LAVORATIVO ED ASPETTI MEDICO LEGALI
Ricciotti Antonio*, Sellitti Ivana**
* Dirigente medico 2° livello, INPS, Coordinamento Generale Medico Legale.
** Dirigente medico 1° livello, INPS, Sede Roma EUR.
“L’elevato afflusso nel nostro Paese di lavoratori extracomunitari non poteva non avere ripercussioni anche sulle condizioni sanitarie ed epidemiologiche: si sono venuti infatti a trovare a stretto contatto, in modo rapido e concentrato, il popolo italiano, presso il quale le patologie infettive sono quasi scomparse prevalendo ormai le malattie degenerative o neoplastiche, e alcune popolazioni straniere portatrici di problemi di salute completamente differenti.
Il risultato più evidente di questo fenomeno è stato l’incremento dei nuovi casi di malattia tubercolare, che ha richiesto, da parte delle Autorità sanitarie del nostro Paese, la concessione anche agli immigrati, purché titolari di permesso di soggiorno per almeno un anno, delle stesse prestazioni economiche previste per i cittadini italiani: la normativa è stata emanata nel 1998, ma è tuttora poco conosciuta e comunque poco utilizzata dagli interessati, che ammontano a circa 1.400.000 persone.
La nostra ricerca è tuttavia rivolta agli assicurati presso l’INPS, cioè a soggetti che hanno sicuramente prestato attività lavorativa retribuita per almeno 52 settimane: nel biennio 2000/2001 gli assicurati di origine extracomunitaria hanno rappresentato circa il 30% delle forme tubercolari in fase acuta di prima insorgenza, mentre si stima che essi costituiscano soltanto il 5% della popolazione assicurata.
Per avere dati più precisi circa l’evoluzione cronologica del fenomeno, abbiamo condotto una indagine mirata nella Provincia di Padova, territorio “di confine” dove, in presenza di condizioni sociali e sanitarie di ottimo livello, si registra un elevato afflusso di lavoratori stranieri attirati dalle piccole e medie industrie tipiche del nord-est italiano.
In tale Provincia, di circa un milione di abitanti, i soggetti titolari di Assegno di Cura e di Sostentamento, cioè portatori di postumi invalidanti di malattia tubercolare sofferta fino a tutto l’anno 1999, sono in numero di 192 di cui nessuno extracomunitario.
Invece tra i 70 soggetti riconosciuti affetti da tbc in fase attiva nel biennio 2000/2001 gli extracomunitari rappresentano l’8,57% e infine, tra i 48 soggetti ammalatisi nei primi nove mesi del 2002, essi raggiungono ormai il 22,90%.
Per quanto riguarda la provenienza dei nuovi malati, abbiamo accertato su scala nazionale che circa 1/3 è proveniente dai Paesi dell’Est Europeo (specialmente Romania e Macedonia), 1/3 è proveniente dai Paesi equatoriali dell’ Africa e dell’America del Sud, ed 1/3 è proveniente dall’Asia (si tratta in particolare di pachistani e filippini).
La prevalenza per sesso ed età è di maschi fra i 25 e i 30 anni ( per confronto, nella popolazione italiana la prevalenza è di femmine fra 60 e 65 anni).
Per quanto riguarda l’attività lavorativa, la quasi totalità dei malati extracomunitari proviene da tre comparti: addetti ai servizi familiari, addetti ai servizi di ristorazione turistica o commerciale, operai in stabilimenti industriali o nell’edilizia.
Assente il personale addetto ai servizi sanitari, cui si dedicano soggetti di sesso femminile e che sono sottoposti a vaccinazione obbligatoria.
Del tutto frazionale il numero degli addetti all’agricoltura, concordemente con quanto rilevato anche presso l’INAIL che, nel periodo 1995/1998, ha ricevuto 41 casi di denuncia di tubercolosi tutti provenienti dal comparto industriale: la spiegazione sembra da ricercarsi nella notevole evasione contributiva e nella stagionalità dell’attività agricola.
Abbiamo infine esaminato il ruolo assunto dall’attività e dall’ambiente lavorativo sulla insorgenza e il decorso dalla malattia. E’ ben noto che, nel corso dei primi due anni di permanenza nel Paese ospitante, il lavoratore immigrato presenta le patologie prevalenti nel Paese di provenienza, ed anche noi non abbiamo rilevato negli ambienti lavorativi particolari fattori di rischio per l’insorgenza della malattia tubercolare. Anzi gli addetti al comparto industriale hanno avuto una diagnosi più precoce ed un trattamento mediamente più efficace; inoltre non è stato rilevato alcun episodio di contagio nei confronti dei compagni di lavoro italiani, al contrario di quanto accade nel caso degli addetti ai servizi domestici, in cui la diagnosi della malattia bacillifera dell’immigrato è spesso successiva al manifestarsi della malattia stessa in altri membri del nucleo familiare, in specie anziani o bambini.
Inoltre anche la durata del trattamento terapeutico ed i tempi di ripresa dell’attività lavorativa risultano, nel comparto industriale, pressoché sovrapponibili a quanto si riscontra nel lavoratore italiano, con ridotta incidenza di soggetti che, abbandonato il lavoro, ritornano nel proprio Paese di origine. Molto spesso questi lavoratori, al momento del rientro in Italia, si presentano ancora ammalati o non adeguatamente curati, con ovvie conseguenze negative sul piano clinico ed epidemiologico e con l’insorgenza di delicati problemi medico legali riguardanti l’opportunità di riconoscere il diritto alle indennità economiche anche per i periodi in cui non è possibile accertare se la terapia sia stata eseguita con la dovuta assiduità e correttezza.
Si può quindi concludere che la sorveglianza sanitaria da parte del medico di fabbrica e del medico competente, l’attenta valutazione dei medici previdenziali e la collaborazione con le autorità del S.S.N., unitamente alla precisa informazione fornita ai lavoratori circa i loro diritti e doveri in caso di malattia socialmente protetta, riescono a circoscrivere i singoli casi e ad evitare, all’interno dell’ambiente lavorativo, il riemergere in forme clamorose di una patologia grave ed invalidante quale la malattia tubercolare”.
Prof. Pierantonio Ricci
Presidente dell’Istituto di Medicina Sociale. Direttore dell’Istituto di Medicina Legale - Università degli Studi di Catanzaro
L’INAIL, in questi ultimi anni, ha ampliato le modalità di intervento in ambito sanitario per la tutela della salute del lavoratore nella prospettiva di una compiuta attuazione dell’art. 38 della Costituzione e della previsione ivi contenuta e di una tutela adeguata ai bisogni dei lavoratori. In altri termini si può dire che l’INAIL ha “recuperato” i compiti sanitari che gli furono sottratti a seguito dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.
La tutela “forte” della salute dei lavoratori viene così ad essere sempre più declinata non solo secondo l’accezione tradizionale di salute intesa come assenza di malattia ottenuta attraverso appropriate cure mediche, quanto piuttosto nella prospettiva orientata alla prevenzione (Vedi il ruolo dell’INAIL nell’attuazione della legge 626/94) ed alla riabilitazione (Vedi la riabilitazione lavorativa mediante l’inserimento mediato prevista dalla legge 68/99) al fine di recuperare il più possibile il “pieno benessere”
sociale e lavorativo dell’assicurato.
Si può dire che l’INAIL attualmente recupera quella dimensione allargata di salute che era uno dei principi ispiratori essenziali della legge 833/78.
Un altro aspetto di carattere generale emergente con chiarezza dalle ultime normative INAIL è tutela anti-infortunistica nei confronti dei cittadini, che si è sempre più allargata parallelamente alla maggior estensione e difficoltà di definizione puntuale dell’attività lavorativa. In altri termini, la tutela allargata degli eventi infortunistici, così come delineata anche nel pieno riconoscimento dell’infortunio in itinere, per altro verso, con la costituzione di una specifica modalità tutela INAIL degli infortuni causati dal lavoro domestico (tradizionalmente non considerato lavoro produttivo) mostra una chiara tendenza dell’ente ad intervenire e a qualificarsi come soggetto di tutela per tutti gli eventi dovuti ad infortunio, comunque causato.
Un altro punto, più circoscritto, riguarda le sinergie in ambito assistenziale che l’INAIL può sviluppare per i soggetti esterni alla tutela previdenziale (disabili ed anziani), nelle prospettive già delineate dalla legge 382/2000.
La previsione di un beneficio economico per i disabili fino a che non possono essere inseriti in un’attività a loro confacente (inserimento mirato) quindi un beneficio transitorio che ricorda una rendita di passaggio, dimostra chiaramente che l’INAIL si pone come soggetto erogatore di percorsi di reinserimenti mirati, attraverso il reimpiego delle capacità ancora impiegabili anche in soggetti gravemente menomati.
Per i soggetti anziani con una grave compromissione dell’autonomia, la prefigurazione di un intervento tutela di tipo assicurativo previdenziale non può che basarsi anche sull’esperienze e qualificazioni delle strutture accertative medico legali dell’INAIL.
E’ importante evidenziare che la disabilità, come è noto, è un evento che può interessare la vita di ogni persona, ed in particolare quella dei lavoratori.
Negli ultimi anni, si è verificato un forte incremento dei costi della disabilità e dell’assistenza sanitaria ai disabili, stimolando l’attenzione sul ruolo che i disabili, per questioni lavorative o extra lavorative, possano avere nell’ambito del mercato del lavoro e soprattutto il loro contributo in termini di produttività.
Di grande interesse è l’individuazione di strategie efficaci di management delle disabilità al fine di fornire alle imprese e ai soggetti colpiti un insieme di possibilità di
interventi mirate a favorire la prevenzione delle disabilità e a facilitare il reinserimento lavorativo in presenze di disabilità conseguenti ad infortunio ed a lunghi periodi di malattia.
Da numerosi studi, presenti in letteratura, è emersa l’importanza del ruolo svolto da alcune variabili di tipo strutturale della popolazione nello spiegare le disuguaglianze di mortalità e di stato di salute. Le condizioni di salute sembrerebbero, infatti, essere influenzate non solo da fattori biologici, genetici ed ambientali, ma soprattutto da fattori sociali, economici e culturali. Le condizioni oggettive di salute non possono rappresentare l’unico parametro di valutazione, a meno di offuscare le implicazioni psicologiche e sociali della malattia, così come la variabilità delle conseguenze sugli individui in funzione delle loro differenti caratteristiche. La percezione dello stato di salute, infatti, testimonia l’effettivo benessere (o malessere) psicofisico di un individuo filtrato da fattori concomitanti che differiscano da persona a persona, e da fattori soggettivi di percezione che possono evidenziare modi diversi di vivere lo stesso livello di malattia o di disagio.
L’Istituto Italiano di Medicina Sociale sta pubblicando i risultati di un’importante ed articolata ricerca, svolta in collaborazione con l’Istat e il Cnr, proprio sui determinanti socio-economici dello stato di salute della popolazione italiana.
Ad ogni modo la preziosa opera di tutela della salute del cittadino lavoratore deve comunque integrarsi con quella svolta dal SSN anche in relazione a quanto previsto dalla legge 382/2000 e dalla riforma federalista in atto nel nostro paese.
In conclusione l’Istituto Italiano di Medicina Sociale, così come ricordato dal Ministro del Welfare nella sua partecipazione nel maggio scorso alla riunione del Comitato di consulenza scientifica, si propone come punto di sintesi delle tematiche più strettamente attinenti alla salute e di quelle di natura socio-assistenziale, in questo rafforzando sempre di più la sua lunga tradizione di collaborazione con l’ INAIL.