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2.6 Studi di prima generazione: la conversazione ordinaria
In origine, i primi studi dell’Analisi della Conversazione si sono concentrati sulla conversazione ordinaria, cercando di trovare in essa le forme basilari di organizzazione dell’interazione conversazionale ( come i meccanismi di alternanza di turni, le correzioni, le coppie adiacenti, cfr paragrafo 2.4). Ciò che è sorto come aspetto comune e imprescindibile di ogni tipo di conversazione, è che alla sua base c’è e deve esserci la condivisione di un repertorio culturale di tipi di attività, o “frame” (Goffman, 1974), per far funzionare la conversazione (anche il disaccordo, ad esempio, necessita di un frame condiviso: i partecipanti devono riconoscere di essere in disaccordo).
Come sostenuto da Bercelli (1999), i partecipanti possono segnalare e riconoscere un certo tipo di attività come tale solo se condividono (attraverso il repertorio culturale) la possibilità che la presenza di quella determinata attività sia legittimata in quel momento (ibidem, p.104).
È su questi aspetti che l’Analisi della Conversazione si avvicina all’etnometodologia di Garfinkel di cui abbiamo parlato nei paragrafi precedenti: prende in prestito da questa, l’attenzione per gli etnometodi messi in atto dai partecipanti all’interazione, ossia si occupa di osservare i modi di produzione e di segnalazione delle attività in corso che si può ritenere facciano parte del repertorio condiviso dai partecipanti (ibidem).
Gumperz identifica, a tal proposito, gli indici di contestualizzazione (o cues) riferendosi ai fenomeni prosodici (Gumperz, 1982), focalizzandosi sul processo mediante il quale aspetti centrali dell’interazione in corso (centrali ai fini della comunicazione) sono segnati da indici verbali e non verbali che consentono di identificare, in modo interpretativo, il tipo di contesto attivato e reso rilevante al momento sulla base di convenzioni culturali che non sono codificate, quindi, inconsapevoli e non esplicitabili (Bercelli, 1999, p. 105).
La produzione e l’interpretazione di tali indici non dipendono da scelte soggettive, esse accompagnano costantemente ogni segmento di parlato naturale e sono indispensabili per la comprensione e la contestualizzazione (ibidem).
Gli indici di contestualizzazione si rifanno ai fenomeni prosodici come:
• variazioni di tono(profili di intonazione), di volume, di velocità, pause
• stili e lessico (cambio di codice, cambio di registro) • mimica, gesti, postura, sguardo
Non rientrano in questa classificazione i segnali referenziali (come dire qualcosa riguardo a ciò che si sta dicendo) che rientrano in un’attività ulteriore (Orletti parla a tal proposito di glosse, 1983). Gli indici presentati da Gumperz assolvono la funzione di “metacomunicazione” studiata da Bateson (1972), e segnalano il tipo di attività in corso (Levinson, 1979) .22
Gli indici di contestualizzazione, fondamentalmente, assolvono ad una sorta di orchestrazione
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musicale del parlato (Bercelli,1999) che consente a i parlanti di riconoscere ciò che stanno facendo momento per momento. Riprendendo la sintesi offerta da Bercelli (1999), solitamente i segnali si sovrappongono al parlato segmentandolo in “segmenti di parlato” prodotti e segnalati prosodicamente, e li costituiscono come “unità intonative” (Chafe,1994) riconoscibili da: pause, rotture di ritmo, accelerazioni. Tali unità sono espressione linguistica di un’informazione che prima è nella mente del parlante e poi grazie ad esse diventa attiva nella coscienza dell’ascoltatore (ibidem).
Un aspetto cruciale riguarda il modo in cui un cue connota il senso di un segmento: gli indici non contribuiscono al significato in modo univoco ma si limitano a marcare un elemento rispetto allo sfondo, suggerendone un’interpretazione piuttosto che un’altra, perchè dipendono da convenzioni culturali
Infatti è il riconoscimento del tipo di attività in corso, a cui gli indici certamente contribuiscono, ad essere necessario per determinare i significati referenziali dei termini e degli enunciati espressi.
Nel 1984 Sacks, nel suo pionieristico On doing “being ordinary”, adottò un approccio etnometodologico verso ciò che poteva essere definito ordinario. Nella sua argomentazione non affermava l’esistenza di categorie di persone o di esperienze necessariamente ordinarie, ma piuttosto propendeva per ipotesi che queste lo potessero diventare. Perciò l’ordinarietà, che consiste nell’apparire “no different”, sembra essere qualcosa a cui lavorare al fine di poterla raggiungere durante l’interazione.
Le interazioni ordinarie rappresentano il modello di base della comunicazione interpersonale di natura simmetrica. Nelle interazioni ordinarie “ciò che uno può, possono gli altri” (Leonardi, Viaro, 1983, p. 147) e tutti i partecipanti all'interazione possono, momento per momento, indirizzare l'andamento della conversazione. Si parla a questo proposito di organizzazione gestita dello scambio comunicativo (Sacks, Schegloff, Jefferson, 1974) che si concretizza nell'alternanza del turno di parola. Nelle interazioni fra pari si nota che, a ogni potenziale completamento del turno, è dato a tutti i partecipanti il diritto di prendere la parola. La conversazione ordinaria, pertanto, presenta come caratteristica primaria: la simmetria tra i partecipanti.
Tutti, in egual misura, possono prendere la parola. L'interazione è locale e contingente (Sacks, Schegloff, Jeffferson, 1974) non è dato a sapere chi parlerà per primo, quanto e di che cosa parlerà, tutto è deciso al momento con turni che sono prevalentemente più brevi rispetto alla conversazione istituzionale. Nella conversazione ordinaria è attivo il sistema di presa di turno: il parlante ha diritto di parlare fino al raggiungimento del cosiddetto primo possibile completamento dell'unità del suo turno (Turn- Constructional Units: TCU). A questo punto vi è il punto di rilevanza transizionale dove la selezione del parlante successivo può essere fatta per etero-selezione o auto-selezione. Una volta che chi parla ha terminato la sua unità discorsiva, i partecipanti hanno a disposizione un set ordinato e ricorsivo di opzioni. Anche le pause segnano i punti di rilevanza transizionale, il trattamento del
silenzio è contingente rispetto al suo posizionamento, un silenzio dopo una risposta è diverso rispetto ad un silenzio dopo una domanda (Auer, Couper-Kuhlen e Müller, 1999; Couper-Kuhlen, 1993). Se le tre opzioni di presa di turno dopo un silenzio non vengono messe in atto il meccanismo della presa di turno continua ad essere operativo fino a quando qualcuno non riprende a parlare. Si parla in questo caso di “Silenzio rumoroso" tra due persone che in una conversazione rinunciano a prendere il turno (Fele, 1999, 2007). Il sistema della presa di turno costituisce una specificazione di quell'ordine di fenomeni che Goffman ha chiamato "ordine dell'interazione" e Garfinkel "proprietà del campo fenomenico" si tratta di una delle occasioni in cui il nostro ambito di azione e la nostra intenzionalità individuale si trovano ad essere “composti” in una organizzazione locale specifica, che richiede tempi e modi determinati per la sua espressione.
Diverso è ciò che avviene nelle conversazioni di tipo asimmetrico, vale a dire quelle che hanno luogo in contesti istituzionali e professionali (Bercelli, 1999) e che verranno illustrate nel prossimo paragrafo.