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Le evidenze empiriche riguardo la scelta delle fonti di finanziamento

Capitolo 1: La struttura finanziaria di un’Impresa

1.4 Le evidenze empiriche riguardo la scelta delle fonti di finanziamento

Le teorie presentate nei paragrafi precedenti hanno offerto diversi paradigmi interpretativi della struttura finanziaria delle imprese e della tipologia delle fonti di finanziamento. Da Modigliani e Miller a Berger e Udell, lo scopo era quello di determinare delle regole che permettessero di decidere la struttura finanziaria ottimale, la quale avrebbe implicato un maggior valore per l’impresa.

Tuttavia, le applicazioni pratiche di tali teorie non sono del tutto esaustive e non si dispone ancora di nessuna formula che permetta di valutare il rapporto di indebitamento ottimale.

28 Celotto Enrico 1.4.1 La maggior parte delle imprese presenta rapporti di indebitamento bassi

Vari studi hanno mostrato che il rapporto di indebitamento medio non raggiunge mai il 100%. Tale risultato suggerisce, in base alle teorie presentate, che, o le imprese non sfruttano le opportunità offerte dal debito, oppure che l’emissione del debito presenta un limite dovuto ai costi di dissesto del fallimento e ulteriori costi di agenzia. La figura 1.12 mostra il rapporto d’indebitamento mediano di 39 stati42 nel periodo tra il 1991 e il 2006. La Korea presenta il valore mediano dell’indice di indebitamento più elevato di tutti i 39 stati analizzati, ma tale dato non raggiunga neanche il 60%. Ciò significa che in tutto il cluster considerato prevale il numero delle società che possiedono un rapporto di indebitamento inferiore al 50%, e cioè un valore del debito uguale o minore del patrimonio netto. La seconda particolarità da notare è l’esistenza di una variazione considerevole di tale rapporto in differenti stati considerati. Tale risultato implica che il livello di indebitamento scelto dipende anche da specifiche macro-economiche del paese o del mercato di riferimento.

Figura 1.12: Modelli di struttura finanziaria utilizzati in diversi paesi

Fonte: (J.P.H. Fan- S. Titman-G. Twite, 2010)

1.4.2 Molte imprese non fanno ricorso al debito

Tipicamente, in molte imprese, i manager di queste imprese detengono una quota rilevante dell’equity o il controllo è esercitato da gruppi familiari. In uno studio di 100 società, Agrawal e Nagarajan hanno scoperto che le imprese che non facevano ricorso al debito, possedevano titoli molto più liquidi rispetto a società comparabili, ma indebitate.

La figura 1.13 mostra la percentuale di imprese prive di debito finanziario in vari paesi e nel periodo considerato tra il 2004 e il 2013. Da notare come la percentuale di imprese senza debiti finanziari diverge da paese a paese. Antonio de Socio et al. (2016), nel report di Banca Italia, affermano che il risultato può essere stato influenzato da due fattori: il primo consiste nel fatto che nell’analisi eseguita nella banca dati Orbis i debiti finanziari possono essere stati inclusi in altre passività; il secondo, riguardante le piccole medie imprese, è la mancata distinzione tra debiti finanziari ed altre tipologie di debito. Ciò non toglie che il numero delle imprese completamente prive di debito finanziario sia elevato.

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Figura 1.13: Percentuale delle imprese prive di debito

Fonte: (Antonio de Socio-Paolo Finaldi Russo, 2016)

La figura 1.14 tratta sempre dal report della banca d’Italia, riporta ancora le percentuali di imprese prive di debito finanziario, per gli anni 2004 e 2013, questa volta però suddivise in due grafici. Il grafico di sinistra riporta la percentuale di imprese prive di debito finanziario e considerate in base alla dimensione dell’impresa; il grafico di destra, riporta le stesse imprese suddivise in base al settore di appartenenza.

Questa suddivisione non avviene secondo la vita dell’impresa ma in base alla sua dimensione; per capire come tale risultato possa confondere, basta considerare la situazione italiana, nella quale numerosissime imprese risultano essere di dimensioni medio-piccole anche, se esercitano l’attività da parecchi anni.

Il grafico di destra sembra confermare in parte la Trade Off Theory, infatti il settore manifatturiero, che al proprio interno ha imprese con un attivo (generalmente) più facilmente liquidabile, presenta una percentuale minore di imprese prive di debito rispetto alle imprese del settore dei servizi (come si evidenzierà anche nel punto seguente).

Figura 1.14: Percentuale delle imprese prive di debito per dimensione

30 Celotto Enrico 1.4.3 Differenti strutture finanziarie riflettono i diversi settori in cui opera l’impresa

In settori ad alta crescita che offrono opportunità d’investimento future, i rapporti tra debito finanziario ed attivo tendono ad essere bassi; in settori invece dove sono presenti meno opportunità di crescita ed investimenti più tangibili (ad esempio maggiori immobilizzazioni materiali) tendono ad avere un rapporto tra debito ed attivo più elevato.

La figura 1.15 mostra il Rapporto tra debito e attività (definito anche debt ratio) per settore dell’Unione Europea nel 2011. Ogni settore consta mediamente di un ciclo operativo e di una catena del valore, di tipologie di asset e opportunità d’investimento, differenti da altri settori. Tali fattori influenzano poi la costituzione delle fonti a cui mediamente il settore attingerà43. Prendiamo ad esempio i due settori “Industrials” e “Financials”, che presentano un numero simile di imprese ma molto differenti tra di loro, sia per gli asset d’investimento sia per il ciclo operativo. Dalla figura 1.15 si può notare come la loro distribuzione del debt ratio sia differente. Considerando un debt ratio fino ad un livello del 50%, il settore Financials presenta già un livello pari a 64.61%, il settore Industrials solo del 29.49%.

Figura 1.15: Distribuzione Debt/Ratio per settore – Unione Europea 2015

Fonte: (David Hillier et al., 2015) – di cui fonte Bureau van Dijk

1.4.4 Scelta tra mezzi propri e mezzi terzi: la situazione italiana

Secondo dati Istat, a fine 2015 il numero delle imprese italiane era poco superiore a 6 milioni di unità. L’Istat sottolinea anche che le small o micro imprese rappresentano circa il 95% del totale delle unità produttive. Questa forte frammentazione determina una dimensione media dell’impresa italiana parecchio ridotta, con una struttura proprietaria il più delle volte semplificata. Tutto ciò si rispecchia nella struttura finanziaria dell’impresa, la quale risulterà molto semplificata e poco diversificata. Nella figura 1.16 è riportato il rapporto tra debiti finanziari e capitale netto (detto anche rapporto di leva), rispettivamente per le PMI (piccole medie imprese), le grandi imprese, le medie imprese e le piccole imprese.

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Si precisa che in questo capitolo, le fonti a cui ci si riferisce sono suddivise unicamente tra mezzi propri e mezzi terzi. La specificazione di quali tipologie di debito o di capitale viene utilizzata dall’impresa è un argomento che verrà trattato nei capitoli successivi.

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Figura 1.16: Rapporto tra debiti finanziari e capitale netto per dimensione d’impresa

Fonte: Rapporto Cerved PMI 2016

La figura, mostrando il rapporto di leva del 2007 e degli anni 2013-2014-2015, permette di analizzare la struttura finanziaria delle imprese sia nel periodo pre-crisi (anno 2007) che durante la crisi.

La prima particolarità che emerge è che nell’anno 2007 le piccole e medie imprese presentavano un rapporto di leva maggiore rispetto alle grandi imprese.

Tale dato risulta leggermente contrastante con le teorie considerate nel paragrafo 1.3, in base alle quali le imprese di piccole dimensioni dovrebbero presentare maggiori costi del dissesto e maggiori opportunità di crescita future rispetto alle grandi imprese e quindi dovrebbero essere finanziate primariamente attraverso il capitale proprio. Occorre però considerare un peculiarità delle PMI nel nostro paese, e cioè che esse incontrano delle difficoltà ad intraprendere percorsi di crescita dimensionale come invece avviene in altri paesi di origine anglosassone. Le teorie presentate infatti sono derivate principalmente da studi di aziende presenti in paesi anglosassoni, le quali però possiedono caratteristiche e mercati differenti dal nostro; ciò comporta che queste teorie non siano sempre compatibili od utilizzabili per qualsiasi realtà.

La seconda particolarità si può osservare nel periodo di crisi, cioè gli anni 2013, 2014 e 2015. In questi anni il rapporto di leva delle piccole e medie imprese è drasticamente calato, quello delle grandi imprese è sceso solo lievemente. Questo risultato è perfettamente in linea con la Trade Off Theory. Nel periodo di crisi sia per le grandi imprese che per le piccole-medie imprese gli utili sono divenuti più volatili, e il grado di solvibilità delle imprese è stato fortemente minato. Questo ha comportato una minore fiducia degli investitori terzi e di conseguenza un costo del debito maggiore. Ricorrere al debito in questo periodo comporta maggiori costi e, come affermato dalla Trade Off Theory, ciò porta l’impresa a modificare la struttura finanziaria verso un livello di indebitamento minore.

L’effetto della crisi è stato maggiormente sentito dalle piccole e medie imprese, perché queste ultime già presentavano degli utili abbastanza volatili, al contrario delle grandi imprese che ottenevano utili di volumi maggiori e più stabili.