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Storicità del diritto La bandiera di una battaglia di Tommaso Greco

3. Diritto spontaneo

Tutto ciò appare estremamente coerente con il fatto che “sto- ricità del diritto” abbia significato anche fede nell’esistenza di un diritto “spontaneo”, e soprattutto convinzione che nella sponta- neità e nello sviluppo graduale si esprima quella che viene consi- derata la “vera” natura del diritto. Una natura che si sviluppa ap- punto storicamente, lungo strade non battute dal volontarismo legicentrico ma occupate piuttosto dal lento (anche se forse non sempre armonioso) evolversi delle vicende umane. Questo essere mutevole secondo linee continue, linee che perciò non prevedono tagli e interruzioni, è alla base del noto parallelismo tra diritto e linguaggio – «il cuore della dottrina della scuola storica del dirit-

to» 23 –, più volte richiamato da Savigny nel suo celebre libretto

del 1814, come ad esempio quando scrive che il «nesso organico tra il diritto e l’essenza e il carattere del popolo si conserva anche nel progredire dei tempi, anche in questo paragonabile alla lin- gua. Come per la lingua, infatti, anche per il diritto non esiste un momento di stasi assoluta; esso è soggetto allo stesso movimento e alla stessa evoluzione di ogni altra funzione del popolo, e questa funzione obbedisce anch’essa alla stessa legge di necessità interna

che governa il fenomeno antichissimo della lingua» 24.

Questa tesi, che solo nel lento stratificarsi della storia e della vita il diritto si formi legittimamente, perché solo per questa via esso appare davvero vicino ai bisogni giuridici della società e dei suoi membri, ha condotto a vedere nella consuetudine – proprio

in quanto «si origina dal basso e dal particolare» 25 – la fonte del

diritto più adatta e più conforme alla natura e alla funzione del fe- nomeno giuridico. Come scriveva ancora una volta Savigny, «ogni diritto ha la sua origine in quello che l’uso corrente con qualche inesattezza chiama diritto consuetudinario, vale a dire che il dirit-

23 G. MARINI, Jakob Grimm, cit., p. 173.

24 F.C. VON SAVIGNY, La vocazione del nostro tempo per la legislazione e la

giurisprudenza, 1814, in A.F.J. THIBAUT-F.C.SAVIGNY, La polemica sulla codifi-

cazione, a cura di G. MARINI, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1992, p. 99.

to è creato prima dai costumi e dalle credenze popolari, e poi dal- la giurisprudenza», il che significa che esso «è sempre opera dun- que di forze interiori che agiscono silenziosamente e non dell’ar-

bitrio di un legislatore» 26. Opinione che, certo, è consegnata alla

storia del pensiero giuridico e ha in questa una sua collocazione precisa nell’ambito della polemica anticodicistica svoltasi in Ger- mania nei primi decenni del secolo XIX, e che tuttavia sembra individuare un punto cruciale dell’esperienza giuridica, là dove segnala che il diritto non è mai riducibile totalmente alla dimen- sione volontaristica e potestativa e conserva una dimensione – che può essere chiamata ordinamentale o istituzionale –, la quale

(ri)emerge ogni qualvolta il sistema formalizzato entra in crisi 27.

A questa convinzione fa da pendant l’avversione per l’interven- to del legislatore. La quale, ancor prima di essere una avversione politica, si presenta come avversione motivata teoricamente, a partire proprio dall’idea di diritto. Se il diritto è spontaneità, in- fatti, l’interruzione di questa spontaneità non può che apparire innaturale, quindi arbitraria. Giuliano Marini così sintetizzava l’idea di Savigny nel suo lavoro su Jakob Grimm: «Il diritto è par- te della vita del popolo, sorge dalla sua vita, dalla sua fede, dai suoi costumi, in uno sviluppo lento, organico, spontaneo; l’intro-

missione del legislatore vi suona arbitrio, violenza, corruzione» 28.

Punto delicato, questo, tanto più oggi quando il legislatore appare nel medesimo tempo onnipotente e inadeguato, sul quale è perciò opportuno soffermarsi, valutando l’impatto che le criti- che ad esso rivolte possono avere sulla tenuta della tesi storicisti- ca. La critica principale all’argomento della spontaneità, avanzata da Jhering in un suo saggio in commemorazione di Savigny, era innanzi tutto politica: se si fosse aspettata l’evoluzione delle cose, diceva l’ex adepto della giurisprudenza dei concetti, non ci sa-

26 F.C.SAVIGNY, La vocazione del nostro tempo …, cit., p. 101.

27 Cfr. ad es. due scritti lontani nel tempo, ma accomunati da questa mede-

sima convinzione: N. BOBBIO, La consuetudine come fatto normativo, 1942, In- troduzione di P. GROSSI, Giappichelli, Torino 2010, e P. GROSSI, Globalizzazio-

ne, diritto, scienza giuridica, 2002, in ID., Società, Diritto, Stato, cit., p. 279 ss.

rebbero state molte delle soluzioni giuridiche che pure ci paiono accettabili e persino giuste. Jhering faceva riferimento a quei casi (la schiavitù, l’abbandono dei minori, l’eliminazione dei vecchi inutilizzabili) nei quali si può registrare l’«emergenza del senti-

mento del diritto rispetto al diritto», casi del tutto particolari e an-

che rari, nei quali l’evoluzione del diritto si deve «a singoli indivi- dui eminenti, che innanzi tutto si liberano dalle visioni tradiziona- li e, guadagnando alla propria causa l’opinione pubblica, costrin-

gono la legislazione a imboccare la strada da essi indicata» 29.

Considerando il punto di vista assunto dalla scuola storica era certamente più confacente domandarsi se anche i “salti” non fa- cessero parte della storia, e quindi se non fosse “storia” da pren- dere in considerazione anche l’intervento di una volontà legisla- trice. E di fatto era anche questa la domanda che Jhering poneva a Savigny, in pagine pur così fitte di ammirazione e di ricono- scenza (il saggio cominciava riferendosi al Maestro appena scom- parso designandolo con le celebri parole: «la stella più splendida

che la giurisprudenza tedesca potesse esibire» 30).

Quella teoria così spesso meccanicamente riproposta del divenire “organico”, dello sviluppo a partire dall’interno per quanto rappre- sentasse un progresso così grande rispetto alla concezione della sto- ria razionalistica del secolo precedente, portava e porta in sé il ri- schio di una aberrazione non minore, da un altro lato; cioè quella di

sotto-valutare, quanto la prima aveva sopra-valutato, il valore e l’im-

portanza della forza attiva dell’uomo, il ruolo che la decisione libera, la riflessione e l’intenzione giocano nella storia. Nella rappresenta-

29 R. VON JHERING, Storia dello sviluppo del diritto romano. Introduzione:

compito e metodo della storiografia giuridica, in ID., La lotta per il diritto e altri

saggi, a cura di R. RACINARO, Giuffrè, Milano 1989, p. 227. «Se avessimo dovuto attendere – continua Jhering – che si destasse il sentimento del diritto del popo- lo avremmo ancora il diritto di mare, i processi contro le streghe, le pene disu- mane del medioevo e molti altri orrori, per cui il sentimento del diritto del po- polo una volta non sentiva neanche il minimo sdegno. Il fatto che noi lo sentia- mo non lo dobbiamo ad esso, ma alla visione e agli sforzi di spiriti illuminati, che vedevano più in là del popolo» (ivi, p. 228).

30 R. VON JHERING, Friedrich Carl von Savigny, 1861, in ID., La lotta per il di-

zione di molti membri di quella scuola il fare dell’uomo, il far presa consapevole e calcolato sul movimento dello sviluppo storico, è af- fetto da una macchia, proprio come se il compito dell’uomo fosse quello di mettere le mani in grembo e di aspettare finché il genio della storia gli faccia capitare ciò che è necessario mentre dorme e nella forma del “divenire”, e come se anche nel passato qualcosa fos- se mai “divenuto”, altrimenti che attraverso e per mezzo del “fare” dell’uomo 31.

È proprio il fare dell’uomo a fare la storia, il che significa che esso fa anche il diritto. E lo fa persino quando pensiamo che non lo faccia perché non riusciamo a individuarne l’origine o i soggetti: «la semplice circostanza, che non possiamo indicare un fare, dice

ancora Jhering, non ci autorizza ancora a supporre un divenire» 32.

L’obiezione di Jhering è importante perché permette di sotto- lineare come il riferimento al fare non comporti necessariamente lo smarrimento della storicità. Non a caso, quel fine studioso e in- terprete della scuola storica che fu Giuliano Marini, oltre a mette- re in luce come nel pensiero del primo Savigny fosse presente l’idea della «storicità della legislazione» 33, presentava il pensiero di

Jhering come dissoluzione critica del patrimonio teorico di quella scuola, per «il rifiuto di strumenti teorici come la fiducia in una originaria spontaneità creativa del popolo e di atteggiamenti prati- ci come la contrarietà alla legislazione», sottolineandone però la capacità di portare quella medesima scuola ad una «conclusione

positiva, per la fedeltà mantenuta, sia pure con nuovi strumenti,

alla tesi della storicità del diritto e della scienza giuridica» 34. I

«nuovi concetti di lotta, di interesse, di scopo» apparivano a Ma- rini come un qualcosa che non ostacolava «l’interpretazione stori- cistica del mondo umano», ma che anzi erano «in grado di perfe-

31 Ivi, pp. 62-63.

32 R. VON JHERING, Storia dello sviluppo del diritto romano, cit., p. 217. 33 G. MARINI, Savigny e il metodo della scienza giuridica, cit., p. 102 s. 34 G. MARINI, La storicità del diritto e della scienza giuridica nel pensiero di

Jhering, in Jherings Erber. Göttinger Symposion zur 150. Wiederkehr des

Geburtstags von Rudolph von Jhering. Hg. von Franz Wieacker und Christian Wollschläger, Wandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1970, pp. 155-56.

zionarla, nella direzione di uno storicismo antimetafisico, sensibile

alle indicazioni della scienza» 35. Così, se per Jakob Grimm – ce lo

ricorda ancora Marini – «la dottrina dell’origine legislativa del di- ritto […] doveva apparire non sufficientemente storica, perché il

diritto in tal modo era come staccato dalla vita» 36, per Jhering era

proprio l’intervento attivo di soggetti illuminati che poteva invece garantire quella dinamicità del diritto e del sentimento del diritto senza la quale davvero il diritto si stacca dalla vita.

Si può sottolineare, allora, un primo punto conclusivo, po- nendolo in maniera interrogativa: alla domanda su quanto sia es- senziale per la storicità del diritto il riferimento al diritto sponta-

neo 37 si può aggiungere (o addirittura sostituire) quella relativa

alla possibilità di riformulare il tema della spontaneità, rendendo- lo inclusivo di pratiche giuridiche diverse da quelle che danno vi- ta al diritto consuetudinario (ad es., come vedremo subito, il dirit- to giurisprudenziale). Conclusione che rende lo storicismo com- patibile sia con la consapevolezza che anche ciò che ci appare, o che trattiamo, come “spontaneo” è comunque frutto di una azio- ne dell’uomo, sia con la piena convinzione che l’azione con cui l’uomo vuole il diritto è un’azione storica anch’essa, che si fa me- diatrice tra il passato e il futuro di una determinata comunità po- litica e giuridica.