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MANAGING FLOW

2.5 Le caratteristiche e i meccanismi della conversazione

Come abbiamo già detto l’Analisi della Conversazione parte dal presupposto che la conversazione non sia prodotta casualmente ma, piuttosto, che sia governata da meccanismi sequenziali e locali grazie ai quali i messaggi (non solo verbali) prodotti dai partecipanti acquisiscono senso durante lo scambio interazionale.

Tali meccanismi sono infatti utili per studiare come il senso di un’interazione sia intersoggettivamente negoziato attraverso le relazioni che intercorrono tra ciò che

viene detto da una persona in un determinato momento, ciò che ha preceduto tale mossa, e ciò che verrà detto immediatamente dopo.

Tali meccanismi sono ben visibili quando si osservano alcuni dei problemi tipici della conversazione: i casi in cui nessuno parla, e in casi in cui parlano più persone contemporaneamente.

Uno dei primi oggetti di studio, non a caso, è stato identificato da Sacks, Schegloff e Jefferson (1974) nel “passaggio di turno” che fa parte del più ampio meccanismo dell’alternanza dei turni che regola la gestione dei turni conversazionali.

Come scritto dagli autori stessi, nella conversazione ordinaria, l’alternanza dei parlanti si ripete più volte, o comunque almeno una e generalmente si parla uno alla volta. Può capitare che i parlanti si sovrappongano per breve tempo, ma situazioni di questo tipo hanno una durata molto limitata. Questo perché ci sono aggiustamenti che riportano a quello che è stato definito il modello base della conversazione in cui si parla “uno alla volta”. Per quanto il passaggio al turno successivo senza pause o sovrapposizioni sia comune, nella stragrande maggioranza dei casi le transizioni sono caratterizzate da brevi silenzi o sovrapposizioni (ibidem).

Come riportato anche da Gavioli (1999) e da Fele(1999), il passaggio di turno da un parlante all’altro non avviene casualmente, ma è negoziato attraverso azioni tipiche messe in atto in un determinato modo; il passaggio avviene in punti di possibile completamento, perché terminata un’unità discorsiva (negoziata e gestita all’interno dell’interazione) ci sono tre possibilità (Sacks, Schegloff, Jefferson, 1974):

1. Chi parla chiama in causa l’interlocutore come parlante successivo (eteroselezione);

2. Uno dei partecipanti che stava ascoltando inizia a parlare (autoselezione); 3. Chi parla continua a parlare.

Un aspetto interessante da osservare, che riguarda l’autoselezione, è che questa dà luogo, di solito, a due fenomeni: brevi sovrapposizioni tra la fine del turno precedente e l’inizio del turno nuovo, e inizi simultanei di più partecipanti.

Ciò avviene perché il meccanismo di autoselezione, che detto in altre parole potrebbe essere “parla chi inizia per primo”, si verifica sempre in anticipo al punto di rilevanza transazionale (PRT) , ovvero quel punto in cui il turno può considerarsi concluso (Gavioli, 1999).

Le sovrapposizioni avvengono proprio perché ogni turno è formato da unità costitutive anch’esse negoziate durante l’interazione e non stabilite a priori, e quindi non ha una durata prestabilita ma può considerarsi completo con il PRT, riconoscibile grazie ai rallentamenti e alla presenza di pause messe in atto per consentire il passaggio di turno da un parlante all’altro (ibidem).

Infatti, la dimensione, la lunghezza, la distribuzione, relative ai turni non sono mai prestabilite, ma variano, così come varia la successione dei turni. Inoltre, è possibile trovare turni brevi che comprendono una sola parola oppure turni più estesi costruiti da intere frasi (Sacks, Schegloff, Jefferson, 1974).

È curioso notare, a tal proposito che quando si verificano turni estesi, nei quali il meccanismo di alternanza viene sospeso, ad esempio quando un parlante racconta un aneddoto o una barzelletta, è necessaria la presenza di un lavoro preparatorio che giustifichi la durata prolungata dell’intervento (in altre parole è necessario far capire agli interlocutori che si racconterà una storia e portato si occuperà maggiore spazio comunicativo.

Un altro meccanismo cruciale negli studi dell’Analisi della Conversazione riguarda le “coppie adiacenti” (Schegloff, 1968, 1972): coppie di turni che solitamente si verificano uno in risposta all’altro e complete solo se si verificano entrambe le parti. Sono dette adiacenti perché legate da un rapporto di “rilevanza condizionale” (Schegloff, 1972) in quanto la prima parte della coppia rende rilevante la seconda.

Esempi di coppia adiacente sono la domanda e la risposta, oppure il saluto e il ricambiare il saluto stesso, o ancora un’offerta e l’accettazione o il rifiuto di questa.

L’aspetto interessante del legame tra i due turni che si verificano l’uno di seguito all’altro, è che nel caso di assenza della seconda parte, essa diventa un’assenza significativa (Gavioli, 1999); si pensi ad un saluto che non viene ricambiato.

Le coppie adiacenti si prestano come esempio perfetto per identificare l’unità di base della conversazione che non è l’atto linguistico compiuto, ma il “processo di adiacenza” delle azioni basato su un principio di sequenzialità: ogni turno ha contemporaneamente un aspetto, retrospettivo, presente e prospettivo e si lega inevitabilmente a ciò che lo precede e ciò che lo segue (Fele, 1999).

Ci sono dei casi particolari di adiacenza che si verificano quando il legame tra gli elementi della sequenza viene a essere governato da alcune caratteristiche dell’elemento iniziale che prefigura la rilevanza di un limitato e prevedibile ventaglio di accadimenti per il turno successivo; Schegloff e Sacks (Schegloff e Sacks, 1973) definiscono tale legame “implicatività sequenziale” e ciò avviene in quelle che sono chiamate “coppie adiacenti”.

Come elencate da Fele (2007) sono cinque le caratteristiche delle coppie adiacenti:

1. Sono composte da due turni

2. Il posizionamento degli enunciati che compongono i turni è adiacente 3. Sono previsti parlanti diversi per ciascun enunciato

4. L’ordine relativo delle parti (cioè, la prima parte della coppia precede la seconda parte della coppia)

5. La presenza di relazioni discriminanti (cioè, il tipo di coppia di cui la prima parte è membro è rilevante per la selezione tra seconde parti possibili).

L a n o z i o n e d i c o p p i e a d i a c e n t i c o m p o r t a q u e l l a d i “ r i l e v a n z a

condizionale” (Schegloff, 1968): dato l’occorrere di un primo elemento, un secondo

elemento è “atteso”, e ciò comporta di poter parlare di “assenza” nel caso in cui l’elemento atteso non si verificasse (se ad un saluto con si risponde con un saluto, l’assenza di questo diventa significativa). Le coppie “saluto/saluto”, “domanda/ risposta”, “invito/accettazione o declino” rendono immediatamente chiari i principi

di adiacenza e sequenzialità - anche se, talvolta, sono previste “sequenze inserto” (Schegloff, 1972) ossia sequenze inserite tra la prima e la seconda parte della coppia adiacente, che possono espandere e/o ritardare la risposta, ad esempio: chiedere un chiarimento prima di accettare o rifiutare un’offerta (Gavioli, 1999).

La nozione di copie adiacenti introduce in modo particolarmente rilevante due altri meccanismi che entrano in gioco durante la conversazione la “preferenza” e il

“rimedio”.

Coppie come l’offerta – accettazione/rifiuto, le quali presentano nella seconda parte un’alternativa tra due possibili risposte che non sono equivalenti, si prestano a questo tipo di analisi. Le due scelte non sono trattate allo stesso modo (Levinson, 1983), ma le risposte che soddisfano o accordano con l’invito, la richiesta, l’offerta sono definite “preferite” e, invece, quelle che rifiutano, declinano, esprimono disaccordo “dispreferite” (Gavioli, 1999).

Parlare di “preferenza” può indurre a pensare che ci sia un legame di aspettative con la risposta che si desidera ricevere, e quindi con l’accordo, ma non è così. Piuttosto, azioni “preferite” lo diventano in base al turno che le precede: ad esempio se l’accordo segue un giudizio o un’offerta può essere inteso come preferito, diversamente, se l’accordo segue un’autocritica diventa in quel caso un’azione dispreferita. L’aspetto che più differisce nelle due azioni è che mentre l’azione preferita, di norma, si verifica immediatamente dopo la prima parte della coppia (l’offerta), la dispreferita viene introdotta da una sorta di premessa, fatta di scuse, esitazioni, ritardi, giustificazioni. Come definito da Pomerantz l’azione dispreferita viene sistematicamente “rimediata” ( Atkinson, Heritage, 1974; Pomerantz, 1984). Secondo Sacks, Schegloff & Jefferson (1974: 727), un altro meccanismo fondamentale dell’interazione è il recipient design. Gli autori sottolineano come i partecipanti ad un’interazione siano sensibili al contesto in cui comunicano, e tendano ad orientare il proprio discorso proprio in funzione del contesto in cui si svolge l’interazione. Con il termine recipient design si intende prestare attenzione alla molteplicità di aspetti di cui un individuo deve tener conto quando progetta e

costruisce il proprio discorso orale. Per massimizzare la probabilità di successo del proprio intervento di parola, un parlante si deve adattare alla persona con cui interagisce, all’ambiente e ad altri eventuali interlocutori presenti. Il recipient design mostra come il parlante interpreta e dota di significato la situazione nella quale si trova ad interagire (Giglioli & Fele 2000). In altre parole, durante un’interazione gli interlocutori prestano continua attenzione ai loro destinatari e lo rendono evidente attraverso la selezione di determinate parole, dalla postura del corpo, dall’intonazione della voce. Un’esempio di recipient design estremamente evidente è quando i parlanti scelgono di raccontare un fatto o un evento. Quando si sceglie cosa raccontare si presta attenzione al contesto in cui ci si trova e all’interlocutore con il quale si parla. Le storie possono essere raccontate per legarsi a topic particolari dell’interazione cercando di essere pertinenti. La scelta della storia è fortemente orientata a prestare attenzione all’interlocutore, per esempio si cerca di evitare di raccontare una storia a qualcuno che già la conosce. Questo mostra come nella costruzione dell’interazione noi siamo sempre orientati al nostro interlocutore in modo da massimizzare in senso di affiliazione (Sacks 1974; Sidnell, 2009).

Un ulteriore meccanismo che caratterizza la conversazione umana è quello della formulazione. Per Testa (1994) le formulazioni sono strategie per comunicare un particolare tipo di comprensione di quanto detto nella conversazione. Per gli autori padri dell’analisi della conversazione, la formulazione è la pratica di mettere in parola quanto sta accadendo nella conversazione (Garfinkel e Sacks, 1970); attraverso un insieme di pratiche (nominare, descrivere, spiegare) i partecipanti alla conversazione trasformano la conversazione stessa in oggetto di conversazione.Per Heritage (1985) la formulazione è il modo di riprendere “lo spirito” di quanto è stato detto, ciò che per Orletti (1983) diventa “glossa”: riprendere quanto detto rielaborandone il senso. Sono difatti importanti strategie di negoziazione: il parlante attraverso esse propone la sua comprensione di quanto detto dal suo interlocutore manifestando ricerca di accordo o disaccordo. Le formulazioni svolgono un ruolo costitutivo della conversazione e sono altamente riflessive perché costruite secondo

le modalità del contesto in cui esse vengono messe in atto ( Caronia, 1997). Nelle interazioni può infatti verificarsi che il terzo turno sia occupato da riformulazioni del secondo turno che possono essere considerate come le “versioni finali” dei fatti.

Il terzo turno consiste nel turno immediatamente successivo a una coppia di elementi adiacenti (come una domanda e una risposta), e viene utilizzato, di solito, per commentare, valutare, esprimere un giudizio, rifiutare, o anche per dare feedback e per comunicare di aver ascoltato ciò che è stato appena detto. Spesso, il terzo turno viene utilizzato per formulare un riepilogo di ciò che è stato detto nel turno precedente, e sebbene si possa pensare che questa sia una mossa neutrale, in realtà attraverso il riepilogo è possibile risalire ai concetti ritenuti rilevanti da chi ha dato inizio alla coppia adiacente, prestando attenzione agli aspetti che vengono ripresi, riassunti, riformulati (Orletti, 2000).

Dal punto linguistico la formulazione è un tipico atto metacomunicativo. L'uso della formulazione è frequente nelle interazioni istituzionali in cui è opportuno usare un certo tipo di linguaggio istituzionale e in cui gli esperti hanno bisogno di classificare gli eventi dei pazienti all’interno di particolari categorie conoscitive (Goodwin, 1994). Infine, un aspetto estremamente interessante per gli analisti della conversazione riguarda la presenza dei meccanismi di riparazione per errori che si verificano durante la presa dei turni, utili per gestire i problemi di comprensione (per l’ascoltatore) e di produzione (per il parlante) (Fele, 2007; Sidnell, 2010).

Tali meccanismi non si interessano alle questioni grammaticali o sintattiche della conversazione, bensì si preoccupano della comprensione delle persone coinvolte nell’interazione. Essi sono una prova della co-costruzione della comprensione reciproca, e dell’esistenza degli aspetti temporali, locali e procedurali della conoscenza che viene negoziata, condivisa, rivisitata all’interno di interazioni intersoggettive e reciproche (Schegloff, 2000; Ochs, Schegloff, Thompson, 1996; Raymond, 2003). Come sostiene Fele (2007, p.45), “la riparazione è lo strumento fondamentale che i partecipanti ad una conversazione usano per riportare gli eventi

alla normalità quando qualcosa va storto nell’interazione riguardo alla propria o altrui comprensione degli eventi in corso”.

Le riparazioni possibili per i partecipanti ad un’interazione sono di tre tipi e avvengono quando nel discorso i parlanti incontrano una “fonte di disturbo”:

1. Autoriparazione (auto-iniziata): avviene quando il parlante, dopo essersi accorto che qualcosa di ciò che sta dicendo non va bene o non viene compresa dall’interlocutore, si autocorregge mentre parla;

2. Richiesta di correzione: etero-inizio e auto completamento: l’interlocutore, nel momento in cui non comprende o ha dei dubbi sulla correttezza dell’enunciato, può chiedere un chiarimento che porta colui che ha formulato l’enunciato finire. Questo può avvenire tramite l’uso di “repair initiator” ovvero l’uso di domande di chiarimento come “chi?”, “cosa?” (Schegloff, 1997). Oppure l’uso di “echo

question” ovvero di domande che ripetono una parte del turo del parlante in

modo da fargli percepire un possibile problema (Duranti, 2000, p.234).

3. Etero-riparazione (etero-iniziata e auto-completata): l’interlocutore può anche correggere il parlante, riformulando un pezzo del suo discorso (ad es. “volevi dire...”), anche in modo dubitativo, inducendo il primo parlante a confermare la riparazione proposta (Drew, 1997) . 21

Generalmente, il meccanismo della riparazione viene iniziato nel turno successivo a quello in cui compare il problema (trouble source). L’uso della riparazione serve per eliminare la fonte di disturbo e incomprensione in modo che la conversazione posso continuare a scorrere. Pertanto la riparazione viene considerata come un aggiustamento intersoggettivo (Heritage, 1984, pp.254-260).

Norrik (1991) sottolinea come le eteroriparazioni, sembrerebbero tipiche di situazioni

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sociali asimmetriche quali, ad esempio, la relazione genitori/figli, insegnante/alunni, parlanti nativi/parlanti di seconda lingua. A tal riguardo, il repair e, in particolare, l’other iniziated

repair sembra essere uno strumento fondamentale per favorire l’apprendimento tramite la

A seguito di questa rassegna relativa ai principali meccanismi comunicativi che vengono studiati dall’analisi della conversazione, crediamo possa essere utile presentare anche una breve rassegna di come si sono organizzati gli studi di analisi della conversazione in un continuum temporale. Partiremo pertanto presentando i temi e gli interessi degli studi di prima generazione fino ad arrivare all’analisi della conversazione applicata che caratterizza gli studi di terza generazione.