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Evoluzione storica dell’istituto Dalle origini alla legge Merlon

Ripercorrendo l'evoluzione della produzione normativa nel settore in esame troviamo numerose leggi e disposizioni speciali, di cui talune a carattere generale concernenti tutte le opere pubbliche, qualunque fosse la natura di queste o l’amministrazione competente, altre, invece, relative a lavori di categorie determinate o di competenza di alcune amministrazioni.

Dobbiamo richiamare tra le leggi di applicazione generale in primo luogo, la legge fondamentale sui lavori pubblici di cui all’allegato F della legge 20 marzo 1865, n. 2248, che detta norme sul contenuto dei contratti di appalto e sulla loro esecuzione, modificata dalla legge n. 294, del 1893, che per quasi 130 anni ha costituito la fonte di norme di dettaglio, ma anche il testo al quale l’interprete si è costantemente riferito per desumere i principi generali della materia48.

In tale allegato, il Titolo VI (artt. 319-365) è interamente dedicato alla gestione amministrativa ed economica dei lavori pubblici.

Numerosi sono gli atti normativi, succedutisi nei primi decenni del 900’, recanti disposizioni per l’esecuzione di opere dello Stato e degli enti

46 A titolo esemplificativo: innovazione introdotta dall’art. 129, comma 3,

(art. 129-136, D.P.R. n. 207/2010) consistente nella disciplina del sistema globale di garanzia.

47 Si vedano L. PALADINI, Le fonti del diritto italiano, IL MULINO,

Bologna, 1996, 352 ss.; R. BIN, G. PITRUZZELLA, Le fonti del diritto, GIAPPICHELLI EDITORE, Torino, 2009, 189-190.

48 Si vedano A. CIANFLONE, G. GIOVANNINI, L’appalto di opere

pubbliche, GIUFFRÈ EDITORE, Milano, 2012, 73 ss.; N. CENTOFANTI, La patologia del contratto di appalto di opere pubbliche nella giurisprudenza, CEDAM, Padova, 2000, 1-2.

32 locali49, tra i quali il r.d. 8 febbraio 1923, n. 422, più volte modificato,

con atti successivi, il r.d.l. 28 agosto 1924, n. 1396, convertito dalla legge n. 1013 del 1926.

Con la legge 24 giugno 1929, n. 1137, sono state inoltre dettate disposizioni in materia di concessioni di opere pubbliche.

Nell’ambito delle fonti aventi applicazione generale, occorre anche ricordare le norme fondamentali in materia di contabilità pubblica, che, essendo riferite a tutta l’attività contrattuale della P.A., trovano applicazione in assenza di espresse previsioni derogatorie, anche al settore dei lavori pubblici.

Nello specifico, il r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, recante la legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato e il relativo regolamento, approvato con r.d. 23 maggio 1924, n. 827, disciplinano la scelta del privato contraente, la stipulazione, l’approvazione ed esecuzione dei contratti, il collaudo.

Norme di carattere tecnico relative alla scelta e al collaudo dei materiali sono contenute inoltre in un gran numero di atti adottati nel corso di più di un secolo.

Nei primi due decenni dell’ordinamento repubblicano sono state introdotte altre normative di carattere organico, sebbene di oggetto più limitato: tra le principali, ricordo la legge 10 febbraio 1962, n. 57, che ha previsto l’istituzione dell’Albo nazionale dei costruttori, nel quale sono iscritte le imprese che realizzano i lavori pubblici50.

49 Si veda Digesto delle discipline pubblicistiche, UTET, Torino, 1987, 296-

297.

50 Il comitato centrale dell’albo può sospendere, nelle fattispecie previste

dall’art. 20, l. 57/1962, come, ad esempio, in caso di fallimento dell’impresa o qualora vi siano procedimenti penali in corso, l’iscrizione all’albo.

La sospensione è disposta per un periodo che va da tre a sei mesi nelle ipotesi previste dall’art. 24, dir. n. 93/37/Cee, ex art. 8, 7° comma, l. 109/1994. La giurisprudenza ritiene che la sospensione possa essere disposta anche qualora il procedimento penale riguardi amministratori o tecnici dell’impresa successivamente sostituiti nella carica. La cancellazione dall’albo è disposta nei casi di maggiore gravità e di recidiva. La

33 La stessa legge n. 57, è stata oggetto di numerose modifiche ed integrazioni, introdotte per lo più dalla c.d. “legislazione antimafia”. A partire dalla metà degli anni ‘60, la produzione legislativa si caratterizza per una maggiore frammentarietà e disorganicità degli interventi: in quegli anni ha inizio il filone delle leggi che modificano, in modo episodico la disciplina di singoli istituti, accentuando la confusione del quadro normativo.

Vengono in rilievo, soprattutto dagli inizi degli anni ‘7051 leggi che

hanno l’intento di “accelerare” o “semplificare” le procedure per la realizzazione di opere pubbliche.

Principalmente questo fenomeno ha riguardato il settore dei lavori pubblici, mentre il settore servizi e forniture ha continuato ad essere regolato dalla legislazione fondamentale, almeno sino all’entrata in vigore della legislazione europea52.

condanna penale per delitto, ad esempio, è causa di cancellazione dall’albo, ex art. 21, l. 10 febbraio 1962, n. 57, nel caso la sua gravità faccia venire meno i requisiti morali richiesti per l’iscrizione, demandando all’amministrazione la valutazione della concreta gravità della condanna.

51 Ricordo, tra le altre, la l. n. 504, del 3 luglio 1970, “Norme per gli appalti

di opere pubbliche mediante esperimento di gara con offerta in aumento”; la l. n. 14, del 2 febbraio 1973, “Norme sui procedimenti di gara negli appalti di opere pubbliche mediante licitazione privata”; la l. n. 8, del 12 gennaio 1974, “Norme in materia di appalti di opere pubbliche”; la l. n. 80, del 17 febbraio 1987, “Norme straordinarie per l’accelerazione dell’esecuzione di opere pubbliche”; la l. n. 584, dell’8 agosto 1977 di “Adeguamento alle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici alle direttive della Comunità Europea”; la l. n. 741, del 10 dicembre 1981, “Ulteriori norme per l’accelerazione delle procedure per l’esecuzione di opere pubbliche”.

52 Tale distinzione è stata introdotta dagli artt. 3 e 4, del r.d. 18 novembre

1923, n. 2440, a tenore del quale “i contratti dai quali derivi una spesa per lo Stato devono essere preceduti da gara mediante pubblico incanto o licitazione privata, a giudizio discrezionale dell’amministrazione”, mentre era previsto che solo per “speciali lavori o forniture possono invitarsi le persone o ditte ritenute idonee a presentare, in base a prestabilite norme di massima, i progetti tecnici e le condizioni alle quali sono disposti ad eseguirli… nei modi che saranno stabiliti nell’invito si procede, a giudizio insindacabile dell’amministrazione, alla scelta del progetto che risulti preferibile, tenuto conto degli elementi economici o tecnici delle singole offerte e delle garanzie di capacità e serietà che presentano gli offerenti…”.

La differenza è evidente:

34 Vennero così introdotte discipline speciali, destinate a regolare l’affidamento e l’esecuzione di specifici lavori, e discipline che derogavano alla normativa generale per interventi caratterizzati da particolare urgenza.

Tale forma di intervento legislativo, proseguita nel decennio successivo, diviene tanto frequente da alterare il consueto rapporto tra norme speciali e norme generali, rendendo l’applicazione di queste ultime sempre più rara e residuale.

Dei ventitré principali atti legislativi adottati nel decennio 1970 ben quattordici contengono previsioni derogatorie alla normativa generale in materia di esecuzione dei lavori pubblici o alla normativa in materia di contabilità pubblica.

Questo tipo di produzione legislativa ha comportato la sovrapposizione di norme di portata più limitata, accentuando nel complesso la stratificazione del sistema normativo.

Un impulso alla riaggregazione del tessuto normativo è stato impresso, sul finire degli anni 70, dal processo di recepimento delle direttive comunitarie.

La prima direttiva, volta al riavvicinamento delle legislazioni nazionali in materia di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, è la direttiva 71/305/CEE, la quale è stata recepita nell’ordinamento italiano soltanto nel 1977, con la legge n. 584, di adeguamento alle direttive del Consiglio CEE, modificata dalla direttiva 89/440/CEE, del 18 luglio 198953.

Anche dopo l’approvazione di tale disciplina non è peraltro cessata

- nella licitazione (o nell’appalto – concorso) si sceglie il miglior progetto, sulla base di elementi economici e tecnici.

Nell’incanto, il progetto è interamente predisposto dall’amministrazione, nella licitazione è predisposto in collaborazione con l’offerente, sulla base di criteri di massima predisposti dalla stazione appaltante.

53 Si veda Digesto delle discipline pubblicistiche, UTET, Torino, 1987, 296-

35 l’adozione di normative speciali, che, al fine di eludere le prescrizioni di derivazione comunitaria, hanno limitato o addirittura escluso l'applicazione della legge con riferimento alla realizzazione di specifici interventi.

Un fenomeno assai frequente che si è sviluppato in questi anni è costituito dalla utilizzazione della concessione e dell’altrettanto frequente ricorso alla trattativa privata con un netto ostacolo verso le regole di aggiudicazione di tipo concorrenziale; troviamo una sottrazione di tali fattispecie agli obblighi concorsuali e di motivazione previsti per l'aggiudicazione degli appalti di opere pubbliche e nella conseguente maggiore discrezionalità consentita all’amministrazione in sede di scelta del soggetto contraente. Di fronte alle difficoltà incontrate dall’amministrazione in ordine alla programmazione e alla progettazione degli interventi, nonché al puntuale controllo circa il corretto adempimento degli obblighi contrattuali, corrispose, un crescente coinvolgimento di soggetti, strutture e competenze esterne all’amministrazione stessa. Per le opere pubbliche, ciò avvenne in larga parte proprio mediante l’utilizzo sempre più esteso dell'istituto della concessione, soprattutto in vista dei vantaggi collegati alla possibilità di accollare in tal modo al concessionario, oltre all’attività di progettazione, tutta una serie di compiti (relativi al coordinamento, alla direzione e alla contabilizzazione dei lavori) tradizionalmente spettanti all'Amministrazione.

In Italia l’istituto della concessione di opere pubbliche si basava, in linea generale, sulla legge 24 giugno 1929, n. 1137, in base alla quale (art. 1, primo comma) “possono essere concesse in esecuzione a Province, Comuni, consorzi e privati, opere pubbliche di qualunque natura, anche indipendentemente dall'esercizio delle opere stesse”.

Per lungo tempo tale disposizione ha favorito nel nostro ordinamento un’interpretazione molto più ampia di questo istituto, nel cui ambito

36 sono state tradizionalmente ricondotte secondo un rapporto di genere/specie, tipologie di rapporti contrattuali diversi tra loro sotto il profilo dei contenuti sostanziali, quali:

 la “concessione di costruzione e gestione” (detta anche “di esercizio”), in cui il diritto del concessionario a gestire l’opera costituisce, in tutto o in parte, il corrispettivo per i lavori eseguiti;

 la “concessione di sola costruzione”, in cui gli obblighi a carico del concessionario riguardano unicamente la realizzazione dell’opera;

 la “concessione di costruzione”, intesa in senso ampio e caratterizzata dall’affidamento al concessionario, accanto alla materiale esecuzione dell’opera, di un insieme di compiti ulteriori e strumentali rispetto all’ esecuzione stessa, come la progettazione, l’organizzazione dell’intervento, la richiesta dei necessari assensi delle autorità competenti, il compimento delle procedure espropriative ecc. normalmente propri dell’amministrazione concedente;

 la “concessione di committenza”, avente ad oggetto la prestazione di servizi latu sensu organizzativi in sostituzione dell’amministrazione è caratterizzata dalla completa estraneità del concessionario alla materiale realizzazione dell’opera, per la cui esecuzione il concessionario è obbligato ad avvalersi di imprese a lui in nessun modo collegate.

Lo strumento concessorio non sembrò aver risolto, però, né i problemi relativi al rispetto dei tempi e delle previsioni progettuali, né quelli legati al contenimento della spesa effettiva nei limiti di quella preventivata.

In primo luogo per l’insufficiente responsabilizzazione del concessionario sui rischi tecnici e finanziari connessi alla realizzazione degli interventi, in secondo luogo per l’eccessiva disponibilità

37 dimostrata dall’amministrazione nei confronti delle richieste finanziarie avanzate dal concessionario nel corso del rapporto contrattuale, accolte spesso senza un accurato controllo di merito circa il grado di corrispondenza tra risultati effettivi e risorse complessivamente utilizzate.

La natura fiduciaria che in linea di principio caratterizzava il rapporto di concessione e la conseguente sottrazione della scelta del concessionario alle normali procedure di gara, favorirono la proliferazione di figure concessorie solo marginalmente distinguibili dall’appalto per quanto concerne la disciplina e i contenuti del rapporto contrattuale54, e di fatto sostanzialmente elusive delle garanzie e dei vincoli concorrenziali previsti per l’aggiudicazione delle commesse pubbliche; soprattutto nei casi in cui l’individuazione del concessionario era espressamente limitata dal legislatore nazionale o regionale attraverso la previsione di esplicite riserve a favore di determinate imprese o categorie di imprese (di solito quelle a prevalente partecipazione statale).

Va infine osservato che nella maggior parte dei casi l’affidamento in concessione per l’esecuzione di opere pubbliche si sviluppò in aperto contrasto con le norme comunitarie (e con la stessa normativa nazionale di recepimento) che limitavano la figura della concessione ai soli contratti nei quali il corrispettivo delle attività svolte dal concessionario era rappresentato, in tutto o in parte, dal diritto di gestire l’opera realizzata. In base a tali norme, quindi, tutte le diverse forme di concessione a costruire, non accompagnate dalla gestione

54 È il caso, in particolare, delle c.d. concessioni di sola costruzione, nelle

quali gli obblighi a carico del concessionario riguardano unicamente la realizzazione dell’opera, ovvero delle c.d. concessioni a contenuto misto nelle quali, nonostante il formale ampliamento delle prestazioni del concessionario, quelle strettamente attinenti l’esecuzione materiale dell’opera assumevano spesso, come nell’appalto, un rilievo assolutamente principale.

38 dell’opera, dovevano ritenersi equiparate all’appalto e come tali regolate.

In ordine alla concreta disciplina dell’istituto concessioni, la l. 8 agosto 1977, n. 584, attuativa della direttiva n. 71/305, del 26 luglio 1971, equiparava la concessione di sola costruzione al contratto di appalto, ed escludeva nel contempo la concessione di costruzione e gestione dai vincoli comunitari. Successivamente il d.lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, attuativo della direttiva n. 89/440, del 18 luglio 1989, assoggettò alla disciplina anche dette ultime concessioni i cui lavori fossero di importo pari o superiore a 5 milioni di e.c.u., prevedendo inoltre per esse una sorta di jus singulare. In particolare, la norma definiva “concessioni di lavori pubblici” i “contratti” caratterizzati dal fatto che la controprestazione a favore dell’impresa o dell’ente concessionario consistesse unicamente nel diritto di gestire l’opera oppure in questo diritto accompagnato da un prezzo. Per l’affidamento della concessione venivano quindi stabiliti l’obbligo di pubblicazione di un bando (art. 12, comma 3), il metodo di aggiudicazione per licitazione privata o trattativa privata (art. 8, comma 3), il termine minimo i presentazione delle candidature (art. 16), le cause di esclusione dalla procedura (art. 189) e la possibilità dell’affidamento della concessione a riunioni di imprese (art. 22). Se concessionaria fosse risultata un’altra P.A., essa era tenuta, per i lavori da fare eseguire a terzi, a rispettare tutte le disposizioni dello stesso d.lgs. n. 406, del 1991 (art. 4, comma terzo). Se il concessionario fosse un diverso soggetto, normalmente un’impresa, avrebbe dovuto a suo carico essere previsto nel bando l’obbligo di affidare a terzi, (da escludere come tali le imprese riunite o collegate al concessionario) appalti corrispondenti ad una percentuale minima del 30% dei lavori (art. 4, comma quarto). Qualora l’importo complessivo di tali appalti fosse pari o superiore a 5 milioni di e.c.u., il concessionario era tenuto, ai fini del loro affidamento a pubblicare un bando di gara

39 (art. 12, comma 4) ed a osservare le altre norme stabilite dal d.lgs. per la specifica ipotesi (v. art 14, ultimo comma, art. 19, comma 2). È poi subentrata la disciplina della l. n. 109, del 1994 (spec. art. 19, comma 2 e ss.) e successive modificazioni, la cui regolamentazione è stata sostanzialmente confermata dall’attualmente vigente d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, salvo talune integrazioni e modificazioni55.

Con la legge 11 febbraio 1994, n. 109, denominata “Legge quadro in materia di lavori pubblici”, successivamente modificata con il d.l. 3 aprile 1995, n. 101, convertito in legge il 2 giugno 1995, n. 216 (c.d. “Merloni-bis o Merloni-Baratta” dal nome del nuovo Ministro dei lavori pubblici), dalla legge 18 novembre 1998, n. 415 (c.d. “Merloni-ter”) e dall’art. 7 della l. n. 166 del 2002, si è inteso rifondare quello che viene definito, nel secondo comma, dell’art. 3 “l’ordinamento generale in materia di lavori pubblici" al quale sarà ricondotta, integralmente, la disciplina del settore procedendo al suo completo riordino56.

La legge cerca di coniugare l’esigenza di trasparenza e rispetto del principio di libera concorrenza mutuate dalle vicende di Tangentopoli e di adeguare la legislazione interna alla normativa comunitaria di cui l’Italia è membro importante57 con la necessità di accelerare le

procedure, in nome di una maggiore snellezza e semplificazione. La legge enuncia indirizzi e principi uniformi ai quali si ispira l’attività amministrativa nel settore in esame e definisce una nuova disciplina della materia, estesa all’intero ciclo di realizzazione delle opere pubbliche, dalla programmazione, alla progettazione, all’affidamento, all’esecuzione dei lavori.

55 Si veda A. CIANFLONE, G. GIOVANNINI, L’appalto di opere pubbliche,

GIUFFRÈ EDITORE, Milano, 2012, 57.

56 Si veda L. GIAMPAOLINO, M.A. SANDULLI, G. STANCANELLI,

Commento alla legge quadro sui lavori pubblici sino alla “Merloni-ter”, GIUFFRÈ EDITORE, Milano, 1999, 660.

57 Si veda N. CENTOFANTI, La patologia del contratto di appalto di opere

40 La dottrina rileva il pieno rispetto dei principi della libertà di iniziativa economica e della tutela del mercato che caratterizzano le direttive comunitarie.

A titolo esemplificativo vediamo le differenze con il d.lgs. n. 163, del 2006:

a) le norme del d.lgs. riguardano le sole concessioni di lavori e gestione il cui valore rientri nella soglia di rilevanza comunitaria, come stabilito ai sensi degli artt. 28 e 29 del medesimo d.lgs. Differentemente dal dettato dell’art. 19, comma 2, della l. n. 109 del 1994, che non contemplava analoga limitazione. In questa sede inoltre mi limito soltanto a precisare che altre esclusioni sono inoltre contemplate dal d.lgs. secondo quanto previsto dall’art. 142, comma 2. Estranee al d.lgs. 163, sono anche le concessioni di servizi, per le quali l’art. 30 dispone la non applicabilità dell’intera disciplina del d.lgs. stesso, fatto salvo quanto stabilito dal medesimo articolo.

b) Ai sensi del comma 3, dell’art. 143 del d.lgs., la controprestazione a favore del concessionario consiste, di regola, unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati. L’art. cit. prevede, tuttavia, che il soggetto concedente debba stabilire in sede di gara anche un prezzo, nell’ipotesi in cui “al concessionario venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla remunerazione degli investimenti e alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile di impresa, ovvero qualora sia necessario garantire al concessionario il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare”. La nuova norma si differenzia da quella corrispondente contenuta nell’art. 19, comma 2, della l. n. 109 del 1994 e successive modificazioni, ove la previsione di un prezzo quale corrispettivo della concessione era legata alla sola ipotesi della

41 necessità di assicurare l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della connessa gestione, in relazione alla qualità del servizio da prestare. La più articolata formulazione dell’art. 143, comma 3, è stata espressa al fine di far fronte alle censure comunitarie, secondo le quali la fissazione di un prezzo elevato della concessione può comportare l’azzeramento del rischio del concessionario e trasformare l’istituto in un appalto vero e proprio. Tale obiettivo però non può dirsi realizzato, atteso che la criticata previsione già contenuta nell’art. 19, comma 2, della l. n. 109 del 1994, resta senza variazioni o limitazioni come una delle ipotesi per le quali è tuttora prevista la possibile fissazione del prezzo.

c) Partendo dalla premessa che nel settore del rapporto concessorio i lavori possono essere eseguiti o dallo stesso concessionario ovvero da terzi affidatari di questo, possiamo vedere che secondo la l. n. 109, del 1994, anche in base alle modifiche introdotte dalla l. n. 415, del 199858, era disposto che si applicassero nei suoi riguardi le norme sui requisiti di qualificazione previste in generale per la partecipazione alle gare di appalto e per il loro affidamento (art. 2, comma 4), integrate dagli ulteriori requisiti elencati dall’art. 98, del D.P.R. n. 554 del 1999, attinenti ai profili gestionali della concessione. Allo stesso tempo però, le P.A. erano tenute a prevedere nel bando l’obbligo per il concessionario di appaltare a terzi una percentuale minima del 40% dei lavori oggetto della concessione59. Le procedure di affidamento dei lavori da parte del concessionario ai terzi erano sottoposte in toto, alle disposizioni della l. n. 10960 con limitate

58 Relativamente ai lavori da eseguirsi dallo stesso concessionario e nei limiti

di tale impegno.

59 Non si consideravano terzi le imprese controllate, le quali per eseguire i

lavori dovevano comunque essere in possesso dei requisiti di qualificazione prescritti. Tali, erano, invece, considerate le imprese collegate.

42 eccezioni concernenti principalmente le norme inerenti il responsabile del procedimento e le misure di acceleramento dei procedimenti amministrativi (art. 7), l’attività di programmazione delle opere (art. 14), l’affidabilità dei lavori in concessione e gestione (art. 19, commi 2 e 2-bis), la direzione dei lavori (art. 27), la definizione delle controversie in via bonaria (art. 32).

Successivamente la l. n. 166, del 2002, introdusse un nuovo testo del citato art. 2, eliminando la previsione normativa dell’obbligo del concessionario di far eseguire da terzi la quota del 40% dei lavori e demandando, invece, alle stazioni appaltanti la facoltà, con espressa previsione del contratto di concessione, di affidare a terzi appalti corrispondenti a una percentuale minima del 30% del valore globale dei lavori, ovvero di invitare i candidati concessionari a dichiarare nelle loro offerte la percentuale, ove sussistente, del valore globale dei lavori che essi intendessero affidare a terzi. La disposizione confermava, poi, che per i lavori eseguiti direttamente dal concessionario, si applicavano a questo soltanto le norme sulla qualificazione degli esecutori di lavori pubblici. Per quanto riguarda l’affidamento di lavori a terzi, era stabilita