologia “ci invita e quasi ci obbliga ad identificare e ad interrogarci costantemente sui nostri presupposti circa un dato fenomeno. Ci obbliga inoltre a trasformare questa interrogazione in una componente della descrizione che forniamo di questo fenomeno” (Caronia, 2011, p. 58) facendo dell’accountability‑16 una delle competenze cruciali dell’educatore/ricercatore

fenomenologico. Ricercatore che sa che una descrizione del fenomeno non esaurisce

! Capacità di rendere conto delle premesse a partire dalla quali si pensa e si agisce in ambito educativo 16

il fenomeno in sé, ma allo stesso tempo ne comprende la centralità per le successive azioni. È un ricercatore attento all’intero processo di costruzione della conoscenza non limitato al prodotto ultimo e finito.

La pedagogia fenomenologica nasce e si sviluppa grazie all’incessante lavoro di Piero Bertolini (1931- 2006) che ha intrecciato in tutta la sua carriera uno studio costante della fenomenologia di Husserl, con il lavoro sul campo, prima come direttore del carcere Beccaria di Milano, poi come professore e ricercatore per l’università di Bologna. Con la pubblicazione nel 1988 de “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di

una pedagogia come scienza fenomeno logicamente fondata” ne ha definito

ufficialmente i contorni e i contenuti.

La fenomenologia fa del suo oggetto di ricerca non i fatti ma i significati e le pratiche di attribuzione di senso da parte degli attori coinvolti.

Per i fenomenologi, i fenomeni così come li intendiamo dipendono fortemente dal modo attraverso cui sono stati investigati.

In parole povere, non esiste conoscenza senza mediazione. Ciò comporta, di conseguenza, una profonda riflessione sulla natura della ricerca e sulla natura del suo sapere intesa come costruttiva e interpretativa. Come spiegato da Caronia: “costruttiva perché il sapere è costituito attraverso pratiche discorsive e procedure di oggettivizzazione e interpretativa perché la verità(…) viene vista come relativa alle procedure che rendono quel sapere visibile e comunicabile come plausibile e argomentabile”(Caronia, 1997).

Concordare con la fenomenologia in merito al suo oggetto e alla natura del suo sapere si riflette anche nelle pratica di ricerca: diventa necessario individuare procedure, metodi e percorsi rigorosi di ricerca empirica che siano in grado di allinearsi al piano teorico fenomenologico e di rendere conto contemporaneamente e inevitabilmente sia dell’oggetto di ricerca ma anche del procedimento che ha portato alla sua rappresentazione.

Ciò comporta profonde discussioni non solo sui modi attraverso i quali si costruisce il percorso di ricerca ma anche sull’utilizzo dei risultati che dovranno essere intesi sempre come provvisori, incerti, aperti e problematici.

Caronia attraverso le sue parole vuole fornire evidenza empirica della natura costruttiva e interpretativa del sapere prodotto attraverso la ricerca (di qualsiasi natura, ma a maggior ragione in campo educativo), prendendo in carico l’insecuritas come fondamento del sapere pedagogico.

La pedagogia fenomenologica ci invita a pensare i processi di ricerca per rendere conto del punto di partenza e delle varie fasi che si susseguono, riconoscendo che il sapere prodotto sia di natura socialmente e storicamente costruita (Caronia, 1997). Si accetta in questo modo la natura del sapere pedagogico come provvisoria e non definitiva, aspetti che non sono trattati come errori da correggere ma come vera risorsa e caratteristica cruciale della pedagogia stessa. Il sapere prodotto attraverso la ricerca, operata in tal senso, è inteso come frutto di costruzione e interpretazione perché fondato sull’insecuritas: è un sapere al quale viene riconosciuta la sua natura riflessiva, accettandone l’indicalità implicita, ossia la consapevolezza che i dati risentono del contesto in cui sono colti, co-prodotti dai soggetti coinvolti. Accettare l’indicalità significa accettare che la ricerca più che scoprire i fenomeni li crea, attribuendo loro nuove visioni locali e nuovi significati. Accettare la natura del sapere in questo senso consente di ripensare anche l’oggetto d’indagine, ossia l’evento educativo. L’evento educativo non è inteso come un corpo da vivisezionare, immobile e indifferente allo sguardo del ricercatore, quanto piuttosto come un mondo abitato da soggetti intenzionali, che vivono e agiscono in quel mondo, attribuendo senso alle cose, ai fenomeni e a loro stessi attraverso continue esperienze e ad un lavorio incessante di attribuzioni di significati e interpretazioni a ciò che accade, nel contatto con gli altri, nel tempo che passa e nello spazio che anch’esso evolve.

Fare ricerca con un oggetto del genere significa considerare provvisori ed incerti anche i risultati ottenuti, considerati come una delle possibilità di intendere quel determinato fenomeno, legittimata intersoggettivamente, sempre revocabili e

modificabili perché costruiti e negoziati durante il momento di investigazione. L’oggetto di indagine, infatti, non può prescindere dalla situazione, dal contesto, dal momento, dalle interazioni in cui esso è avvicinato e colto, risentendo inevitabilmente della co-autorialità dei diversi soggetti coinvolti, chi osserva e chi è osservato, che necessariamente dovranno entrare in contatto producendo nell’interazione, più che rivelando, i significati dell’evento. All’interno di questo quadro teorico, il linguaggio, infatti, assume una rilevanza cruciale. Le riflessioni circa la provvisorietà del sapere e dei dispositivi attraverso i quali si fa ricerca (il linguaggio ne è un esempio) portano inevitabilmente a mettere in discussione e ad analizzare criticamente tutta la metodologia della ricerca empirica.

Una volta lanciata la sfida di presentare un dato insieme alle procedure con le quali è stato costituito, non è più possibile sottrarsi al bisogno di individuare procedure e strumenti coerenti con tali premesse.

L’approccio fenomenologico risponde a tale richiesta attraverso l’analisi delle interazioni con lo scopo di rendere evidenti le modalità attraverso cui le persone negoziano e stabiliscono di volta in volta, in base al contesto e alle circostanze, le visioni della realtà che sono oggetto di ricerca e come tali visioni siano co-costruite e legittimate perché intersoggettivamente approvate come soddisfacenti all’interno delle interazioni stesse.

La ricerca empirica diventa ricerca di significato: ciò che interessa è comprendere ed esplicitare il punto di vista a partire dal quale gli interlocutori descrivono l’evento in un certo modo e attraverso quali pratiche negoziali e stipulative costruiscono la realtà indagata.

Presentare un dato e insieme ai suoi processi di costituzione, di interpretazione e di interazione è il modo individuato dalla fenomenologia di rendere conto della provvisorietà e precarietà del risultato ottenuto, ma anche per legittimarne il contenuto presentando le condizioni entro le quali è sembrato valido e adeguato per giustificarne la plausibilità e la sua utilizzabilità come modello per l’agire educativo.

Gli strumenti di indagine non vanno demonizzati o modificati, ma, piuttosto, occorre ripensarli adoperando un diverso approccio analitico, interpretativo e di scrittura che sia in grado di mostrare le zone d’ombra e di indeterminatezza del sapere indagato. Ancora una volta, assumere la cifra dell’insecuritas, della riflessività, dell’indicalità aiuta a presentare un sapere che non giustifica le sue mancanze imputando l’imprecisione dei suoi strumenti (o dei suoi utilizzatori), ma accetta l’incertezza e la problematicità considerandole come garanzia di accuratezza della descrizione del fenomeno indagato.

Una conoscenza di questo tipo, prodotta nonostante le imprecisioni, trova la sua giustificazione perché non vuole travestirsi di verità assoluta, ma si sforza di comprendere un fenomeno a fatto compiuto, perché ciò che viene perseguito non è un sapere che sappia predire e prevedere il futuro, bensì prospettico, che apra orizzonti di possibilità.

I risultati di una ricerca che rispetti queste premesse possono servire come termini di paragone per altri soggetti in altre situazioni per aumentare consapevolezze attraverso confronti, analogie e differenze, ampliando la visuale, cambiando prospettiva, considerando altre variabili non previste.

Il grande contributo della ricerca risiede proprio nell’offrire alla prassi sempre ulteriori stimoli per l’investigazione piuttosto che risultati soddisfacenti ritenuti validi una volta e per tutte che sarebbero utilizzabili solo a parità di condizioni.

È attraverso la ricerca continua, le sempre rinnovate domande, l’insoddisfazione perenne legata alla curiosità inesauribile che la il sapere pedagogico può allenarsi così alla riflessività.

2.3 Studiare gli eventi comunicativi nel quotidiano: Le origini dell’analisi della