• Non ci sono risultati.

Equazione di Friis (equazione della trasmissione)

Nel documento Antenne e Propagazione (pagine 26-34)

1.5 Caratteristiche fondamentali delle antenne

1.5.8 Equazione di Friis (equazione della trasmissione)

Al fine di determinare facilmente la potenza trasmessa da un’antenna tra-smittente a una ricevente, esiste una nota formula, detta “Formula di Friis”, che permette di calcolarla, per un caso abbastanza semplice:

Prx

Ptx = GtxGrx λ2

(4πR)2

dove R `e la distanza tra le due antenne. Si ha a che fare come si vede con due termini: uno `e il prodotto dei due guadagni per le antenne, uno `e il “fattore di attenuazione spaziale”. Questa formula `e assolutamente valida nel caso semplificato in cui non vi siano attenuazioni o diffrazioni all’interno del problema considerato, ossia se si ha un cammino diretto sullo spazio libero. Ci`o `e generalmente vero quando si lavora a frequenze basse ma, sopra i 15 GHz, l’attenuazione diventa un fenomeno significativo. Questa formula non tiene conto inoltre di un possibile disadattamento, di natura circuitale

o di polarizzazione; al fine di tenerne conto, sarebbe possibile introdurre il seguente termine moltiplicativo correttivo:

(1 − |Γrx|2)(1 − |Γtx|2) |ˆprx· ˆptx|2

Questo numero, in un caso a noi favorevole, deve essere circa unitario. Oltre a tutto ci`o, come gi`a accennato, c’`e l’attenuazione dell’atmosfera, e la diffrazione.

Molto spesso si ha a che fare con numeri molto grandi, per esempio con guadagni elevati; per questo motivo `e tendenzialmente conveniente utilizzare questa formula in modo differente, ossia in scala logaritmica: con i decibel (dB). Si ha:

Prx|dB = Ptx|dB+ Gtx|dB+ Grx|dB− 20 log10 4πR λ



si utilizza questa definizione, con il segno “-” per l’ultimo termine, in maniera che esso sia sicuramente positivo; questo ultimo termine `e l’attenua-zione spaziale in dB. Le potenze sono di solito espresse in dBm o in dBW (essendo esse potenze e non rapporti). Si ha inoltre un’altra definizione: per avere una certa potenza ricevuta infatti `e necessario tenere ben conto dei primi due termini dell’equazione, detti “EIRP” (Equivalent Isotropic Radia-ted Power), o, in italiano, Potenza Equivalente Isotropica: si tratta della potenza che dovrei dare a un radiatore isotropico per avere la stessa potenza all’antenna che trattiamo.

Da questa formula sembrerebbe che l’attenuazione spaziale aumenti con la frequenza, ma ci`o non darebbe senso alla “corsa alle frequenze” che c’`e stata in questi anni. In realt`a ci`o non `e vero: se i guadagni delle antenne fossero funzioni costanti rispetto alla frequenza s`ı, sarebbe cos`ı, ma in realt`a andando su di frequenza il guadagno aumenta notevolmente. La formula di Friis potrebbe infatti essere riscritta in questa maniera:

Prx

Ptx = Aeq,txAeq,rx 1 (λR)2

Come si pu`o vedere da questa formula, valida soprattutto per le antenne ad apertura, ora si ha qualcosa di inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda, ma qui la cosa `e pi`u realistica.

Oltre a tutto ci`o, come gi`a detto, vi sono i vari fattori di perdite; il primo deriva da η, che per`o `e gi`a tenuto in conto nei guadagni (i quali dipendono, si ricordi, non dalle potenze irradiate ma quelle di alimentazione delle anten-ne). Pi`u interessante `e l’assorbimento nel mezzo: nello spazio libero, nella fattispecie nel vuoto, le onde elettromagnetiche non possono interagire con

niente, dal momento che non si ha del materiale. Se la propagazione avviene per`o in un mezzo materiale, si ha interazione con le molecole e dunque pos-sibilit`a di attenuazione. Le attenuazioni avvengono a causa dell’interazione tra l’onda elettromagnetica e le molecole per esempio dell’aria: queste a una certa frequenza vanno in risonanza e dunque assorbono l’energia. Nell’aria potrebbero risuonare l’azoto, il quale ha per`o una frequenza molto elevata; il vapore acqueo ha invece frequenze di risonanza pi`u basse, dunque si potreb-be avere una finestra di risonanza. L’attenuazione potrebpotreb-be derivare anche da altri fenomeni, nella fattispecie statistici, come i fenomeni atmosferici: se piove, l’attenuazione potrebbe essere molto significativa, specialmente sopra i 20 GHz, ed essa cresce con la quantit`a di acqua che piove.

Capitolo 2

Antenne ad apertura

2.1 Introduzione all’argomento

Le antenne ad apertura sono antenne estese in due dimensioni, tendenzial-mente direttive; tra queste antenne si possono ricordare l’antenna a tromba, l’antenna parabolica, la guida d’onda troncata.

Come si fa ad analizzare un’antenna ad apertura? Sostanzialmente, tutto si basa sull’applicazione del teorema di equivalenza su di una superficie chiu-sa idonea. La superficie che consideriamo, per semplicit`a, `e una superficie piana con un’apertura con una certa geometria (che potrebbe essere rettan-golare, circolare, o di altra forma), chiusa da una semisfera di raggio infinito. Grazie a questa scelta della geometria, l’integrale di irradiazione dovr`a essere calcolato sostanzialmente solo sull’apertura considerata. Si considera dunque un sistema di questo tipo:

Come noto, l’espressione semplificata dell’integrale di irradiazione `e qual-cosa del tipo:

E = −jZ0 2λ e−jkR R Z A Jtejkr0· ˆRdS

dove al solito si ha un punto P0 che descrive la posizione delle sorgenti, R che indica il punto potenziato (il punto di osservazione), quindi il vettore P − P0. Applicando il teorema di equivalenza alla superficie considerata `e possibile prendere l’integrale di irradiazione e, al posto delle sorgenti, ottene-re l’espottene-ressione del campo sulla superficie considerata (l’apertura). Fatto ci`o, `

e necessario fare l’integrale, e per questo dunque `e necessario conoscere l’e-spressione del campo sulla suddetta superficie A. Prima di tutto, definiamo in qualche modo l’elemento di superficie dell’integrale; essendo la superficie

piana, potremmo utilizzare per esempio un sistema di riferimento cartesiano; in questo modo, si avrebbe:

dS = dxdy

si ha che la direzione di propagazione dell’onda elettromagnetica `e z, le altre due coordinate rappresentano il piano; il sistema `e tale da avere l’aper-tura al livello z = 0. Un generico punto r0 apparterr`a al piano dell’apertura, dunque esso avr`a certamente z = 0, e le altre coordinate pari a xˆx, yˆy. Al fine di calcolare l’integrale, ci manca ancora un dettaglio, ossia ˆR: come ciascun versore radiale, esso `e nativamente espresso in un sistema di riferi-mento sferico; per riferirsi al cartesiano, `e necessario proiettarlo sul sistema in questione, ottenendo:

ˆ

R = sin ϑ cos ϕˆx + sin ϑ sin ϕˆy + cos ϑˆz

dunque, a questo punto `e possibile calcolare l’argomento dell’esponenziale sotto integrale come:

kr0· ˆR = kx sin ϑ cos ϕ + ky sin ϑ sin ϕ Definisco a questo punto:

kx , k sin ϑ cos ϕ ky , k sin ϑ sin ϕ

in questo modo, il momento elettrico generalizzato si riconduce a:

Pe = Z

A

Jtejkxx+jkyydxdy

Cosa significa ci`o? Stiamo integrando con un tipico della trasformata spaziale di Fourier le funzioni di densit`a spaziale di corrente, o meglio le componenti trasversali delle correnti superficiali rispetto alla direzione di osservazione: questo significa, in altre parole, calcolare la trasformata doppia di Fourier (indicata, nella trattazione, come F2) delle densit`a superficiali trasversali di corrente. Consideriamo solo quelle superficiali, dal momento che l’intenzione `e quella di integrare solo sull’apertura. Le correnti superficiali dunque sono:

MS= ˆn × ES

In questo caso, dato il sistema di riferimento da noi definito, la normale alla superficie `e semplicemente l’asse z: ˆn = ˆz. In questo modo, `e possibile dire che, per esempio:

JS= ˆz × H = Hxˆy − Hyˆx

Questo si ottiene facendo il prodotto vettoriale alla solita maniera. Questo procedimento permette sostanzialmente di scalarizzare il problema.

Consideriamo a questo punto il teorema di equivalenza applicato in forma pi`u semplice:

JS = 2xˆzHS

il “2” ovviamente deriva dal fatto che, avendo considerato un PEC come elemento richiudente la superficie, il campo magnetico `e stato raddoppiato. L’integrale rappresentante il momento elettrico generalizzato dunque pu`o es-sere pensato come trasformata doppia di Fourier delle componenti del cam-po magnetico alla superficie; definisco dunque per comodit`a le appena citate trasformate come:

gx , F2{HS,x} gy , F2{HS,y} dunque:

JS = ˆz × F2{HS} = gxˆy − gy

Questa `e la densit`a di corrente equivalente superficiale; nell’integrale di irradiazione, tuttavia, si ha qualcosa di questo genere:

E = −jZ0 2λ e−jkR R Z A Jtejkr0· ˆRdS

quindi non ci interessano le correnti totali, bens`ı solo quelle trasversali; al fine di ottenere le correnti trasversali a partire da quelle note `e necessario applicare l’operatore diadico identit`a trasversale al suddetto vettore, in modo da ottenerne la sola componente trasversale. Come noto, l’operatore diadico trasversale agisce secondo la seguente matrice:

I t =   0 0 0 0 1 0 0 0 1  

questo significa, considerando l’equazione scalare:

I

t· JS= ˆϑ ˆϑ · (gxˆy − gyˆx) + ˆϕ ˆϕ · (gxˆy − gyˆx)

a questo punto `e necessario ricordarsi i prodotti scalari ˆϑ · ˆx e ˆϕ · ˆy. Si pu`o vedere che:

ˆ

ϑ · ˆx = cos ϑ cos ϕ

ˆ

ϑ · ˆy = cos ϑ sin ϕ

e stessa cosa con ϕ. Si ottengono dunque le seguenti componenti del campo elettrico:

Eϑ= 2AΨ cos ϑ (gxsin ϕ − gycos ϕ) Eϕ = 2AΨ (gxcos ϕ + gysin ϕ)

Questa cosa `e stata fatta usando l’equivalenza con due correnti elettriche; `

e possibile fare lo stesso con la somma delle due correnti, o con due correnti magnetiche, e trovare risultati simili a questo. Nel caso si utilizzassero solo correnti magnetiche equivalenti, nella fattispecie, si avr`a da fare la trasfor-mata doppia di Fourier del campo elettrico superficiale, al fine di determinare le funzioni integrali fx e fy:

fx,y = F2{ES,x ,y}

Definizione dei versori di polarizzazione secondo Ludwig

Abbiamo introdotto la notazione da usare per rappresentare i campi elettrici all’apertura. Come noto dal capitolo introduttivo alla trattazione, tra le varie grandezze atte a qualificare il problema vi `e anche una grandezza vettoriale, nota come “polarizzazione”. La rappresentazione finora usata per esprimere i campi elettrici e magnetici `e basata sugli angoli zenitale ϑ e azimutale ϕ, ma ci`o pu`o non essere utile al fine di definire le polarizzazioni diretta e incrociata. Se si ha un’apertura in cui il campo `e in fase, nel caso in cui si consideri ϑ = 0 (ossia sostanzialmente angolo tale da considerare la direzione

assiale, la direzione normale al piano dell’apertura), si ha un qualcosa di indeterminato sotto il punto di vista della coordinata azimutale: sull’asse z non `e possibile determinare ϕ, dal momento che, intuitivamente, se siamo sul “polo”, qualsiasi coordinata azimutale `e valida, ossia vi sono infiniti versori che vanno bene. Si provi geograficamente a capire la cosa: quando ci si trova al polo nord geografico, non ha senso parlare di longitudine, dal momento che qualsiasi valore di longitudine va bene per esprimere il punto in cui ci si trova. Questo significa, in altre parole, che `e impossibile scrivere le componenti del campo secondo ϑ e ϕ, quando si `e in ϑ = 0. Questa cosa pu`o essere problematica, dal momento che se il campo elettrico ha polarizzazione lineare verticale, esso non `e rappresentabile mediante questi versori.

La soluzione per questo problema `e quella di utilizzare un diverso set di versori, in grado di eliminare questo problema di indeterminazione. Ci`o che si fa `e usare i seguenti versori di riferimento per la determinazione delle polarizzazioni:

ˆ

p = cos ϕ ˆϕ + sin ϕ ˆϑ

ˆ

q = sin ϕ ˆϕ − cos ϕ ˆϑ

Si consideri per esempio il discorso della polarizzazione verticale: se lo guardo dal punto di vista del piano xz, il campo elettrico verticale ha una componente lungo ϕ; se lo guardo al piano yz, ho una componente secondo ϑ: non `e molto utile dunque usare questo tipo di coordinate sferiche per definire la polarizzazione.

Quello che si fa `e utilizzare le precedenti polarizzazioni di riferimento, definite mediante i vettori ausiliari prima introdotti. Questo dal momento che il versore ˆp, nell’intorno dell’asse z, `e sempre parallelo a s`e stesso, e stessa cosa vale per ˆq! Se prendiamo ϕ = 0 per esempio ˆp coincide con ˆϕ; sul piano yz, ϕ = π/2, dunque rimane ˆϑ!

questo discorso vale in realt`a per tutti i valori di ϕ: per un ϑ molto piccolo, si ha che ˆp `e sempre diretto allo stesso modo, dunque va tutto bene. Resta il problema dell’indeterminazione, ϑ = 0, ma a questo punto si pu`o sfruttare un noto concetto matematico: quello di discontinuit`a eliminabile. Si ha che per valori piccoli di ϑ i limiti tendono tutti a un certo valore ben definito, e, per quanto per ϑ = 0 ci sia il problema, si pu`o imporre il prolungamento per continuit`a imponendo che:

f (ϑ = 0) = lim

ϑ→0f (ϑ)

Per indicare la polarizzazione diretta e incrociata non prendo pi`u quelli di ϑ e ϕ ma questi due ˆp e ˆq, i quali hanno continuit`a sull’asse z.

Noi potremmo anche calcolare le componenti con ϑ e ϕ, ma si avrebbe un problema: a seconda del piano che si considera, si trova diversa da zero una componente oppure l’altra componente, dunque si potrebbe avere qualcosa di strano. Si consideri per esempio un’apertura:

Se si calcola la componente Eϕ sul piano orizzontale, si trova una certa funzione (dove sulla punta non `e definita); se proviamo a calcolare sul piano verticale Eϑ (per dunque ϕ = π/2), si trova una funzione diversa, anche in questo caso non determinata sulla “punta”. Il problema `e che sull’asse si trovano diverse da zero tutte e due le componenti; la cosa curiosa `e il fatto che nel piano orizzontale la polarizzazione predominante `e Eϕ, in quello verticale Eϑ, dunque non si capisce quale delle componenti sia quella predominante a seconda del piano: capire quale sia la polarizzazione diretta e quale quella incrociata `e difficile.

Questa definizione di polarizzazione viene chiamata “terza definizione di Ludwig”, derivante da un articolo scritto nel 1973 da questo signor Ludwig. Si hanno tre possibili definizioni:

• come prima definizione, utilizzare semplicemente gli assi cartesiani co-me vettori di polarizzazione; ci`o funziona fino a quando siamo in un dintorno dell’asse z, dal momento che, allontanandosi da esso, accade che ˆx e ˆy non sono pi`u vettori trasversali: hanno una componente radia-le, e questo non `e possibile per vettori di polarizzazione (dal momento che il campo irradiato ha solo componenti trasversali);

• come seconda si ha quella basata sui versori relativi agli angoli ϑ e ϕ; come gi`a detto, essa soffre del problema duale, ossia non funziona bene nell’intorno dell’asse z per i motivi gi`a ampiamente discussi;

• la terza definizione `e quella introdotta; questo `e particolarmente como-do dal momento che si utilizzano gli stessi versori che si utilizzano con la metodologia standard di misura.

Nel documento Antenne e Propagazione (pagine 26-34)