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MANAGING FLOW

2.1 Introduzione: lo studio della vita quotidiana

A partire dal ‘900 è possibile assistere a un radicale cambiamento nel modo di studiare e descrivere i fenomeni all’interno delle scienze sociali (Jedlowski, 2007) con lo scopo di fornire nuove modalità attraverso le quali leggere ed interpretare i rapidi cambiamenti sociali (Jedlowski, 2009). La svolta del modo di pensare e vedere la realtà sociale che ha accompagnato il ‘900 ha cercato di mettere in luce la complessità e la ricchezza della vita quotidiana e delle relazioni intersoggettive restituendo “spazio” alla soggettività. Lo scopo è quello di mostrare le complesse attività attraverso cui i soggetti danno forma alla vita in comune e al mondo, cercando di superare una logica deterministica.

La realtà della vita quotidiana viene a configurarsi come l’oggetto di studio e di interesse primario. L’attenzione viene posta sui micro-dettagli delle interazioni ordinarie. Tale svolta nel modo di porsi nei confronti della realtà dipende sopratutto dal tipo di “sguardo” che viene adottato piuttosto che dall’oggetto di ricerca. Si tratta, infatti, di uno sguardo che si posa sugli interstizi del quotidiano e delle interazioni, su quelle dimensioni della vita ritenute “ naturali” e che rientrano all’interno di più ampi processi culturali che consentono la comprensione reciproca e la vita all’interno di una determinata società e in un determinato periodo storico. I dettagli, in questo senso, non riguardano ciò che è piccolo o nascosto ma piuttosto quelle dinamiche che vengono poste ai “margini” dell’attenzione e che proprio per il fatto di essere assunte come “naturali” spesso rientrano in schemi di interpretazione e semplificazione della realtà che divengono difficili da cogliere senza portare in luce il dettaglio (Jedlowski, 2007).

Portare in luce questi micro-dettagli consente appunto di farli emergere da quegli spazi residuali dove il pensiero quotidiano li ha relegati. Anche riflettendo sulla stessa definizione di “quotidiano” si può cogliere come essa faccia riferimento a qualcosa che è percepito come familiare, conosciuto e ovvio.

In questa sede può essere utile fare riferimento ad alcuni autori che hanno avuto il merito di fornire chiavi di lettura e interpretazione della complessità interattiva che caratterizza la realtà quotidiana e sociale. Facendo riferimento al quadro teorico che caratterizza questa ricerca, fra i primi autori possiamo citare Shutz (1899-1959) il quale ha avuto il merito di declinare la prospettiva fenomenologica all’interno delle scienze sociali con particolare attenzione a come, attraverso le relazioni intersoggettive, gli individui danno forma a quello che il suo maestro aveva definito “Lebenswelt” o “mondo della vita”( Husserl, 1936) .

La realtà viene vista dall’autore come un insieme di significati (e non di fatti) mutualmente condivisi che si configurano come il risultato di un accordo intersoggettivo. La realtà risulta sempre compresa e interpretata all’interno di certi schemi o “Tipi”. Ogni cultura possiede un repertorio di “Tipi” che consentono agli individui di organizzare e strutturare la complessità della realtà entro certe categorie. Gli individui costruiscono “tipi di realtà” che gli consentono di classificare cose, persone, situazioni in accordo tacito e mutuale con la propria cultura di appartenenza. Queste forme di classificazione permettono agli individui di sviluppare una sorta di atteggiamento naturale che si concretizza in abitudini, routine che danno forma a quel “senso comune” che fa si che gli individui non debbano interrogarsi continuamente su ogni aspetto della realtà.

Questi modi di interpretare e organizzare il reale sono costantemente prodotti e mantenuti in e attraverso le relazioni con gli altri (Bertolini, 1988). I modi di conoscere la realtà sono continuamente reificati attraverso le interazioni quotidiane che risultano a loro volta mediate dal linguaggio (principale artefatto semiotico) che struttura la realtà quotidiana e pertanto può rappresentare un interessante oggetto di

analisi per comprendere attraverso quali pratiche gli individui definiscono il loro “mondo della vita”.

L’attenzione verso le interazioni sociali e la loro “forza” di plasmare l’ordine e la struttura sociale è presente anche all’interno degli studi condotti da Goffman (1922-1982). Attraverso lo studio delle interazioni faccia a faccia, l’autore ha identificato le regole tacite e socialmente condivise dell’interazione sociale arrivando a identificare anche alcune strutture ripetitive e “rituali” attraverso le quali l’interazione prende forma. Lo scopo dell’autore è quello di riuscire a descrivere la struttura che regola le interazioni sociali a partire proprio dalla descrizione delle sue regole (Giglioli, 1990 ). Goffman sostiene che l’interazione faccia a faccia sia caratterizzata da un lato più “tecnico” fatto di regole strutturali che governano la conversazione e da un lato più “morale-rituale” che riguarda la dimensione identitaria del sé e la volontà di salvaguardare la propria immagine (l’autore la definisce “facciata”) durante un’interazione. L’autore per sottolineare questa dimensione “morale-rituale” fa rifermento ad una metafora drammaturgica paragonando l’interazione faccia a faccia al teatro. La vita quotidiana viene definita come una scena teatrale composta dalla dimensione “on stage” (la vita pubblica, ciò che si cerca di mostrare e far vedere all’interlocutore) e da una dimensione di retroscena (vita privata). Da questa metafora derivano poi modi specifici di vedere e interpretare le relazioni sociali che sono considerate come organizzate da regole, rituali, ruoli ai quali i partecipanti si conformano in modo spesso tacito. Questo accordo tacito si basa sulla condivisine di una cornice interpretativa o “frame” che legittima la presenza di certe azioni e di certi comportamenti fornendo il senso dell’interazione stessa. Goffman nota come le persone siano costantemente orientate ad organizzare il quotidiano attraverso la definizione del “frame” entro il quale agiscono e si relazionano. Il “frame” consente di incorniciare e definire le situazioni rendendo rilevanti gli elementi del contesto che i partecipanti stessi considerano significativi, permette di definire il senso della situazione e guida le interpretazioni delle azioni dei partecipanti. Attraverso il concetto di “frame”, Goffman, cerca di porre in luce quanto

le interazioni quotidiane, che possono apparire scontate, siano invece ricche di elementi di complessità e di spunti di riflessione per interpretare e comprendere quale senso i partecipanti attribuiscono alla realtà nella quale sono inserti.

L’interesse per il senso che i partecipanti attribuiscono alle interazioni quotidiane diviene l’oggetto di studio anche dell’etnometodologia una corrente di pensiero che si sviluppa a partire dalla idee di Garfinkel (1917- 2011) che è stato allievo di Schutz e che negli anni ’50 ha frequentato i corsi del suo maestro alla New School for Social

Research a New York. Questa disciplina cerca di comprendere e analizzare

quell’insieme di attività ordinarie attraverso le quali gli individui costruiscono reciprocamente il senso delle azioni compiute tra gli altri, con gli altri e per gli altri. L’attenzione è posta verso quelle azioni ritenute “naturali”, che non vengono sottoposte al vaglio della coscienza (che rientrano nel senso comune) e che in un certo senso testimoniano il nostro grado di appartenenza alla società e ad una determinata cultura (Fele, 2002). Attraverso gli etnometodi, ovvero i modi di interpretare la realtà, gli individui organizzano e conferiscono senso al mondo arrivando a definire anche una serie di aspettative di condotta che vanno a dare forma alla dimensione morale presente in ogni interazione sociale (Fele, 2000). I comportamenti degli individui devono essere in qualche modo comprensibili, spiegabili e riconoscibili dagli altri (accountable) anche in relazione al contesto in cui si verificano‑15. In relazione al ruolo

del linguaggio, la prospettiva dell’etnometodologia cerca di scardinare l’interpretazione proposta dalle scienze sociali (Duranti, 2004) secondo le quali il linguaggio sarebbe solo una risorsa simbolica per descrivere i fenomeni sociali. L’etonomedologia propone, invece, una visione performativa del linguaggio: le parole vengono considerate come capaci di dare forma ai fenomeni stessi, il parlare viene considerato come azione (Duranti, 1997 ), come un modo “per fare qualcosa” e non solo “per dire qualcosa” .

! Questa caratteristica viene definita “indicalità” ed è tipica delle interazioni in cui le pratiche 15

Per studiare come gli individui costruiscono la “quotidianità” attraverso le interazioni, l’attenzione dei ricercatori sopracitati si è orientata a portare in evidenza ed analizzare tutto ciò che concerne il “parlare” ovvero l’insieme di linguaggi e “discorsi” che accompagnano questa definizione mutuale di realtà. Partire dal presupposto che la realtà è mutualmente costruita, ci porta inevitabilmente a riflettere anche su alcuni concetti chiave proposti dalla fenomenologia dell’educazione proprio in relazione ai limiti e alle risorse che possono caratterizzare una ricerca volta ad individuare le modalità attraverso le quali i soggetti costruiscono il senso della realtà quotidiana.