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L’accostamento analitico al diritto Strumenti e metod

linguistico Il contesto e le ragion

4. L’accostamento analitico al diritto Strumenti e metod

Nelle pagine degli scritti degli anni ’50 22, nelle quali veniva ri-

chiamata l’attenzione dei giuristi e della cultura giuridica sugli indirizzi metodologici facenti capo all’empirismo logico, a co- minciare dalle pagine di Scienza del diritto e analisi del linguag-

gio, non sono mancati alcuni fraintendimenti nell’interpretazio-

ne dello stesso orientamento logico-empiristico. Primo fra tutti, quello, rilevante ai fini dell’affermazione della scientificità della giurisprudenza, rappresentato dall’attribuzione all’empirismo logico della concezione della scienza come analisi del linguag-

19 Cfr. il Prologo a la ediciòn espanola, p. 11, con cui Bobbio apre il volume

A. RUIZ MIGUEL (a cura di), Contribuciòn a la teoria del derecho, Torres Valen- cia, 1980, nel quale sono raccolti, tradotti in lingua spagnola, diciotto saggi di Bobbio. Cfr. anche P.BORSELLINO, Norberto Bobbio: profilo dello studioso, in C. VIOLI (a cura di), Norbero Bobbio, A Bibliography, Giuffrè, Milano 1984, p. 61.

20 N.BOBBIO, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, in Riv. trim. dir. e

proc. civ., 1950, pp. 342-367.

21 E. PATTARO, Il positivismo giuridico italiano dalla rinascita alla crisi, in Pol.

dir., 1972, pp. 821-852.

gio 23. Ma, al di là dei fraintendimenti, da Bobbio, peraltro, supe-

rati negli sviluppi successivi della sua riflessione, quegli scritti co- glievano puntualmente la fertilità di un approccio, che porta a in- tendere il diritto «non come un mondo a sé, un campo autonomo dell’esperienza o l’oggetto di una particolarissima esperienza nor- mativa, ma come un discorso in ciò non distinguibile (come gene- re) da altri discorsi» 24.

Per Bobbio, e per gli studiosi che hanno tratto stimolo dal suo insegnamento, accostarsi all’orientamento analitico-linguistico ha significato, prima di tutto, ricevere l’importante sollecitazione a portare su un ben definito piano di riferimento, quello rappresen- tato, appunto, dalla dimensione linguistica del diritto o, più sem- plicemente, dal diritto come linguaggio, la riflessione filosofico- giuridica volta, nella prospettiva critico-metodologica propria del-

la cosiddetta “filosofia del diritto dei giuristi” 25, al chiarimento

23 Nel sottolineare il carattere innovativo della concezione logico-positivistica

della scienza e nel sottoporla all’attenzione dei giuristi e dei teorici generali, Bobbio ha, infatti, inizialmente posto l’accento sulla costruzione di discorsi rigo- rosi, individuandovi la condizione non solo necessaria, ma anche sufficiente del- la scientificità, sottovalutando, però, con ciò quell’esigenza di «trovare una fon- dazione al discorso rigoroso che permettesse di considerarlo non solamente ri- goroso ma anche discorso in qualche senso empirico» (M. JORI, Il metodo giuri-

dico tra scienza e politica, Giuffrè, Milano 1976, p. 52), che anche il positivismo

logico più liberalizzato ha sempre tenuto ferma nel caso in cui non si stia par- lando di scienze formali. Cfr., sul punto, P.BORSELLINO, Norberto Bobbio meta-

teorico del diritto, cit., in particolare il capitolo secondo.

24 R. GUASTINI, Norberto Bobbio: analisi del linguaggio e teoria formale del di-

ritto (I) 1949-1960, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 1978, p.

301.

25 Di “filosofia del diritto dei giuristi”, contrapposta alla “filosofia del diritto

dei filosofi” Bobbio aveva parlato, infatti, nel 1965, in uno dei suoi lavori più no- ti, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, per caratterizzare in maniera sintetica ed efficace due diversi modi di intendere e di praticare la filosofia del diritto e per prendere decisamente posizione a favore di quello a cui rimanda la prima delle due formule. La “filosofia del diritto dei filosofi” – notava Bobbio – è quella pra- ticata dai filosofi del diritto che ritengono di poter ricavare soluzioni appropriate, e magari definitive, per i problemi che si presentano nel campo dell’esperienza giuridica, “applicando” a tale specifico ambito gli assunti generali di uno tra i molteplici indirizzi che concepiscono la filosofia come ricerca sui massimi pro- blemi. La filosofia del diritto dei filosofi è, detto in altri termini, la pretenziosa

dei presupposti concettuali, degli assunti valutativi, dei modelli di regolazione giuridica sottesi alla disciplina di una determinata materia. E ha significato poter realizzare tale riflessione avvalen- dosi di uno strumentario teorico, tipicamente analitico-linguisti- co, costituito, innanzitutto, da una concezione del linguaggio e del significato, destinate ad avere importanti ripercussioni sul complessivo apparato di concetti che concorrono a configurare l’universo del diritto.

Il riferimento è alla concezione convenzionalistica, in base alla quale il linguaggio va riguardato come un insieme di segni che, attraverso complicati processi, sono stati posti in altrettanto complesse relazioni tra loro e con elementi di esperienza non lin- guistica, per rispondere a bisogni degli utenti, dove le relazioni

non sono casuali, ma conformi a regole 26. Quindi, linguaggio

ricerca che mira all’individuazione delle soluzioni normative appropriate, o addi- rittura necessitate, per diversi problemi, sulla base della delimitazione, a livello concettuale, delle proprietà ontologiche costitutive di determinati enti, ad esem- pio dell’ente persona, o dell’ente diritto stesso, e questo sul presupposto che vi siano valori e disvalori inerenti a certi stati di cose ed eventi e, correlativamente, prescrizioni e valutazioni fondabili sulle proposizioni cognitive che a quegli stati ed eventi si riferiscono. La “filosofia del diritto dei giuristi” è, invece, il differente approccio del filosofo del diritto che si impegna nell’adempimento di un più mo- desto compito critico o metodologico, non perdendo mai di vista il diritto, nelle sue espressioni storicamente determinate, e ciò che fanno i giuristi, anzi facendo specifico oggetto di riflessione proprio il diritto, il discorso delle norme e i di- scorsi sulle norme Da una parte, la fiducia nella praticabilità di sintesi ardite, rea- lizzate compiendo «evoluzioni nei cieli della metafisica». Dall’altra parte, l’ado- zione di uno “stile di lavoro”, verso il quale Bobbio ha sempre manifestato una decisa propensione, in cui si dà precedenza all’analisi sulla sintesi, a muovere dal- la convinzione che questa sia la strada da percorrere se si hanno a cuore la chia- rezza e il rigore concettuale, se non si vuole correre il rischio «di costruire … case di sabbia in cui nessuno andrebbe volentieri ad abitare» e, soprattutto, se si ade- risce alla «credenza nell’estrema fallibilità dell’intelletto umano e nella provviso- rietà (e rivedibilità) delle sintesi cui esso può giungere nel tentativo di unire orga- nicamente i dati raccolti». Cfr. N. BOBBIO, Giusnaturalismo e positivismo giuridi-

co, Edizioni di Comunità, Milano 1965, pp. 44-45. Cfr. anche P.BORSELLINO,

Bobbio “filosofo del diritto dei giuristi”, in M. SAPORITI (a cura di), Norberto Bob- bio: rigore intellettuale e impegno civile, Giappichelli, Torino 2016, pp. 29-45.

26 Cfr. U. SCARPELLI, Filosofia analitica, norme, valori, Comunità, Milano,

come complesso fenomeno culturale, segnato, in modo determi-

nante, dall’intervento umano 27. E linguaggio come struttura re-

golativa, cioè come insieme di segni governato da regole (sintat- tiche, semantiche, pragmatiche), che giocano un ruolo fonda- mentale nella determinazione del rapporto tra segni, significati e utenti. Una prospettiva, questa, nella quale il significato non va considerato come un ente mentale, trait d’union tra le parole e le cose, bensì come la complessa relazione tra segni ed elementi non linguistici istituita, appunto, da regole operanti a diversi li- velli, dove le regole circa l’uso legittimo che di una parola, o di un insieme di parole, si può fare, nella comunicazione, possono

essere formulate mediante una definizione 28 adoperata per de-

scrivere, con un’operazione di ricognizione “lessicale”, il modo in cui un termine è stato o è usato da una persona o da un insie- me di persone all’interno di una comunità di utenti del linguag- gio, oppure per prescrivere in che modo un termine deve essere usato, introducendone un significato ex novo, con un’operazione “stipulativa”, o, ancora, realizzando una modifica e precisazione di significati già in uso, come avviene con l’operazione “ridefini- toria” 29.

Entro la cornice convenzionalistica, destinata a valere per il linguaggio, a prescindere dalle diverse configurazioni/articolazio- ni, che ne possono essere individuate, con riguardo al profilo fun- 27 Cfr. U.SCARPELLI, La meta-etica analitica e la sua rilevanza etica, in U.SCAR-

PELLI, L’etica senza verità, Il Mulino, Bologna, 1982. Si tratta della prospettiva nel-

la quale – come scrive Scarpelli – «pensiamo che non sia precostituita una struttu- ra oggettiva o soggettiva dell’esperienza, destinata a riflettersi nella struttura del linguaggio, sì che la struttura del linguaggio possa essere campo, in tutte le sue ar- ticolazioni e sino nei piloni centrali, di decisioni e stipulazioni» (p. 90).

28 Da intendersi, secondo Scarpelli, in conformità con la caratterizzazione

fornitane da Rudolf Carnap (Testability and Meaning, in Philosophy of Science, 1936) come «formulazione per mezzo di altri termini delle condizioni di appli- cazione di un termine». Cfr. U.SCARPELLI, La definizione nel diritto (1959), in U.SCARPELLI (a cura di), Diritto e analisi del linguaggio, Edizioni di Comunità, Milano, 1976, p. 183).

29 Per la distinzione dei tre differenti possibili usi della definizione, ripropo-

sta sulla scorta di R. ROBINSON, Definition, Oxford University Press, Oxford

zionale o a quello relativo al diverso operare delle regole 30, viene

accolta, e riceve significative rielaborazioni, la concezione del lin- guaggio prescrittivo o normativo che, superando la cosiddetta “fallacia descrittivistica”, vale a dire la tesi, rimasta a lungo pre-

sente in semiotica 31, secondo cui solo i linguaggi o discorsi de-

scrittivi sono dotati di significato in senso pieno, nonché, supe-

rando le interpretazioni in chiave emotivistica o espressivistica 32

del significato degli enunciati normativi, riconosce che gli enun- ciati dei discorsi prescrittivi possono, a pieno titolo, essere consi- derati dotati di significato, alla condizione di fare riferimento a un’azione, di esprimere un modello di comportamento indivi- duabile, così come gli enunciati descrittivi sono dotati di senso se fanno riferimento a un identificabile evento del mondo. Si tratta della prospettiva d’analisi legata alla cosiddetta “svolta prescritti-

vistica” 33 in teoria del linguaggio, dopo la quale non è apparso

30 Riguardo a questo profilo, i diversi linguaggi si possono considerare collo-

cati su un’ideale linea continua, ai due estremi della quale stanno, da una parte, i linguaggi formalizzati, e, dall’altra, il linguaggio ordinario, nel quale le regole non sono, come nei primi, rigorosamente formulate ed univoche.

31 A partire dalle posizioni caratterizzanti la filosofia linguistica del primo

empirismo logico, proprie, primi fra tutti, di Ludwig Wittgenstein e di Rudolf Carnap. Per riferimenti, cfr. U. SCARPELLI, Etica, linguaggio, ragione, in U.

SCARPELLI, L’etica senza verità, cit., pp. 49-72.

32 Come emblematica formulazione dell’accostamento al linguaggio normativo

in chiave emotivistica, cfr. J.A. AYER, Language, Truth and logic (1936), trad. it,

Linguaggio, verità e logica, Feltrinelli, Milano, 1961 e CH.L. STEVENSON, Ethics

and Language (1944), trad. it., Etica e linguaggio, Longanesi, Milano, 1962.

33 Tale svolta è legata soprattutto all’importante lavoro di R. HARE, The lan-

guage of Morals (1952), trad. it., Il linguaggio della morale, Roma, 1968. In esso,

Hare formula per primo la teoria, poi accolta e posta al centro dei loro studi da importanti studiosi italiani del linguaggio normativo, quali Giulio Preti e Uberto Scarpelli, secondo cui in ogni enunciato può essere individuato un elemento, detto “frastico”, che contiene il riferimento a stati o eventi dell’esperienza, e un secondo elemento, detto “neustico”, che esprime la funzione dell’enunciato. Con questa operazione si mette in luce non solo che, per quanto riguarda la si- gnificanza, dipendente dai frastici, non c’è nessuna differenza tra enunciati de- scrittivi e prescrittivi, ma che, come ha sottolineato Preti, è possibile «costruire il discorso normativo con l’identica logica del discorso scientifico, differendo solo i neustici» (G.PRETI, Praxis ed empirismo, Einaudi, Torino, 1957, p. 216).

più contestabile che privi di significato sono tutti gli enunciati, qualunque ne sia la funzione, incapaci di fare riferimento a una situazione o a un’azione (nel mondo empirico), per descriverla piuttosto che per qualificarla prescrittivamente come obbligato- ria, vietata, lecita, giusta, immorale, ecc. 34.

Ma entro quella cornice, trova, altresì, spazio, una concezione del linguaggio giuridico, inteso come linguaggio in funzione pre-

valentemente, se non esclusivamente prescrittiva 35, nella quale,

se, per un verso, si riconosce la continuità tra linguaggio giuridico e linguaggio ordinario e il “prestito semiotico” che il primo riceve

dal secondo 36, per altro verso, si dà risalto alla “tecnicizzazione”

del linguaggio giuridico, legata alla presenza di termini propria-

mente tecnico-giuridici di carattere normativo 37 e, di questi, gra-

34 Che sia la presenza o l’assenza di un frastico, che consenta il riferimento a

stati di cose o ad azioni nel mondo empirico almeno astrattamente configurabili, a marcare la differenza tra enunciati dotati di senso o privi di senso, tanto in am- bito descrittivo, quanto in ambito prescrittivo, è comprovato, secondo Hare, dal- l’evidente insensatezza sia dell’enunciato descrittivo «l’assoluto è verde», sia di quello prescrittivo «rendi l’assoluto verde», da una parte, e dall’altrettanto evi- dente sensatezza sia dell’enunciato descrittivo «la porta è chiusa», sia dell’enun- ciato prescrittivo «chiudi la porta», dall’altra parte (R.HARE, op. cit., p. 30).

35 Posto che l’espressione «linguaggio giuridico» può essere usata nell’acce-

zione ampia, inclusiva sia del linguaggio usato dagli organi con competenza nor- mativa per formulare norme giuridiche generali e astratte o individuali e concre- te (linguaggio delle norme), sia del linguaggio usato nell’esposizione ed elabora- zione del diritto in ambito dottrinale e di teoria del diritto, così come nello svol- gimento di attività a fini pratici (linguaggio sulle norme), la prescrittività è stata oggetto di problematizzazione con riguardo ad alcune tipologie di norme, quali le norme costitutive e, quindi, anche al linguaggio delle norme, ma, soprattutto con riguardo al linguaggio sulle norme. Cfr. N.BOBBIO, Essere e dover essere

nella scienza giuridica (1967), in Autore?, Studi per una teoria generale del diritto

(1970), Giappichelli, Torino, 2012, pp. 119-149.

36 E la conseguente importazione dell’ambiguità e della vaghezza proprie del

linguaggio ordinario. Cfr. C.LUZZATI, La vaghezza delle norme. Un’analisi del

linguaggio giuridico, Giuffrè, Milano 1990.

37 Di tale natura sono, secondo Scarpelli, «… Termini designanti fatti quali-

ficati secondo norme, giuridiche o non giuridiche, e qualificazioni di fatti secon- do norme, giuridiche o non giuridiche, nonché termini che designano norme o sistemi di norme o loro elementi o aspetti …» (U.SCARPELLI, La definizione nel diritto, cit., p. 188).

zie al superamento della «fallace concezione del linguaggio come specchio di una realtà, per cui a ogni nome nel linguaggio dovreb-

be corrispondere qualcosa (un ente, una relazione) nella realtà» 38,

si individua la specifica funzione, che è quella di richiamare non proprietà empiriche o ontologiche di individui o cose, ma il trat- tamento normativo, con la correlativa ascrizione di diritti e doveri, già attuato dal diritto vigente o auspicato nel diritto futuro, in re- lazione a certi individui 39.