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4) dominanza strategica: consiste nella possibilità di realizzare le mosse più
2.9 Riflessività e Analisi della conversazione in ambito educativo
Alla luce degli aspetti metodologici e teorici dell’analisi della conversazione che sono stati presentati in questo capitolo, in questa sede vorremmo soffermarci sui possibili contributi che l’analisi della conversazione può offrire alle figure professionali che si trovano ad interagire quotidianamente in contesti complessi come l’ambito educativo e scolastico. Funzionando come una lente di ingrandimento dei dispositivi comunicativi attraverso cui gli attori impegnanti nell'educazione costruiscono momento dopo momento chi sono, ciò che fanno e le loro visioni del mondo, l’analisi della conversazione più divenire uno strumento di analisi per favorire la riflessività. Le figure che hanno una responsabilità educativa, come gli insegnanti, sono chiamate ad agire e a prendere decisioni in situ, su base locale.
Esiste un rischio per la professione educativa che è relativo al fatto che in assenza di indicazioni di tipo prescrittivo, gli educatori e gli insegnanti perdano progressivamente la capacità di contestualizzare le loro pratiche (Thompson et al., 2018).
Perché se da un lato, protocolli e buone prassi hanno il vantaggio di indirizzare l’agire educativo e fondare una sorta di sicurezza, d’altro canto essi possono essere
trasformati in strumenti di delega all’esercizio della propria professionalità rinunciando in questo modo a rispondere con l’atteggiamento richiesto all’educatore riflessivo di responsabilità etica e di scelta consapevole.
Protocolli e buone prassi, in effetti, sono un ottimo punto di partenza ma non possono essere considerati punti di arrivo. Assumono valore solo se accompagnati da uno spirito critico che consenta al professionista di calarsi nella relazione con l’altro senza abdicare alla sua propria responsabilità educativa (Contini, Fabbri, 2014).
Ma la riflessione sulle pratiche educative, da sola, non può bastare (Contini, 2014). Il rischio di riflettere senza mettere in discussione i dispositivi stessi della riflessione è quello di confondere la propria soggettività e il modo di intendere le cose per la realtà stessa. A causa dei caratteri di naturalità e di ovvietà che da tempo connotano il sapere educativo- collocato tra quelli “deboli” proprio per la sua mancata natura prescrittiva-, di meccanismi di coazione a ripetere che fanno leva sull’esperienza e sulle buone prassi , sulla “chiacchiera” superficiale e largamente distribuita. È necessario che accanto alla riflessione si attivi la riflessività, un meta livello che faccia della riflessione stessa l’oggetto di interrogazione.
Se la figura dell’insegnante non può essere più ridotta a quella di semplice tecnico chiamato ad applicare dispositivi già dati (norme per l’azione) allora diventa necessario cercare di formarlo come professionista consapevole dei propri repertori di azione.
Lo sviluppo di routine è parte costitutiva di ogni dinamica istituzionale (Berger e Luckmann, 1969) e diviene una parte ineliminabile per poter agire in modo veloce ed efficace nel quotidiano. Tuttavia, il rischio può presentarsi quando a situazioni nuove e inedite vengono offerte le stesse risposte solitamente date alle routine già stabilizzate. Per questo motivo può essere utile sviluppare uno sguardo ermeneutico per i professionisti dell’educazione, affinando le competenze riflessive (Mortari, 2003).
L’idea di pratica riflessiva alla quale si fa riferimento è quella introdotta da Schön con la distinzione tra “riflessione in azione” e “riflessione sull’azione” (Schön, 1992 [1983]). Per quanto riguarda il riflettere in azione l’autore sottolinea quanto il riflettere-in-azione non sia facile da ricostruire a posteriori.
Come già detto l’educatore agisce senza prescrizioni precise trovandosi a dover dare risposte a situazioni sempre diverse e in divenire, e la sua azione si struttura in tre momenti diversi:
1) Prima: attraverso le sue teorie pregresse, le sue aspettative, i preconcetti, le visioni e gli ideali, secondo quelli che il problematicismo pedagogico definisce “occhiali” intesi come lenti attraverso le quali vede e deforma il mondo delle cose
2) Durante: nel momento in cui sceglie di agire in un certo modo piuttosto che un altro
3) Dopo: quando riflette sul suo operato.
E per operare in ottica riflessiva, in ognuna di queste “fasi”, per conoscere il suo modo di conoscere, l’educatore dovrebbe essere capace di assumere l’atteggiamento fenomenologico dell’epoché, della sospensione del giudizio, che può aiutarlo nell’esercizio del pensiero critico, nella capacità di stare nel dubbio, considerandosi soggetto sempre in ricerca riuscendo a connettere teoria e prassi.
Con l’epoché o “sospensione del giudizio” viene messo in discussione il tipico atteggiamento naturale del dare per scontato il mondo delle cose attraverso una sua accettazione acritica, credendolo, quindi, oggettivo e oggetivizzabile (Cavana, 2016). Il lavoro educativo presenta tratti di unicità, complessità e varietà che richiedono un lavoro di continuo adattamento alle situazioni contingenti. Le azioni e le pratiche dei professionisti educativi divengono spesso routinarie e abituali tanto che divengono a volte inconsapevoli.
Ma l'evento educativo non è mai casuale, è bensì il risultato di una intenzionalità , anche quando implicita o inconsapevole. Ogni azione educativa è sempre il risultato di una scelta, di un impegno, di una certa visione del mondo e di una progettualità che
vuole trasformare le condizioni di partenza L'evento educativo implica l'esistenza di una direzione intenzionale (Iori, 2016), e attraverso il concetto di epochè ereditato da Husserl, e ripreso da Bertolini, si ricorda l’importanza di non perdere di vista la soggettività della persona umana in ogni processo di conoscenza.
Attraverso l'epochè ogni sapere precostituito sull'educazione viene relativizzato, per cercare di giungere alla stessa essenza di ciò che si sta studiando. Come scrive Husserl (1972) l’epochè comporta la rinuncia a dare per scontata ogni opinione perché si diventa coscienti dei limiti del proprio bagaglio interpretativo (Iori, 2016) Operare con epoché comporta, quindi, una presa cosciente di responsabilità, considerando il peso di ogni atto inteso come una scelta, quindi un rischio ma anche impegno.
Per il riflettere sulla situazione possono essere utili strumenti come le audio video registrazioni, trascritte e analizzate attraverso il quadro teorico dell’analisi della conversazione insieme agli insegnanti, in quanto permettono di fissare un dato che per il professionista educativo non può essere colto vista la contingenza in cui esso si verifica. Questo tipo di riflessività cerca di prestare attenzione a come si concretizza l’agire anche a partire dalle pre-comprensioni che ogni professionista ha verso le situazioni in cui opera. La pratica riflessiva risulta indispensabile per evitare un appiattimento delle proprie pratiche educative e favorisce il dialogo con quelle situazioni che presentano tratti di unicità e che non si ripetono mai nello stesso modo .
Le situazioni di cui ci occupiamo in questo lavoro di ricerca, ovvero i colloqui tra genitori e insegnanti, rappresentano situazioni di interazione faccia a faccia in cui genitori e insegnanti negoziano significati e mettono in campo differenti punti di vista e differenti risorse comunicative. Malgrado l’importanza di un professionista riflessivo sono poche le indagini empiriche che vanno ad analizzare le pratiche e i dispositivi che insegnanti e genitori attivano nel corso delle loro interazioni e in situazioni in cui il linguaggio rappresenta il principale mediatore e veicolo dell’azione educativa (Baker e Keogh, 1995).
Utilizzare strumenti all’interno di training e formazioni come l’audio- videoregistrazione e le trascrizioni può permettere agli insegnanti di vedere da vicino le proprie pratiche professionali mettendo in luce il fatto che con il linguaggio spesso si fa molto di più di quanto essi ne siano consapevoli. La letteratura che abbiamo riportato nel primo capitolo mette in evidenza come gli insegnanti avvertano l’urgenza di una formazione capace di sviluppare competenze comunicative in grado di supportare una buona partnership con le famiglie (Epstein, 2005; Willemse et al. (2018); Thompson et al. (2018); Bruine et al. (2018); De Coninck, Valcke e Vander Linde 2018).
Avere un dato videoregistrato può permettere agli insegnanti la fruizione a posteriori di alcuni aspetti del loro agire, della relazione e del loro comportamento in situazione, rendendo pensabile un percorso sulle competenze comunicative supportato da videoanalisi che può divenire uno strumento capace di incentivare non solo la riflessione postuma, ma anche la capacità riflessiva in azione.
Oltre all’uso dei video può essere estremamente utile avvalersi dell’uso dei trascritti che permettono di mettere in evidenza la sequenzialità degli eventi, le dinamiche e le strategie comunicative usate dai partecipanti. Se si tratta, ad esempio, di riflettere su aspetti comunicativi quale la negoziazione dell’autorità e su come spesso possa succedere che i genitori contestino questa dimensione. In questo caso, può essere utile avere un trascritto che permetta di andare a vedere nel dettaglio in quale preciso momento dell’interazione l’insegnante ha contribuito a cedere l’ autorità al genitore e/ o il genitore ha tentato di desautorizzare l’insegnante.
Lavorare sui trascritti, costruendo un percorso di formazione all’interno del quale mostrare agli insegnanti le principali strategie comunicative può permettere di restituire loro “agency” interazionale può mettere in evidenza quali sono quelle dimensioni conversazionali che vanno a strutturare l’identità professionale del docente. Inoltre, ad un livello più generale, permettere agli insegnanti di analizzare i dettagli dell’interazione che avviene con i genitori può divenire un utile strumento attraverso il quale sia possibile definire quali sono quegli aspetti della comunicazione
che favoriscono una buona partnership con le famiglie e che contribuiscono alla co- costruzione di alleanze tra scuola e famiglia.
Per concludere, in questo capitolo abbiamo cercato di offrire un quadro complessivo degli aspetti più “tecnici” relativi all’impianto teorico e metodologico dell’analisi della conversazione che risultano indispensabili per comprendere sia il disegno di ricerca sia come saranno analizzati i dati nella seconda parte della tesi. Come abbiamo illustrato l’analisi della conversazione offre un interessante quadro di teorico utile ad aprire nuove piste riflessive intorno all’interazione umana e agli scambi comunicativi che caratterizzano la quotidianità. Alla luce di queste premesse, riteniamo che l’analisi della conversazione possa rappresentare un’interessante framework analitico a partire dal quale sia possibile portare in evidenza alcune dimensioni che caratterizzano la quotidianità delle relazioni educative, che pur essendo quotidianamente sotto l’occhio di tutti, rischiano di non essere fatte oggetto di disamina critica e consapevole. Nel prossimo capitolo, oltre ad entrare nel dettaglio di come nel corso di un’interazione vengono gestite le conoscenze (“Territories of knowledge”, Heritage, 2012), le dimensioni morali legate alla presentazione di sé e l’autorità. Inoltre, cercheremo di declinare questi importanti concetti interazionali all’interno dei colloqui tra genitori e insegnanti .
Capitolo III
La gestione delle conoscenze nelle interazioni istituzionali: Identità, moralità, autorità
3.1 Introduzione
In questo capitolo ci concentreremo sull’analisi di come, durante le interazioni istituzionali, la gestione delle conoscenze abbia un ruolo rilevante nel determinare l’andamento della conversazione. Come abbiamo detto nel capitolo precedente, le interazioni istituzionali sono orientate ad obiettivi legati al contesto in cui lo scambio comunicativo ha luogo. Tuttavia, durante tali interazioni istituzionali entrano in gioco anche aspetti legati alla costruzione dell’identità, alla gestione degli ordini morali (e.g. proiettare nel discorso immagini di sé e/o dell’istituzione orientate al dover essere), al posizionamento e gestione delle conoscenze esperte e dell’esperienza. Si tratta di dimensioni che caratterizzano aspetti sociali dello scambio comunicativo e che riguardano l’interazione nella sua globalità, in altre parole non si tratta di dimensioni legate a particolari fasi dell’interazione ma di tratti che fanno da sfondo all’intero scambio comunicativo.
Durante un incontro istituzionale, quando due persone si incontrano (ad esempio professionista e cliente; insegnante e genitore; medico e paziente) portano con sé un insieme di conoscenze ed esperienze pregresse che influenzeranno inevitabilmente l’andamento dell’interazione. Essere capaci a livello comunicativo di rendere rilevanti le proprie conoscenze ed esperienze vuole dire riuscire a creare uno spazio comunicativo nel quale le proprie conoscenze assumono valore e importanza comunicativa.
Heritage ha messo in luce che la gestione dei diritti alla conoscenza e la legittimazione a descrivere e/o valutare gli stati delle cose sono una questione cruciale
nel corso delle interazioni, e che possono essere una risorsa per negoziare la propria identità (Heritage & Raymond, 2005). I partecipanti all'interazione mostrano una certa sensibilità in base a ciò che hanno il diritto di conoscere e di dire in relazione ai loro co-partecipanti (Chafe & Nichols 1986, Goodwin e Goodwin 1986). Ad esempio, i partecipanti ad una qualsiasi conversazione si trattano reciprocamente come aventi l'accesso privilegiato al proprio bagaglio di esperienze e aventi specifici diritti nel narrarle. Pomerantz (1980) propone una chiara divisione tra le conoscenze di prima
mano e le conoscenze di seconda mano. Mentre le prime derivano dall’esperienza
diretta le seconde sono conoscenze mediate da racconti e report. L’autrice sottolinea che all’interno di un’interazione di tipo ordinario le conoscenze di prima mano assumono un’autorità e un “peso” superiore rispetto alle conoscenze di seconda mano.
Tuttavia, la situazione si complica quando siamo all’interno di un’interazione di tipo istituzionale nella quale entrano in gioco anche le conoscenze esperte. Per conoscenze esperte intendiamo quell’insieme di saperi tecnici e pratici che inquadrano e differenziano una professione rispetto ad un’altra (Goodwin, 1994). In altre parole la conoscenza esperta di un insegnante unisce sia la dimensione pedagogico-teorica sia la dimensione didattica e pratica. Quando ci troviamo all’interno di un’interazione istituzionale le conoscenze esperte assumono un valore epistemico superiore rispetto alle conoscenze di prima mano. Tuttavia, questa superiorità del sapere esperto non è sempre data per scontata e può succedere che gli interagenti debbano negoziare chi detiene maggiore autorità epistemica durante 27
l’interazione. Emblematico più essere il caso dei pazienti di uno studio medico che hanno una conoscenza diretta dei loro sintomi e del loro malessere (conoscenza di prima mano), e nella maggior parte dei casi (ma non sempre) evitano di farsi una diagnosi autonoma quando sono in presenza del dottore (Gill, 1998) , perché sanno che la conoscenza esperta del medico (the Voice of medicine) ha un autorità
Per autorità, in questa sede, intendiamo la capacità di far valere le proprie conoscenze e il proprio 27
ruolo all’interno di una dimensione comunicativa che pur essendo consensuale viene costantemente negoziata e ricostruita dagli interagenti.
epistemica superiore rispetto alla loro personale esperienza ( the Voice of everyday
life). Così facendo i pazienti riconoscono al medico l’autorità epistemica di esprimere
il proprio bagaglio di sapere medico (Arminen, 2016).
Strettamente collegati all’autorità epistemica e alla conoscenza esperta sono i diritti
deontici. Mentre i diritti epsitemici riguardano prettamente le conoscenze, i diritti
deontici riguardano chi possiede l’autorità di decidere cosa deve essere fatto. Solitamente, all’interno delle interazioni istituzionali, il professionista che detiene un sapere esperto è anche colui che decide cosa fare (Stevanovic, Perakyla, 2012). In relazione a questa definizione è quindi possibile aspettarsi che sia un’insegnante a decidere come intervenire in classe per risolvere un problema. O ancora sarà il medico a decidere quale è la cura migliore per una determinata malattia. Tuttavia, questa dimensione non risulta così netta e spesso negli interstizi delle interazioni è possibile rintracciare diversi indizi che ci permettono di vedere quanto anche l’autorità deontica sia una dimensione dai confini sfumati (Caronia, Dalledonne, 2019).