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LA MALATTIA NEI FRONTALIERI E NEGLI IMMIGRATI E POTESTÀ DI CONTROLLO. PROBLEMATICHE

Rosella Pastore*, Lia DE ZORZI**

*Dirigente medico legale I livello Sede INPS di Trieste

**Dirigente medico legale 2° Livello. Coordinatore Centrale Area Malattia e Maternità. Coordinamento Generale Medico Legale

La recente trasformazione dell’Italia da stato esportatore di lavoratori a bacino di accoglimento di manodopera, quale conseguenza del notevole flusso immigratorio soprattutto dell’ultimo decennio, ha determinato numerose problematiche sociali ed economiche. Queste, ovviamente, non potevano non avere riflessi in ambito INPS, data la particolare “missione aziendale” svolta dall’Istituto nel campo della previdenza (ed assistenza) pubblica. Tali problematiche assumono poi, in regioni di confine come quelle a Nord Est, aspetti peculiari legati in parte al fenomeno dei lavoratori “di fatto” frontalieri (o transfrontalieri), in parte alle note trasformazioni geopolitiche delle regioni dell’Est europeo.

Occorre premettere che, al momento, lo stato giuridico degli immigrati (non cittadini della U.E.) è regolamentato dalle legge 40 del 6.3.98 e dal Decreto Legislativo 296 del 28.6.98. La normativa vigente riconosce alla persona immigrata, con regolare permesso di soggiorno, la piena equiparazione allo stato giuridico del cittadino italiano per quanto attiene ai diritti civili.(art.2 c.2 del D.Lgs 296/98).

Premesso che un cittadino straniero per poter lavorare in Italia deve possedere un permesso di soggiorno per finalità di lavoro, le norme che regolamentano i rapporti di lavoro (sia a tempo indeterminato che stagionale) sono presenti al Titolo III del predetto decreto legislativo che, oltre a prevedere la identificazione dei flussi annuali di ingresso, nell’ottica delle politiche migratorie, stabilisce il diritto dei lavoratori immigrati alla indennità di malattia (oltre che ai benefici della legislazione previdenziale occupazionale). All’articolo 34, c.1 del Titolo V del decreto, in materia di assistenza sanitaria, si stabilisce l’obbligo di iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale degli stranieri regolarmente soggiornanti, che abbiano in corso regolari attività di lavoro subordinato.

Tale normativa trova validità ancora oggi per i lavoratori cittadini della Slovenia, stato confinante con la nostra Repubblica.

Infatti non è ancora in vigore la Convenzione tra la Repubblica Italiana e quella Slovena in materia di sicurezza sociale, ratificata con la legge 27 maggio 1999, n° 199, a causa della mancata emanazione dei relativi accordi amministrativi.

La Convenzione, infatti, al paragrafo 1 punto m dell’articolo 1 formula la definizione di “lavoratore frontaliero” (qualsiasi lavoratore che è occupato nel territorio di uno Stato contraente e risiede nel territorio dell’altro Stato contraente dove, di massima, ritorna ogni giorno o almeno una volta alla settimana). All’articolo 14 la Convenzione stabilisce poi che i lavoratori frontalieri beneficiano in caso di malattia, salvo i casi di urgenza, delle prestazioni in natura erogate dall’Istituzione del luogo di residenza, mentre per le prestazioni in denaro dall’Istituzione competente.

Un particolare punto di criticità è rappresentato dal controllo della temporanea incapacità lavorativa da malattia comune dei lavoratori dipendenti che si ammalino o che chiedano di trascorrere il periodo di malattia fuori del territorio nazionale, stante l’obiettiva difficoltà di applicare il sistema dei controlli operante nello stato italiano.

Come noto in Italia esiste una complessa normativa che regolamenta il controllo dello stato di salute dei lavoratori assenti dal lavoro per “incapacità lavorativa” determinata da malattia comune (l. 155 del 1981): l’articolo 5 della legge 300 del 1970 alienò al datore di lavoro la facoltà del controllo diretto, delegando a ciò appositi Enti che, allo stato attuale sono identificati nelle AA.SS.LL e nell’INPS.

Quest’ultimo, infatti, a seguito della riforma del sistema sanitario nazionale del 1978, dal 1.1.80 eroga le prestazioni economiche di malattia dei lavoratori dipendenti del settore privato, come stabilito dalla legge 33 del 1980. Il sistema dei controlli si fonda sulla istituzione delle Visite Mediche di Controllo domiciliari, durante determinate fasce orarie, effettuate da medici iscritti in apposite liste. La normativa di riferimento è sostanzialmente rappresentata dalla legge 638 del 1983 e dal Decreto Ministeriale 15 luglio 1986, poi modificato dagli analoghi decreti dell’aprile 1996 e dell’ottobre 2000. E’ da sottolineare che la netta separazione di competenze fra USL (ASL) ed INPS in materia di prestazioni per malattia ha creato e crea spesso momenti di criticità e, talora, conflitti interpretativi di alcune norme.

Sempre più numerose risultano infatti essere le richieste di preventiva autorizzazione a trascorrere il periodo di malattia indennizzabile presso il proprio domicilio all’estero, presso il paese di origine, da parte di lavoratori immigrati, in particolare extracomunitari. Non sono interessati ovviamente solo lavoratori immigrati dai territori della ex Repubblica Iugoslava, ma tali richieste, che vedono improvvise impennate in taluni periodi “caldi” quali quelli feriali, appaiono numerose anche e soprattutto in sedi, quali Trieste e Gorizia, la cui posizione è notoriamente centrale rispetto sia alla Repubblica Slovena che a quella Croata (si rammenti che l’Istria, attualmente divisa fra le due nuove entità nazionali è stata la naturale provincia della città giuliana, mentre il capoluogo isontino risulta diviso da un muro tuttora integro al contrario dell’analogo berlinese). Il problema è peraltro esteso a tutto il Nord Est, tanto da avere costituito oggetto di un quesito proposto dalla Sede Regionale del Veneto, su istanza di una sede periferica ad alta intensità immigratoria, alla Direzione Centrale Prestazioni a Sostegno del Reddito nel corso del 2001.

In ambito INPS la materia è regolamentata da due Circolari: la 388 PMMC (1714) ASMM/76 del 26.3.87, relativa all’allontanamento dai proprio domicilio durante il periodo di malattia indennizzabile, e la 192 del 7.10.96, relativa alla richiesta di autorizzazioni preventive all’espatrio durante tale periodo.

La circolare del 1987 stabilisce che l’assicurato che si rechi durante la malattia in località diversa da quella abituale (dal domicilio abituale, in buona sostanza) conserva il diritto alla relativa indennità economica solo se comunica all’Istituto e al datore di lavoro il nuovo temporaneo indirizzo mediante la certificazione di malattia o “altro mezzo idoneo”. La ratio della norma è quella di rendere possibile il controllo dello stato di malattia. Sono fatte salve le conseguenze, ai fini sanzionatori, delle eventuali ripercussioni negative del trasferimento in altra località, quando esso comprometta ulteriormente lo stato di salute del lavoratore in malattia. Pertanto il presupposto della trasferibilità è costituito dalla possibilità del controllo sanitario. Si noti che la Corte Costituzionale con sentenza 78/1988 ha ribadito il principio della doverosa collaborazione del lavoratore per l’esecuzione dei controlli: talchè una interpretazione restrittiva del principio potrebbe portare a riconoscere (ai fini sanzionatori) la fattispecie della irreperibilità qualora la località temporanea sia difficilmente accessibile. Un trasferimento all’estero rende di fatto impossibile l’effettuazione dei controlli sanitari mediante il sistema delle visite domiciliari.

Con la circolare 192 del 7.10.96 l’Istituto delinea i presupposti per la concessione delle prestazioni economiche durante la malattia degli assicurati che dimorino fuori del territorio nazionale durante il periodo di malattia. Vengono delineate in buona sostanza due fattispecie: 1. Paesi con cui intervengono Convenzioni in materia di sicurezza sociale; 2. Paesi non convenzionati

Come prototipo di Convenzione di Sicurezza Sociale nella circolare si fa riferimento alla normativa CEE in particolare all’art. 22 del Regolamento n. 1408/71 del 14.6.71 (Atti Ufficiali gennaio 1993) e pertanto si ribadisce la necessità di una preventiva autorizzazione da parte della istituzione competente “a ritornare nel territorio dello Stato membro in cui risiede ovvero a trasferire la residenza nel territorio di altro Stato membro” o “a recarsi nel territorio di un altro Stato membro per ricevere cure adeguate al suo stato”. Il Regolamento è stato modificato successivamente alla emissione della circolare, e precisamente nel 1997 con il Regolamento CEE n. 118/97 del Consiglio del 2 dicembre 1996 che modifica e aggiorna il Regolamento (CEE) n. 1408/71, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità e il Regolamento (CEE) n. 574/72 che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CEE) n. 1408/71 (Gazzetta ufficiale n. L 028 del 30/01/1997). L’articolo 22 del Regolamento del 1997 (Dimora fuori dello Stato competente - Ritorno o trasferimento di residenza in un altro Stato membro durante una malattia o una maternità - Necessità di recarsi in un altro Stato per avere le cure adeguate) ribadisce il diritto alle prestazioni sanitarie ed economiche a “Il lavoratore subordinato o autonomo che soddisfa le condizioni richieste dalla legislazione dello Stato competente per aver diritto alle prestazioni, tenuto conto eventualmente di quanto disposto dall'articolo 18, e: a) il cui stato di salute necessita di prestazioni immediate durante la dimora nel territorio di un altro Stato membro, oppure b) che, dopo essere stato ammesso al beneficio delle prestazioni a carico dell'istituzione competente, è autorizzato da tale istituzione a ritornare nel territorio dello Stato membro in cui risiede ovvero a trasferire la residenza nel territorio di un altro Stato membro, oppure c) che è autorizzato dall'istituzione competente a recarsi nel territorio di un altro Stato membro per ricevere le cure adeguate al suo stato. Si segnala che del tutto recentemente appositi accordi “sulla libera circolazione delle persone” stipulati tra la CEE ed i suoi Stati e la Confederazione Elvetica hanno esteso anche a quest’ultima i detti regolamenti comunitari (vedi circolare INPS 118 del 25.6.02). Ovviamente l’istituzione competente per la concessione delle prestazioni diagnostiche e terapeutiche è il Servizio Sanitario Regionale, per il tramite delle Aziende Sanitarie Locali. Nella circolare del 1996 si afferma che l’autorizzazione a spostamenti in ambito CEE viene “per prassi” rilasciata dalle USL (ASL) su modello E112. In caso di trasferimento il lavoratore dovrà pertanto rivolgersi alle ASL e fornire copia della predetta autorizzazione sia all’INPS che al datore di lavoro. Il Modello E112, cui si fa riferimento nella circolare, viene rilasciato ai cittadini che ne facciano richiesta per usufruire della assistenza diretta all’estero per prestazioni non effettuate sul territorio nazionale o in tempi non congrui con le esigenze terapeutiche. Le procedure per il rilascio di detta autorizzazione sono complesse e vedono il coinvolgimento del Centro Regionale di Riferimento. Diversamente, nel caso in cui un lavoratore trasferisca la sua residenza temporaneamente in un altro Stato membro della CEE per motivi da vario natura (studio, vacanze, lavoro temporaneo) è necessario richiedere una autorizzazione di altro tipo (e sempre alla ASL) allo scopo di “estendere” temporaneamente il diritto alla assistenza sanitaria (relativamente ai casi di urgenza e di necessità di ricovero ospedaliero). In genere viene rilasciato il Modello E111 per periodi non superiori a 30 giorni (con validità massima 180 giorni:se il periodo di permanenza è superiore a sei mesi viene rilasciato il modello E128). Si può affermare che in ambito CEE esistono pertanto due modelli di autorizzazione, di cui uno con finalità esclusivamente diagnostico-terapeutiche (ed in cui la malattia è già insorta), l’altro di tipo “preventivo” a copertura di rischi che potrebbero concretizzarsi nel corso di trasferimenti temporanei del domicilio. L’autorizzazione rilasciata dalla ASL ha comunque come obiettivo la rimborsabilità delle prestazioni diagnostico terapeutiche. Non a caso la circolare 192 fa espresso riferimento al Modello E112: e, considerata la natura della

autorizzazione, questa può essere concessa esclusivamente dalla ASL. Un lavoratore italiano che presentasse all’INPS prima dell’espatrio un modello E111 e un certificato di incapacità lavorativa per l’erogazione delle prestazioni economiche di malattia si vedrebbe sicuramente respingere tale richiesta! Si badi che la normativa su esposta non si applica agli immigrati extracomunitari, che risiedano con regolare permesso di soggiorno in uno dei paesi membri.

In una nota della circolare si assimilano per analogia ai paesi CEE quelli con cui esistono convenzioni in materia di sicurezza sociale, quando siano presenti simili previsioni. Sono in vigore, al di là dell’area interessata dai regolamenti CEE, Convenzioni Bilaterali con un certo numero di paesi, fra cui quella con la Repubblica Yugoslava (attualmente coincidente praticamente con la Serbia e la Voivodina). A tale Convenzione si fa riferimento ancora anche per la Repubbliche indipendenti di Slovenia e Croazia. Si è già detto della Convenzione già ratificata, ma non in vigore, fra Italia e Slovenia. Analoga Convenzione fra le Repubbliche Italiane e Croata è stata ratificata con legge 167 del 27 maggio 1999. Anche questa per altro non è tuttora vigente, stante la mancata emanazione degli accordi amministrativi. Per adesione dei paesi coinvolti, trova ancora applicazione fra le due nuove repubbliche e l’Italia la ormai vetusta “Convenzione fra la Repubblica Italiana e la Repubblica Popolare Federale di Jugoslavia in materia di Assicurazioni Sociali”, firmata a Roma nel 1957, ratificata con legge 11.6.60, n° 885 ed entrata in vigore il 1.1.61 (essendo già stato siglato il relativo accordo amministrativo a Belgrado nel mese di ottobre 1958).

La differenza fondamentale fra le convenzioni non in vigore e quella ancora in corso è l’identificazione dei soggetti aventi diritto alle prestazioni di malattia e maternità in tema di sicurezza sociale. Mentre nella convenzione in vigore gli aventi diritto sono i lavoratori dipendenti del settore privato e i loro familiari, in futuro la copertura dei rischi sarà estesa a tutti i cittadini degli stati contraenti che soggiornano “o” lavorano nell’altro paese contraente. La normativa in vigore interessa pertanto proprio i lavoratori assicurati presso l’INPS. Al paragrafo 1 dell’articolo 2 della Convenzione si estende il campo di applicazione all’

“assicurazione malattie, ivi comprese le indennità funerarie e le prestazioni in natura per i beneficiari di pensioni o rendite”. Al paragrafo 1 dell’articolo 12 della Convenzione è previsto che l’assicurato o l’avente diritto che, dopo il verificarsi dell’evento coperto dall’ assicurazione, si trasferisca nel territorio dell’altro Paese, conserva il diritto alle prestazioni, a condizione che egli, prima del trasferimento, abbia ottenuto dal competente Ente assicuratore il consenso al trasferimento. Tale consenso può essere negato solo per motivi inerenti alo stato di malattia dell’assicurato o dell’avente diritto (da intendersi ovviamente con riferimento all’eventuale compromissione ulteriore dello stato di salute derivante eventualmente dallo spostamento). Il consenso può essere richiesto anche a posteriori. All’articolo 7 dell’Accordo Amministrativo è previsto il rilascio della dichiarazione di consenso al trasferimento da parte dell’Ente assicuratore competente (Ente delegato), che per l’Italia è segnatamente l’INAM, con le sue dipendenze periferiche. Va detto che al tempo, prima della riforma copernicana del 1978, l’INAM erogava per i suoi assicurati sia le prestazioni assistenziali in natura (assistenza sanitaria) sia quelle economiche. Attualmente un lavoratore dipendente assicurato in Italia che voglia recarsi a mero titolo di soggiorno temporaneo in una delle repubbliche nate dal dissolto stato jugoslavo, per ottenere le prestazioni in natura (assistenza sanitaria) deve rivolgersi alla Azienda Sanitaria Locale di competenza e richiedere il rilascio, per quel periodo,di un “Attestato” concernente appunto il diritto alle prestazioni in natura. Tale attestato viene rilasciato sotto forma di Modello 7. Da quanto già esposto è di tutta evidenza che i lavoratori sloveni e croati occupati in Italia devono possedere un regolare permesso di soggiorno ed avere una residenza nel nostro paese e devono, in base al D.Lgs. 296/98 essere iscritti al Servizio Sanitario Nazionale. Per poter ottenere quindi prestazioni in natura nel loro paese di origine

(di fatto Convenzionato con l’Italia) devono anche loro richiedere il rilascio dell’attestato con il modello 7. Ad una attenta analisi, peraltro, tale attestazione non potrebbe essere considerata di fatto una autorizzazione preventiva al trasferimento in caso di evento malattia insorto nel paese che assicura il lavoratore, analoga a quella attestata dal Modello E112. E’ sempre possibile (lo è anche in caso di richieste verso paesi non convenzionati) richiedere alla Azienda Sanitaria Locale, e previo parere del Consiglio Regionale di Riferimento, il rimborso delle spese sanitarie affrontate all’estero, in caso di particolari condizioni economiche e qualora sia dimostrata la intempestività delle cure (o delle procedure diagnostiche) del Servizio Sanitario Nazionale. E’ certo peraltro che, se la malattia insorge dopo l’espatrio, la presentazione dell’attestato 7 all’ente competente da diritto alle prestazioni di ordine sanitario nel paese ospitante, ma anche alle prestazioni economiche da parte dell’INPS (qualora non vi sia prova contraria). In alcune sedi dell’INPS la presentazione del certificato per la corresponsione delle indennità economiche di malattia stilato dal medico curante unitamente a copia del Modello 7 è considerata valida e, fatta salva l’indicazione dell’esatto domicilio temporaneo, tale documentazione viene ritenuta di per sé sufficiente a configurare autorizzazione preventiva, da opporre anche ad eventuali richieste di controllo da parte dei datori di lavoro (senza pertanto configurare la fattispecie della irreperibilità). Tale comportamento è in linea con una intepretazione letterale della Circolare 192 del 1996.

La circolare infatti prende ovviamente anche in considerazione il trasferimento in uno Stato con cui non siano in vigore convezioni in materia ( Non sembrerebbe questo il caso delle repubbliche nate dalla dissolta confederazione jugoslava). Anche in questa circostanza l’Istituto fa dipendere il diritto alla corresponsione delle indennità economiche alla preventiva autorizzazione dal parte o dell’INPS o della ASL. E’ ovvio che la richiesta di autorizzazione al SSN in caso di paesi non convenzionati verrà inoltrata dagli assicurati solo ai fini della rimborsabilità delle prestazioni assistenziali sanitarie (evento possibile come su accennato, ma più unico che raro). I criteri della concessione preventiva (come peraltro anche nel caso di richieste volte verso Stati membri della CEE) tengono in considerazione essenzialmente la tempestività e l’efficacia delle prestazioni diagnostiche e terapeutiche, integrate da valutazioni di economicità. La circolare 192, qualora la richiesta venga rivolta all’INPS (quando evidentemente la rimborsabilità della prestazione in natura non è l’obiettivo primario del richiedente), definisce i criteri cui dovrà fare riferimento il medico INPS. Questi dovrà valutare “la necessità di migliori cure e/o assistenza”. La lettura della norma ha causato alcune perplessità. Ferma restando la competenza del Servizio Sanitario Nazionale in tema di diagnosi e terapia, il medico dell’Istituto ha sicuramente pochi strumenti in mano per poter valutare, con corretta metodologia medico legale, se, ad esempio, l’ospedale di Pozarevac offre migliori possibilità diagnostico terapeutiche di quello di Palmanova! Tanto meno sarà in grado di valutare e confrontare aspetti socio ambientali. Resta inoltre dibattuto cosa debba intendersi per “assistenza”

(infermieristica? di tipo alberghiero? minore costo degli interventi curativi?). Alcuni leggono il termine assistenza in senso ristretto, riservando la concessione a casi che configurerebbero, ancorché in via temporanea, le fattispecie previste per la concessione dell’indennità di accompagnamento. A nostro avviso, ed in linea con i compiti istituzionali (controllo della incapacità lavorativa specifica da malattia comune), una volta accertata la sussistenza dello stato di malattia e della conseguente incapacità lavorativa specifica, verificata la non pericolosità dello spostamento, fatte salve le possibilità di controllo, non dovrebbero presentarsi importanti resistenze alla concessione della autorizzazione. Questo a maggior ragione se si considera che la ratio degli accordi in materia di sicurezza sociale è quello di garantire la libera circolazione degli individui (e dei lavoratori). D’altra parte la attesa attuazione delle norme sul lavoro frontaliero, come formulate dalla

Convezione non ancora in vigore fra Italia e Slovenia depone in favore della lettura

“liberale” delle norme in discussione. Tale considerazione può essere estesa ad alcuni distretti della Repubblica Croata, data la loro vicinanza geografica ai territori italiani di confine. E, del tutto recentemente, l’ambasciatore croato in Italia ha sollecitato accordi per la regolamentazione del lavoro transfrontaliero anche per i lavoratori croati.

In ogni caso il presupposto della trasferibilità dovrebbe essere, per quanto di interesse dell’INPS, la possibilità di effettuare il controllo dello stato di malattia. Uno dei problemi principali connesso a tale obiettivo è quello della identificazione delle Istituzioni Sanitarie competenti all’estero. Soprattutto nel caso delle repubbliche sorte dal disfacimento della confederazione jugoslava vi è stata molta incertezza nell’identificare gli enti competenti in materia sanitaria e quelli in materia previdenziale. E’ in corso oltre tutto in Croazia una riforma della assistenza di base, che sta apportando un certo sovvertimento dell’attuale assetto, soprattutto nella vicina Istria.

Una delle soluzioni potrebbe essere quella suggerita dalla circolare 192, con la previsione dell’intervento dei medici di fiducia dei Consolati e delle Ambasciate.

Ma anche questa soluzione appare spesso di difficile attuazione, data la distribuzione territoriale delle dipendenze italiane all’estero. Sempre che non rimanga il rivolgersi alle varie Accademie di Medicina Militare, come quella di Belgrado. Di certo tale attività di controllo avrà dei costi non facilmente prevedibili.

Un ultimo problema appare quello della idoneità della certificazione di malattia elaborata rilasciata dagli enti o professionisti esteri. Questa materia dovrebbe costituire oggetto di attenta valutazione soprattutto in ordine alla futura entrata in vigore delle norme sul lavoro frontaliero. Non è ipotizzabile al momento il

Un ultimo problema appare quello della idoneità della certificazione di malattia elaborata rilasciata dagli enti o professionisti esteri. Questa materia dovrebbe costituire oggetto di attenta valutazione soprattutto in ordine alla futura entrata in vigore delle norme sul lavoro frontaliero. Non è ipotizzabile al momento il

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