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di Marco Cossutta

4. La determinazione del diritto nel processo

Fra le molte due sono le questioni che qui appaiono degne di rilievo. La prima, di carattere generale, è offerta dal rapporto fra il diritto come fatto storico ed il diritto come valore. La seconda,

Novecento; basti qui richiamare il movimento per il diritto libero e la prospetti- va della scuola scientifica di Gény. Rileva in proposito Fassò come «Capograssi […] tirava le somme, pur se da una posizione personalissima, di un movimento che sotto vari e spesso contradditori aspetti era in atto da tempo», G. FASSÒ,

Storia della filosofia del diritto, vol. III, cit., p. 393.

17 E. OPOCHER, La filosofia dell’esperienza giuridica, cit., p. 85. 18 Cfr. E. OPOCHER, sub voce Esperienza giuridica, cit., p. 746. 19 E. OPOCHER, La filosofia dell’esperienza giuridica, cit., p. 77.

che rappresenta una sorta di specificazione della prima, inerisce al ruolo del giurista nella individuazione/definizione del proprio oggetto: il diritto (non la legge, la cui posizione è di altrui compi- to, non la morale, dato che la stessa, in se stessa, esula dalla sua sfera di competenza).

Il rapporto fra il diritto come fatto e il diritto come valore è in vero centrale, a maggior ragione discutendo di storicismo giuridi- co. All’interno di questa sua particolare declinazione, ove «il di-

ritto è valore perché legato alla realtà empirica» 20, va ben chiarito

cosa possa intendersi con (ovvero cosa sottenda a) l’espressione «realtà empirica».

Ciò anche (e soprattutto) al fine di evitare derive determinate da una superficiale lettura degli hegeliani Lineamenti di filosofia

del diritto, che potrebbero indurre l’osservatore a ritenere lo sto-

ricismo giuridico e con questo la nostra particolare declinazione, un momento giustificazionista dello status quo.

La «realtà empirica» evocata dalla prospettiva dell’esperienza giuridica è quella relativa alla dimensione umana. Se il diritto è l’incarnarsi nella storia dell’eticità, se insomma il diritto si ri- connette all’eticità, allora lo stesso non può negare il valore della persona (qui sono evidenti echi intuizionistici ed impronte vi- chiane riconducibili all’assunto per il quale l’assoluto non è tra- scendente all’individuale ed a questo opposto, all’incontrario nell’individuale – il certo – è presente e si concreta il vero; se per Vico la vera realtà è la storia, l’individuale, di cui la storia è co- stituita, ha la stessa verità dell’universale, tanto da ritenere che l’universale sia l’individuale nel quale prende forma concreta e reale).

In altri termini, il soggetto in azione (nel suo slancio vitale) non può negare se stesso 21.

Vi è pertanto un dato prescrittivo proprio a questa versione dello storicismo giuridico, che si accosta ad un dato descrittivo,

20 E. OPOCHER, sub voce Esperienza giuridica, cit., p. 736; cfr. anche ID., La

filosofia dell’esperienza giuridica, cit., p. 81.

per il qual il diritto è specchio della condizione umana, la riflette

mostrandola per quella che è 22.

In questa accezione descrittiva il diritto rielabora in modo puntuale gli “umori sociali”, ne è espressione (si pensi ai già ri- chiamati éndoxa, che partecipano alla determinazione del diritto); pur tuttavia il diritto è il frutto di una storia umana che pone al centro dell’esperienza se stessa: la persona, l’«uomo della strada», l’uomo comune.

La centralità del soggetto individuale e la necessità di riconsi-

derare il fenomeno giuridico in tutte le sue implicazioni sociali 23,

approfondendo l’incidenza del meta-giuridico sulla vita del dirit- to (della adspiration sulla pression), riconducono il diritto al farsi stesso della persona umana, dell’universale nell’individuale.

Tale afflato prescrittivo, proprio alla prospettiva dell’esperien- za giuridica che lo eredita dall’intuizionismo e ancor prima dal pensiero di Vico, interseca con l’hegeliano «sii una persona e ri- spetta gli altri come persone», così come lo leggiamo nel § 36 dei

Lineamenti di filosofia del diritto.

È quindi il riconoscimento della assoluta e pertanto impre- scindibile centralità della persona umana (non dell’individuo astratto del liberalismo), che preserverebbe tale prospettiva dalle derive giustificazionistiche dell’esistente, del valore del diritto qua- le specchio oggettivo, nel bene e nel male, del concretizzarsi sto- rico dell’umanità.

Il diritto vale in quanto fa valere la persona umana. È, quindi, la fede assoluta nella persona umana (ma a ben vedere in un Tra-

scendente assoluto che si incarna nella Provvidenza: Vico, Berg-

son, Blondel sono sullo sfondo della – sia pur originale – specula-

zione capograssiana 24) a preservare il diritto da ogni acritica ac-

cettazione dell’esistente ed a far sì che tale prospettiva ambisca a palesarsi quale alternativa radicale all’autoritarismo/totalitarismo

22 Cfr. ibidem, p. 94.

23 Cfr. ibidem, p. 84 e sub voce Esperienza giuridica, cit., p. 742.

24 Non va sottaciuta la constatazione di Guido Fassò che riconosce in Capo-

grassi un «filosofo a tendenza mistica, profondamente sensibile al fatto religio- so», così in G. FASSÒ, Storia della filosofia del diritto, vol. III, cit., p. 391.

ed alla spersonalizzazione dell’individuo nell’attuale società con- temporanea 25.

La seconda questione qui posta, il ruolo del giurista nell’iter di individuazione/definizione del diritto, ci conduce dalle apparenti

fumisterie capograssiane 26 a quello che è stato definito «un ramo

non fecondo» del suo pensiero, in particolare la «sua veduta, se- condo cui il processo giurisdizionale serve a concretare le norme

sostanziali, altrimenti destinate a rimanere mere ipotesi, larve» 27.

Non possiamo qui seguire, come in altra sede, l’itinerario criti- co di Fazzalari, ci limitiamo a rammentare che, da quanto sopra premesso, per Capograssi è proprio il processo il luogo in cui il diritto si svolge, ove si assiste alla trasformazione della legge gene-

rale in legge del caso concreto 28. Quindi il diritto, che garantisce

all’interno del processo la “attuazione di giusta giustizia”, non è la legge; per dirla con Piovani, «non è una proposizione comandata

ma un’esperienza ordinata» 29.

Il diritto, in buona sostanza, va intuito all’interno del processo 30.

25 Vedi E. OPOCHER, La filosofia dell’esperienza giuridica, cit., p. 85 ove sot-

tolinea come «la filosofia dell’esperienza giuridica si pone come una concezione decisamente “antitotalistica” e chiaramente esprime una reazione della cultura giuridica e filosofica italiana nei confronti dell’esperienza nazifascista e, succes- sivamente, della sempre più accentuata “massificazione” dell’individuo imposta dall’avvento della società industriale».

26 Così G. TARELLO, Orientamenti della magistratura e della dottrina sulla

funzione politica del giurista-interprete, in P. BARCELLONA (a cura di), L’uso al- ternativo del diritto, I, Bari 1973, p. 76.

27 E. FAZZALAI, Valori permanenti del processo, in Iustitia, XLII, 1983, n. 3,

p. 238.

28 Cfr. G. CAPOGRASSI, Giudizio processo scienza verità, cit., p. 56.

29 «Il diritto non è una proposizione comandata ma un’esperienza ordinata. Il

diritto non è la legge, non perché pretenda essere fuori dalle leggi o sopra le leggi, ma perché è l’insieme sistematico di leggi applicate, leggi nate per soddisfare sco- pi di individui umani e messe in opera da individui umani per i loro scopi, con i vari modi che i vari scopi possono implicare», P. PIOVANI, Introduzione, a G. CAPOGRASSI, Il problema della scienza del diritto, Milano 1962, p. XV.

30 Per Capograssi, «l’interpretazione è ineliminabile dalla vita giuridica non

per la pretesa generalità della legge, non perché la legge non possa prevedere i casi singoli, ma perché la singola norma, la singola legge, il singolo comando che

Tale affermazione non è, a ben vedere, propria soltanto al fu-

moso Capograssi, se di lì a poco verrà, sia pure su altro sfondo

teoretico, istituzionalizzata da Giannini e Crisafulli, che osservano il primo operato della Corte costituzionale, quella Corte all’in- terno della quale Capograssi fu nominato, ma, a causa della pre- matura morte, non poté insediarsi. Ci riferiamo ovviamente alla

celeberrima distinzione fra disposizione e norma 31.

La norma giuridica (o diritto, che dir si voglia) è il frutto del- l’incontro inevitabile tra disposizione legislativa e quel portato meta-giuridico (valori, interessi) a cui si faceva sopra riferimento. Incontro che si sostanzia nell’attività interpretativa, alla quale in prima persona partecipa il giurista (impegnato vuoi nella giuri- sprudenza in senso stretto, vuoi nella dottrina).

L’attività interpretativa opera, in questa prospettiva, un trasfe- rimento di valori dall’ambito prettamente sociale a quello più propriamente giuridico (su questo punto si rimanda, sempre nel- l’ambito della prospettiva dell’esperienza giuridica, all’opera di

sono sempre particolari formazioni, debbono essere ricondotti alla loro vera es- senza spirituale e razionale e non possono esserlo, se non in quanto sono ripor- tati a questa profonda esigenza di formazione della vita giuridica come unità, come realizzazione dei principi costitutivi di questa vita, solo per i quali quelle leggi quei comandi quelle norme singole hanno significato e valore originale», citiamo da G. CAPOGRASSI, Il problema della scienza del diritto, ora in Opere, II, Milano 1959 (ma 1937), p. 490. Specifica Capograssi di come «in altri termini si tratta di cogliere la razionalità concreta che dà il valore all’azione che fa il valore dell’azione. Questa ricerca del principio o valore al quale misurare l’azione e decidere in virtù di essa la controversia è un ritrovamento del principio adegua- to alla controversia. È indifferente se il principio sia già obiettivamente posto prima e al di fuori della controversia: non si tratta di trovare un principio gene- rale come si farebbe in una ricerca teorica, si tratta di trovare il principio che costituisce il valore al quale adeguare l’azione o le azioni che formano l’oggetto della controversia. […] La regola alla quale conformare l’azione, che deve rego- lare l’azione, si presenta appunto come regola decisiva della controversia e cioè come regola che è uscita fuori dalla sua generalità indistinta e si è concretata e determinata in modo da poter essere misura adeguata dell’azione che è concreta e determinata», ibidem, p. 530.

31 Cfr. M.S. GIANNINI, Alcuni caratteri della giurisdizione di legittimità della

norma, in Giur. cost., I, 1956, nn. 4-5 e V. CRISAFULLI, sub voce Disposizione (e norma), in Enc. dir., 1964.

Luigi Caiani, ove con chiarezza traspare l’idea della storicità del diritto 32).

Non quindi mera ri-cognizione sui testi legislativi da applicarsi al caso di specie, piuttosto vera e propria determinazione della norma giuridica nel processo (e per il processo), sì da evitare lo «spettacolare gioco della parti», a cui fa cenno Salvatore Satta nella sua voce Giurisdizione 33.

In definitiva si tratta di porre in essere nel processo e più in generale nell’attività giurisprudenziale una sorta di attività inter- pretativa inter-sistematica, che, abbandonando l’idea di applica- zione formalistica della legge, permetta, attraverso il recupero delle impurità meta-giuridiche, di determinare la regola (la norma giuridica o il diritto che dir si voglia) atto a dirimere la controver- sia ed ad offrire soddisfazione sociale.

In questo contesto, la norma vale in quanto frutto dell’espe-

32 Per Caiani «dal punto di vista giuridico (come sotto molti aspetti anche da

quello scientifico) il linguaggio è un fenomeno tipicamente sociale, e quindi che l’uso da parte del legislatore di determinati significati linguistici, che si riferisco- no a cose, a concetti, a situazioni, a bisogni, a interessi o a comportamenti, di- pende in ultima analisi dal valore sociale che essi vengono mano a mano assu- mendo. Valore che pertanto non è affatto così oggettivo e immutabile come po- trebbe sembrare». Questo, infatti, seguendo il pensiero del giurista padovano, dipende da molteplici fattori «in cui concorrono vuoi la costitutiva storicità e dialetticità delle istituzioni e dei rapporti umani, che pertanto si riflette sullo stesso significato dei termini che vi si riferiscono, vuoi, in particolare, tutti quegli altri elementi di carattere sociale ed anche tecnico […] nel quale date parole vengono usate e introdotte». Da qui deriva «la modificazione del loro significato in ragione della evoluzione storica della realtà e dei rapporti sociali cui essi si riferiscono». In questo modo, per l’autore, si coglie «il processo di traduzione e recezione delle valutazioni sociali metagiuridiche nell’ambito dell’ordinamento positivo, cioè in forma giuridicamente valida […]. Vale a dire che è in questo compito fondamentale della giurisprudenza che si può cogliere, in un certo sen- so, lo stesso processo produttivo del diritto, il quale invero, da questo punto di vista, potrebbe esser visto come un processo sempre più approssimato e deter- minato di traduzione dei giudizi di valore operanti socialmente in giudizi di va- lore operanti giuridicamente», le citazioni sono tratte da L. CAIANI, I giudizi di

valore nell’interpretazione giuridica, Padova 1954, p. 209 ss.

33 «È come se si riducesse l’ordinamento ad uno spettacolare giuoco delle

parti, di cui una pone la legge, l’altra la applica, l’una comanda, l’altra trasmette il comando e obbedisce o fa obbedire», così a p. 220.

rienza comune, quindi della storia; qui l’attività del giurista ri- acquista dignità, in quanto non chiamato, quale razionale del legi- slatore, a rendere ragione ai potenti di turno, ma investito nel processo di determinazione del diritto.

Per chiudere con le parole del mio Maestro, Francesco Genti- le, «tutto questo consente di riconoscere la funzione politica del giurista, quali ne siano i ruoli specifici, quella cioè di tradurre in controversia i conflitti, sicché ancora più chiara ne risulti la terri- bile responsabilità comunitaria» 34.

34 F. GENTILE, La controversia alle radici dell’esperienza giuridica, in P. PER-

Storicità del diritto. La bandiera di una battaglia