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MANAGING FLOW

2.4 Principi dell’analisi della conversazione

2.4.4 Punto di vista dei partecipant

L’Analisi della Conversazione presenta una prospettiva emica , cioè non mira a 19

ricostruire strutture astratte o a imporre categorie esterne ai dati ossia non segue una prospettiva top-down, ma si pone il problema del significato assegnato che soggetti protagonisti dei fenomeni indagati assegnano a tali fenomeni. Prestare attenzione al punto di vista assunto dai partecipanti ad un’interazione consente di porre l’attenzione sulle interpretazioni che i partecipanti ad un’interazione danno all’interazione stessa. Prestare attenzione alla dimensione emica permette anche di cogliere quello che Sacks, Schegloff e Jefferson hanno definito “recipient

design” (Sacks, Schegloff e Jefferson, 1974) ovvero si tratta di quel fenomeno che

rivela come “come qualsiasi struttura di aspettativa nell’interazione sociale viene

modellata esattamente rispetto alle circostanze particolari e all’identità specifica dell’interlocutore in un determinato momento” (Fele, 2007, p. 27). In altre parole in

qualsiasi interazione chi parla è costantemente orientato al suo interlocutore e adatta le sue parole alla tipologia di persona che si trova davanti.

Prestando attenzione ad assumere un punto di vista etico si cerca, cioè, una sorta di allineamento tra l’analisi compiuta dal ricercatore e la visione che assumono gli interagenti all’interno della conversazione indagata (Orletti, 1994).

Emic e etic sono termini usati nelle scienze sociali e del comportamento, coniati dal linguista

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Kenneth L. Pike mutuandoli dalle desinenze delle parole inglesi phonemics e phonetics. I due termini vengono solitamente tradotti in italiano con l'espressione emico-etico. In antropologia il termine emic si riferisce al punto di vista degli attori sociali, alle loro credenze e ai loro valori. Etic si riferisce invece alla rappresentazione dei medesimi fenomeni ad opera del ricercatore, indica il tipo di ricerca orientata a ricercare strutture ricorrenti nei fenomeni.

2.4.5 Contesto

Contesto è uno di quei termini “ombrello” che può assumere significati e accezioni differenti. Come argomenta Caronia (1997, p. 121) ) ci possono essere almeno quattro differenti nozioni di contesto: 1- contesto come insieme delle variabili presenti in un setting ( chi, quando e dove dell’interazione) che si configurano come fattori extralonguistici ma decisivi rispetto alle modalità di realizzazione dell’interazione stessa; 2- contesto come costrutto discorsivo ovvero ciò che viene detto prima e dopo all’interno di un estratto di conversazione; 3- contesto come metacomunicazione rispetto a ciò che viene detto; 4- contesto come costrutto fenomenologico ovvero quel contesto creato ed evocato dai partecipanti ad un’interazione. Secondo quest’ultima accezione sono i partecipanti stessi a “comunicare” all’analista quale contesto diviene per loro rilevante. In altre parole, lo status sociale o il luogo dell’interazione (es. ospedale, tribunale o scuola) non sono rilevanti a priori ma lo possono divenire solo se gli interagenti scelgono di fare riferimento a queste particolari dimensioni.

Per l’Analisi della Conversazione il contesto è anzitutto quello che i partecipanti mostrano di considerare rilevante all’interno del loro contributo. Per quest’approccio non esiste un contesto precostruito rispetto all’interazione, composto da fattori sociali che determinano in modo preciso l’andamento della conversazione (status socio economico, istituzione ruolo ricoperto, sesso, cultura di provenienza) quanto piuttosto è proprio l’interazione in atto a modellare il contesto e a rendere rilevanti certe dimensioni del contesto stesso attraverso l’azione comunicativa dei soggetti che ne prendono parte (Orletti, 1994). Nella maggior parte dei casi in cui analizziamo un’interazione non siamo in grado di definire a priori quali aspetti del contesto

saranno pertinenti e rilevanti. È il cosiddetto problema della pertinenza formulato da Schegloff (1992) . 20

La definizione di “contesto” è divenuta uno degli aspetti più controversi e dibattuti all’interno degli studi dell’analisi della conversazione .

Nella prima generazione di studi di tipo sociolinguistico il “mondo delle parole” viene considerato come organizzato, strutturato e ordinato (Labov, 1966), e questo approccio si sforza di individuare quali siano queste strutture di base attraverso le quali le persone interagiscono e si comprendono quotidianamente.

La seconda generazione di studio in sociolinguistica si propone di riprendere queste basi teoriche con l’obiettivo di connettere le strutture linguistiche individuate nella prima generazione con il contesto sociale. Questo legame teorico viene reso possibile grazie al contributo degli antropologi del linguaggio (Malinowski, 1923; Duranti, 1988) i quali hanno scelto di prestare attenzione al contesto considerandolo come un punto di riferimento fondamentale per riuscire ad attribuire senso all’azione ai significati che assume l’azione stessa. All’interno di questi studi vengono ripresi concetti come quello di “contextualization cues” (Gumperz, 1982), “frame” e di “footing”(Goffman, 1981). Questi concetti vengono usati soprattutto per sottolineare quanto l’interazione sia fortemente legata al contesto in cui avviene l’interazione e al “frame” che gli interagenti scelgono di adottare. Anche l’etnometodologia di Garfinkel (1967) ha contribuito all’analisi del contesto in interazione grazie alla riflessione sulle caratteristiche indessicali del contesto, del discorso e del comportamento.

Strettamente legata alla definizione del contesto è la questione legata alla definizione delle identità

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sociali degli interagenti. Non possiamo decidere a priori se l’identità sociale di una persona conti o meno nel dare forma all’interazione ma dobbiamo prestare una continua attenzione alle identità che sono attivate e rese rilevanti dai partecipanti stessi. Quando scegliamo un’identità piuttosto che un’altra dobbiamo saperla giustificare e domandarci costantemente se l’identità scelta ( ad esempio “mamma”, “genitore”, “insegnante”) sia effettivamente quella resa rilevante dagli interlocutori durante l’intero corso dell’interazione. (Duranti, 1997).

Secondo la teoria degli atti linguistici (Austin,1962), invece, le parole si compiono delle azioni, e si sottolinea il carattere performativo del linguaggio. Vi è una visione pragmatica del linguaggio :“parlare è fare”, con le parole non solo si esprimono concetti ma si compiono inevitabilmente anche delle azioni. Labov e Fanshel (1977) mostrano come terapista e paziente, attraverso determinate scelte lessicali, diano un’impressione dei rispettivi ruoli. Gli autori parlano in questo caso di “surface” di regole e azioni condivise che vengono attivati nel discorso dei partecipanti. i parlanti attraverso il loro modo di strutturare la conversazione e i turni di parola rendono rilevanti determinati ruoli professionali e contesti professionali. Il contesto emerge così dal discorso.

Rispetto a queste teorie, l’analisi della conversazione studia l’organizzazione specifica delle azioni sociali evitando tuttavia le eccessive formalizzazioni. In questo senso l’analisi della conversazione sceglie di prestare attenzione al parlato-in-stituazione. Il contesto preso in considerazione è quello al quale i parlanti fanno riferimento e non viene considerato come sovraimposto. Tuttavia l’analisi della conversazione tiene presente anche il fatto che il contesto denota il senso delle pratiche che divengono “context shaped” (azione informata dal contesto) e al tempo stesso il contesto è continuamente prodotto e ri-prodotto da coloro che interagiscono, “context

renewing” (azione che produce il contesto)(Goodwin, Heritage, 1990) .