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Storicità del diritto La bandiera di una battaglia di Tommaso Greco

2. Diritto “al passato”

Storicità del diritto è innanzi tutto consapevolezza della neces- saria – cioè ineliminabile, consustanziale, forse si potrebbe dire ontologica – relazione tra il diritto e la storia, tra il diritto e la vita. In che senso? Oppure, in quanti sensi?

Qui non si tratta del rapporto che il diritto intrattiene con il tempo in quanto dimensione estrinseca (insieme allo spazio) della

sua validità formale 9. Se questo sembra essere l’unico modo in cui

diritto e tempo si relazionano per la tradizione hobbesiano-ben- thamiana del pensiero giuridico moderno, esiste d’altra parte una tradizione per la quale il tempo assume una dimensione costituti- va del diritto stesso; per la quale, in altre parole, non è pensabile un diritto che non entri in relazione strutturale con il tempo in cui es-

so si esprime 10, e a cui esso – occorre aggiungere – dà espressione.

Guardando alla tradizione storicistica – che è tradizione mo- derna anch’essa, ma consapevolmente avversa al filone giusnatu- ralistico e contrattualistico, poi sfociato nel positivismo giuridico formalistico – un primo senso dell’affermazione secondo cui c’è una relazione costitutiva tra diritto e storia è quello che vede il di- ritto vivente sempre in dialogo con la storia che sta alle sue spalle: esso non solo è frutto di un passato, di uno svolgimento delle vi- cende umane che proprio nel diritto trova il suo compimento, ma con quel passato continua ad essere in dialogo perché altrimenti risulterebbe incomprensibile. Questo passato è fatto di “lotte per il diritto”, come ci ricorda Rudolf von Jhering, ed è fatto anche, più semplicemente, di tutto ciò che ha reso possibile o necessaria una determinata norma giuridica. Da questo punto di vista, non diversamente da tutto ciò che esiste, anche il diritto «è, innanzi- tutto, al di là di tutto e prima di tutto, il suo passato» 11. Se storici-

9 Una esemplificazione classica è in H. KELSEN, Teoria generale del diritto e

dello Stato, Etas, Milano 1984, p. 42 s.

10 Per un quadro generale ricco di spunti, cfr. M. BRETONE, Diritto e tempo

nella tradizione europea, Laterza, Roma-Bari 2004.

11 A. BALLARINI, Hypotheses non fingo. Studi di diritto positivo, Giappichelli,

tà indica dunque «la condizione propria di tutte le cose umane», ecco la necessità di approfondire la conoscenza delle radici stori- che di ogni materiale, proprio nella consapevolezza che nei mate- riali storici è possibile rintracciare quella «presenza dell’antico

con la sua capacità di influenzare e condizionare» 12.

Lungi dal pensare che «l’oblio delle origini è salutare per il giurista» 13, il difensore della storicità del diritto andrà perciò alla

ricerca di queste origini, non tanto, o non solo, perché è convinto che in esse si celi qualcosa di profondo e di vero, quanto soprat- tutto perché la coscienza della continuità storica gli appare un elemento ineliminabile della conoscenza e della pratica giuridi-

ca 14. Nota è l’immagine – usata da Paolo Grossi – della linea, la

cui ricostruzione è compito specifico dello storico del diritto, da affiancare al punto, di cui si occupa il giurista positivo. Scrive, ad esempio, l’illustre storico fiorentino: «c’è una linea che si distende unitaria, perché il diritto è vita, non è scritto sulle nuvole ma sulla pelle degli uomini, e saranno proprio i grandi problemi della vita a fornire il continuum spirituale dello storico» 15.

Questo filo della continuità storica – che permette, peraltro, di

assegnare il diritto alla dimensione del «relativo» 16 – appare, allo

stesso tempo, come oggetto e come metodo del lavoro del giuri- sta, perché se esso rappresenta precisamente l’obiettivo della ri-

12 Cfr. G. MARINI, Jakob Grimm, Guida Editori, Napoli 1972, p. 144. 13 M. LA TORRE, Amicizie pericolose. Tortura e diritto, in Riv. fil. dir., 2015, n.

2, p. 271.

14 «Se il diritto “vive” nel tempo, se il tempo ne è una caratteristica costituti-

va, comprendere il diritto vuol dire comprenderlo come storia. Il sistema può essere scoperto solo nella storia, perché è una realtà storica il “nesso organico” fra gli istituti che lo compongono» (M. BRETONE, Diritto e tempo nella tradizio-

ne europea, cit., p. 64). Si vedano le limpide pagine dedicate a “la scienza giuri-

dica come scienza storica” da G. MARINI, Savigny e il metodo della scienza giuri-

dica, Giuffrè, Milano 1966, p. 104 ss.

15 P. GROSSI, Il punto e la linea. L’impatto degli studi storici nella formazione

del giurista, 1995, in ID., Società, Diritto, Stato. Un recupero per il diritto, Giuffrè,

Milano 2006, p. 7.

16 Così afferma Paolo Grossi, in I.BELLONI-E.RIPEPE (a cura di), Incontro

cerca, ne costituisce al contempo uno dei suoi presupposti metodo- logici, nel momento in cui la ricerca si dipana, non lungo catene concettuali razionalisticamente determinate – e quindi astratte –,

bensì lungo nessi storicamente concreti 17. C’è un rifiuto del “si-

stema”, inteso come schema di connessioni astrattamente fissate nel quale si vuole «dedurre ogni determinazione empirica da un

concetto primario e fondamentale» 18; e c’è, invece, una ricerca

delle connessioni concrete che si dipanano lungo la storia e che

fanno, a loro modo, sistema 19. Ciò spiega anche il rifiuto della

dogmatica, parola per certi versi tanto cara ai giuristi e che invece un autorevolissimo storico del diritto come Francesco Calasso considerava «la più infelice parola che il linguaggio dei giuristi possegga», meravigliandosi del fatto che «un tale concetto abbia potuto trapassare nel mondo del diritto», un concetto tanto “sta- tico” dentro quella «esperienza tutta umana per eccellenza gover-

nata dalla legge del movimento» 20.

Ecco allora, muovendo da quest’ultimo spunto, un secondo senso da attribuire al legame tra diritto e storia: un senso forse ancora più importante di quello precedente, e certamente più im- portante sul piano della pratica. Quel sentimento della continuità che fa volgere lo sguardo al passato non è relegato al piano cono- scitivo, ma diventa principio di individuazione del meccanismo interno che presiede – e che deve presiedere – alla individuazione e allo sviluppo del diritto, anche nel presente.

Si può forse parlare qui di un «diritto “al passato”» – nel sen- so di un diritto coniugato nel presente, ma appunto con lo sguar- do rivolto al passato – il quale esce della stanze e dalle pagine del- lo studioso, che ne ha fatto oggetto e metodo della propria ricer-

17 Cfr. G. MARINI, Savigny e il metodo della scienza giuridica, cit., p. 93 ss. 18 G. MARINI, Jakob Grimm, cit., p. 152.

19 «Il diritto e ogni altra manifestazione storica devono essere seguiti stori-

camente, avvicinati nella loro fisionomia reale, che è anche fisionomia comples- siva: ma non fisionomia dedotta arbitrariamente da un unico principio, bensì ricercata nello spirito che pervade tutte le parti» (ivi, p. 152).

20 F. CALASSO, Storicità del diritto e scienza del diritto, 1963, in ID., Storicità

ca, e diventa indicazione politica: diventa una indicazione di poli- tica del diritto.

Il «diritto (coniugato) al passato» diventa in tal modo difesa di un diritto che affonda le sue radici nella storia e nell’esperien- za, certo non per rimanere fisso e immutabile – perché la vita è una continua «tensione al mutamento», direbbe l’ultimo “ispira-

to” Zagrebelsky 21 – ma che si rinnova a partire da ciò che sta alle

sue spalle, piuttosto che da ciò che gli sta dinnanzi. Un diritto generato dunque da quella che Ferdinand Tönnies chiamava vo- lontà essenziale, e che rappresenta il principio del suo radica- mento nella storia e nella vita, piuttosto che da una volontà arbi-

traria, generata da principi ancora “astratti”, che non hanno an-

cora saputo farsi strada a sufficienza nella realtà dei rapporti in-

dividuali e sociali 22. In questo senso, il diritto – che è sempre un

qualcosa che si fa (si applica, si interpreta) nel presente per proiettarsi nel futuro – trae dunque le sue determinazioni dalla storia, non nel senso banale che esso si limita ad accogliere passi- vamente nelle sue norme i rapporti (di forza) dati, bensì nel sen- so che esso si cala pienamente nella realtà dalla quale nasce, per assecondarne lo sviluppo.

21 G. ZAGREBELSKY, Senza adulti, Einaudi, Torino 2016, p. VII.

22 Com’è noto, nel suo classico lavoro su Comunità e società (la cui prima

edizione risale al 1887), Ferdinand Tönnies distingue due tipi di volontà, in rela- zione al rapporto che essa intrattiene con il pensiero: «la volontà in quanto in essa è contenuto il pensiero, e il pensiero in quanto in essa è contenuta la volon- tà». Mentre la volontà essenziale, tipica della comunità, «è l’equivalente psicolo- gico del corpo umano, cioè il principio dell’unità della vita» e in quanto tale «implica il pensiero», la volontà arbitraria, tipica della società, «è una formazio- ne del pensiero stesso, la quale possiede quindi una vera e propria realtà soltan- to in relazione al suo autore». Da ciò discende che la volontà essenziale, in quan- to «immanente al movimento», «è fondata sul passato e deve essere spiegata in base a questo, come il divenire che ne deriva», mentre la volontà arbitraria, che è trascendente in quanto «non possiede se non un’esistenza posta in pensieri», «precede l’attività alla quale si riferisce e ne rimane al di fuori» (F. TÖNNIES,

Comunità e società, a cura di R. TREVES, Edizioni di Comunità, Milano 1963, pp.