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CAPITOLO 2: NORMATIVA VIGENTE IL D.LGS 12 APRILE 2006, N

2.16. B Lo ius variand

Lo ius variandi, rappresenta il diritto potestativo di apportare variazioni e addizioni all’opera purché siano contenute entro determinati limiti e siano disposte con determinate forme nonché sussistano determinati presupposti. La disciplina di questa delicata materia è attualmente contenuta nell’art. 132, del d.lgs. n. 163, del 2006, e negli artt. 161199 e 162200, del D.P.R. 207/2010201.

199 “Nessuna variazione o addizione al progetto approvato può essere

introdotta dall’esecutore se non è disposta dal direttore dei lavori e preventivamente approvata dalla stazione appaltante nel rispetto delle condizioni e dei limiti indicati all’art. 132 del Codice” e che il mancato rispetto dei presupposti indicati “comporta, salva diversa valutazione del responsabile del procedimento, la rimessa in pristino, a carico dell’esecutore, dei lavori e delle opere nella situazione originaria secondo le disposizioni del direttore dei lavori, fermo che in nessun caso egli può vantare compensi, rimborsi o indennizzi per i lavori medesimi”.

200 Il 1° comma, dispone che: “Indipendentemente dalle ipotesi previste

all’art. 132 del Codice, la stazione appaltante può sempre ordinare l’esecuzione dei lavori in misura inferiore rispetto a quanto previsto nel contratto, nel limite di un quinto dell’importo di contratto, come determinato ai sensi dell’art. 161, comma 4, del presente Regolamento, e senza che nulla spetti all’esecutore a titolo di indennizzo”.

201 Rappresenta una delle principali deroghe alla disciplina degli appalti di

lavori pubblici rispetto alla disciplina degli appalti privati, prevista dagli artt. 1659- 1661 c.c., sulla non modificabilità dei contratti per volontà unilaterale, e trova la sua giustificazione nella circostanza che l’opera viene realizzata nell’interesse della

134 Si qualificano come variante solo quei lavori aggiuntivi strettamente connessi con l’intervento originario, che si siano resi necessari per consentire la realizzazione dell’opera o per assicurarne una migliore funzionalità. Non sono invece riconducibili alla nozione di variante in corso d’opera quegli affidamenti aggiuntivi completamente estranei rispetto all’affidamento iniziale, “c.d. opere extra-contrattuali”, da affidarsi con le ordinarie procedure di evidenza pubblica.

Ai sensi dell’art. 132, comma 1, del Codice, le varianti in corso d’opera possono essere ammesse, sentito il progettista e il direttore dei lavori, esclusivamente qualora ricorra uno dei seguenti motivi:

a) per esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari;

b) per cause impreviste e imprevedibili accertate nei modi previsti dal regolamento, o per l’intervenuta possibilità di utilizzare materiali, componenti e tecnologie non esistenti al momento della progettazione che possono determinare, senza aumento di costo, significativi miglioramenti nella qualità dell’opera o di sue parti;

c) per la presenza di eventi inerenti alla natura e alla specificità dei beni sui quali si interviene verificatisi in corso d’opera, o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale;

d) se nel corso dell’opera si manifestino difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalla parti, che rendano più onerosa la prestazione dell’appaltatore (art. 1664, comma 2, c.c.);

e) per il manifestarsi di errori o di omissioni del progetto

collettività. In capo all’appaltatore sussiste il divieto di introdurre variazioni nell’esecuzione dei lavori, essendo lo stesso tenuto a realizzare l’opera conformemente alle prescrizioni progettuali e di capitolato. Ciò vale ancora di più nell’appalto di opere pubbliche sia perché l’opera è preordinata alla soddisfazione dell’interesse pubblico sia perché è necessario evitare che variazioni indiscriminate e non autorizzate possano esporre l’amministrazione ad aumenti dei costi complessivi dell’opera.

135 esecutivo che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione dell’opera ovvero la sua utilizzazione202; in tal caso il responsabile del procedimento ne dà immediatamente comunicazione all’Osservatorio e al progettista;

e-bis) nei casi di bonifica e/o messa in sicurezza di siti contaminati ai sensi della Parte quarta, Titolo V, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Il comma 3, dell’art. cit., ammette le c.d. varianti migliorative. Sono disposte nel solo interesse dell’amministrazione, in aumento o in diminuzione, ed hanno la finalità di migliorare l’opera e la sua funzionalità, sempreché non determinino modifiche sostanziali e siano motivate da obiettive esigenze dovute a circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento della stipula del contratto. I limiti sono dati dal fatto che l’importo in aumento relativo a tali varianti non può superare il 5% dell’importo originario del contratto e deve trovare copertura nella somma stanziata per l’esecuzione dell’opera.

È previsto l’obbligo per l’amministrazione aggiudicatrice di risolvere il contratto ed indire una nuova gara alla quale è invitato l’aggiudicatario iniziale laddove, le varianti dovute ad errori o omissioni del progetto esecutivo eccedano il quinto dell’importo originario del contratto. Ciò dà diritto al pagamento dei lavori eseguiti, dei materiali utili e del 10 % dei lavori non eseguiti, fino a quattro quinti dell’importo del contratto. Non sono considerati tecnicamente varianti i piccoli interventi disposti dal direttore dei lavori per risolvere aspetti di dettaglio, che siano contenuti entro un importo non superiore al 10% per i lavori di

202 Si precisa che, ai fini del medesimo art. 132, si considerano errore o

omissione di progettazione l’inadeguata valutazione dello stato di fatto, la mancata od erronea identificazione della normativa tecnica vincolante per la progettazione, il mancato rispetto dei requisiti funzionali ed economici prestabiliti e risultanti da prova scritta, la violazione delle norme di diligenza nella predisposizione degli elaborati progettuali. I titolari di incarichi di progettazione sono responsabili per i danni subiti dalle stazioni appaltanti in conseguenza di errori o di omissioni della progettazione.

136 recupero, ristrutturazione, manutenzione e restauro e al 5% per tutti gli altri lavori delle categorie di lavoro dell’appalto e che non comportino un aumento dell’importo del contratto stipulato per la realizzazione dell’opera.

All’opposto, se i piccoli aggiustamenti di dettaglio comportano variazioni superiori rispetto ai limiti massimi consentiti, si ha variante in senso tecnico e la relativa approvazione è normalmente di competenza del r.u.p203.

2.17.B. Il recesso

In via generale, l’art. 21-sexies, legge n. 241, del 1990 stabilisce che “Il recesso unilaterale dai contratti della P.A. è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto”.

Ciò è previsto solo nel settore dei lavori pubblici; non abbiamo quindi un’estensione ai settori di forniture e servizi dello speciale regime giuridico che consente alle stazioni appaltanti di recedere unilateralmente, ad nutum, da qualsiasi contratto di lavori pubblici. Negli appalti di forniture e servizi il recesso è consentito, al di fuori delle ipotesi ordinarie contemplate dall’art. 1671 c.c., soltanto se espressamente previsto nel contratto, al quale spetta regolarne le conseguenze sul piano economico.

Con riferimento al settore dei lavori pubblici, l’art. 134 del Codice, prevede che la stazione appaltante ha diritto di recedere in qualunque momento dal contratto previo pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite; l’indennizzo è quindi

203 Si vedano A. CIANFLONE, G. GIOVANNINI, L’appalto di opere

pubbliche, GIUFFRÈ EDITORE, Milano, 2012, 1470 ss.; A. FIORITTO, Introduzione al diritto delle costruzioni, GIAPPICHELLI EDITORE, Torino, 2013, 240 ss.

137 predeterminato dalla legge e forfetizzato in misura fissa.

L’appaltatore oltre al diritto all’indennizzo, ha l’obbligo di rimuovere dai magazzini e dai cantieri i materiali non accettati dal direttore dei lavori e deve assicurarsi che questi siano messi a disposizione della stazione appaltante nel termine stabilito, altrimenti lo sgombero sarà effettuato d’ufficio e a sue spese.

La stazione appaltante, inoltre, può trattenere le opere provvisionali e gli impianti che non siano in tutto o in parte asportabili ove li ritenga ancora utilizzabili corrispondendo all’appaltatore un compenso da determinare nella minor somma fra il costo di costruzione e il valore delle opere e degli impianti al momento dello scioglimento del contratto.

Per quanto riguarda il riparto di giurisdizione in materia di recesso, la giurisprudenza ha operato una distinzione:

a) una volta stipulato il contratto, la revoca dell’aggiudicazione effettuata per sopravvenuti motivi di opportunità rientra nel generale potere contrattuale di recesso, su cui sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, mentre,

b) qualora la revoca dell’aggiudicazione intervenga prima che sia stato stipulato il contratto, la competenza ricade sul giudice amministrativo, atteso che in tal caso costituisce tipica espressione di potestà autoritativa a carattere di autotutela in presenza di interesse pubblico, cosicché la posizione dell’aggiudicatario rimane di interesse legittimo, tutelabile dinanzi al giudice amministrativo204.

2.18.B. La risoluzione

L’art. 158 del Codice, rubricato “Risoluzione”, prevede che laddove il

138 rapporto di concessione sia risolto per inadempimento del soggetto concedente ovvero venga disposta la revoca della concessione per motivi di pubblico interesse205, il concessionario ha diritto di vedersi rimborsare:

a) il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l’opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario;

b) le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in

205 L’art. 135 del Codice, riconosce alla stazione appaltante la possibilità di

procedere alla risoluzione del contratto al verificarsi di talune circostanze riconducibili a due macrocategorie.

La prima ricomprende situazioni che incidono esclusivamente sull’affidabilità “morale” dell’appaltatore, per aver subito determinate condanne. In tali casi, la stazione appaltante non è obbligata a disporre la risoluzione del contratto: questa possibilità, infatti, deve essere sempre attentamente valutata, in considerazione del preminente interesse pubblico al completamento dell’opera.

La seconda categoria riguarda l’ipotesi della perdita dei requisiti per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci, la quale impone all’amministrazione l’obbligo giuridico di procedere alla risoluzione, senza alcun margine di discrezionalità.

L’art. 136 del Codice, contempla la specifica disciplina in tema di risoluzione del contratto per grave inadempimento, grave irregolarità e grave ritardo.

Più specificatamente, in caso di comportamenti dell’appaltatore che costituiscono grave inadempimento delle obbligazioni di contratto tale da compromettere la buona riuscita dei lavori, su indicazione del responsabile del procedimento, il direttore dei lavori formula la contestazione degli addebiti all’appaltatore, assegnando un termine per le controdeduzioni. In caso di valutazione negativa o inutile scadenza del termine, la stazione appaltante dispone la risoluzione del contratto (comma 3, art. 136, del Codice).

Nel meno grave caso di ritardo nell’esecuzione dei lavori per negligenza dell’appaltatore rispetto alle previsioni del programma, gli si assegna un termine per compiere i lavori in ritardo, fornendogli le prescrizioni ritenute necessarie e, qualora a seguito di verifica, l’inadempimento permanga, la stazione appaltante, su proposta del responsabile del procedimento, delibera la risoluzione del contratto (comma 4, 5, 6, art. 136, del Codice).

Infine, in caso di inadempimento dell’appaltatore in relazione a contratti a cottimo, la risoluzione è dichiarata per iscritto, salvi i diritti e le facoltà riservate dal contratto alla stazione appaltante (art. 137 del Codice). Si tratta di una procedura semplificata, in considerazione della maggiore informalità dell’affidamento, del rapporto fiduciario con l’appaltatore e della modesta entità degli affidamenti.

139 conseguenza della risoluzione;

c) un indennizzo, a titolo di risarcimento del mancato guadagno, pari al 10% del valore delle opere ancora da eseguire ovvero della parte del servizio ancora da gestire valutata sulla base del piano economico- finanziario.

Nel 2° comma dell’art. cit., le somme indicate sono destinate prioritariamente a soddisfare i crediti dei finanziatori del concessionario e sono indisponibili da parte di quest’ultimo fino al completo soddisfacimento di tali crediti.

La revoca della concessione è efficace qualora venga disposto il pagamento da parte del concedente di tutte le somme previste dai commi precedenti (comma 3, art. 158).

L’atto con il quale l’amministrazione dispone la risoluzione ha carattere sanzionatorio, così come quello con cui ordina, l’esecuzione d’ufficio, a spese dell’appaltatore, delle opere relative al ripiegamento dei cantieri già allestiti ed allo sgombero delle aree di lavoro206. In questi casi, pur trattandosi dell’esercizio di poteri unilaterali dell’amministrazione, ma nell’ambito dell’esecuzione del contratto, le relative controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario207.

L’art. successivo, il 159, rubricato “Subentro”, prevede che gli enti finanziatori del progetto possono impedire la risoluzione indicando una società che subentri nella concessione al posto del concessionario, nei casi di risoluzione di un rapporto concessorio per motivi attribuibili al soggetto concessionario, a condizione che:

a) la società designata dai finanziatori abbia caratteristiche tecniche e finanziarie sostanzialmente equivalenti a quelle previste nel bando di gara o negli atti in forza dei quali la concessione è stata

206 Si veda l’art. 139 del Codice dei contratti pubblici.

207 Si vedano Cass., Sez. Un. Civili, 17 dicembre 2008, n. 391 e 7 marzo 2008,

140 affidata, con l’attenzione rivolta alla situazione concreta del progetto ed allo stato di avanzamento dello stesso;

b) l'inadempimento del concessionario che avrebbe causato la risoluzione cessi entro i novanta giorni successivi alla scadenza del termine di cui al comma 1-bis208.

Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sono stabiliti i criteri e i modi di attuazione delle previsioni di cui al comma 1.

L’art. 159 si applica a tutte le società titolari di qualsiasi contratto di partenariato pubblico privato di cui all’art. 3, comma 15-ter.

208 Questo dispone che: “La designazione di cui al comma 1 deve intervenire

entro il termine indicato dal contratto, o in mancanza, assegnato all’amministrazione aggiudicatrice nella comunicazione scritta agli enti finanziatori della intenzione di risolvere il contratto”.

141

CAPITOLO 3: LA DIRETTIVA 2014/23/UE

3.1. Introduzione

Prima dell’adozione della direttiva in esame nell’ordinamento europeo non vi era una chiara regolamentazione delle modalità di affidamento delle concessioni, sia di lavori che di servizi.

La grande incertezza normativa sulla materia ha portato, come ho già affermato nel capitolo 1, a considerare la concessione come un istituto di carattere fiduciario, ritenendolo un modo per aggirare il principio di concorrenza e quindi per eludere la gara pubblica sulla scelta del contraente. Il legislatore europeo ha ritenuto necessario prevedere una disciplina minuziosa sui contratti di appalto, in quanto comportano una spesa per l’amministrazione (il corrispettivo è pagato direttamente dall’amministrazione aggiudicatrice all’appaltatore), e non ha ritenuto necessario adottare una disciplina in materia di concessioni, in quanto manca una spesa diretta a carico della finanza pubblica; il concessionario, differentemente dall’appaltatore, non è remunerato direttamente dall’amministrazione committente, ma dall’utenza per mezzo di canoni richiesti per usufruire del servizio fornito; inoltre, il corrispettivo dei lavori, come dei servizi, consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o il servizio o il diritto accompagnato da un prezzo209 ed implica in particolare che il concessionario assuma il

209 Si veda l’art. 143, comma 4, del d.lgs. n. 163/2006, il quale dispone che:

‘‘(…)il soggetto concedente stabilisce in sede di gara anche un prezzo, qualora al concessionario venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi, inferiori a quelli corrispondenti alla remunerazione degli investimenti e alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile dì impresa, ovvero qualora sia necessario assicurare al concessionario il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare (…)”. Dunque, la circostanza che la direttiva permetta che il diritto di gestione sia accompagnato da un prezzo non modifica questa conclusione; è un’ipotesi che esiste nella pratica. Accade, ad esempio, che lo Stato sostenga parzialmente il costo di

142 rischio legato alla gestione dei lavori e dei servizi. La concessione instaura un rapporto trilaterale tra amministrazione, concessionario ed utenti, mentre nell’appalto di servizi e di lavori il rapporto è bilaterale, cosicché il prezzo grava sulla amministrazione committente210.

Lo Stato raggiunge lo scopo di provvedere ad un pubblico servizio o lavoro utilizzando la maggiore o specialistica esperienza dei privati, ed evitando esborsi spesso ingenti; ecco spiegata la scelta iniziale del legislatore.

Tuttavia bisogna effettuare una distinzione tra le concessioni di lavori e servizi; questa esigenza risulta essere meno stringente solo con riferimento alle concessioni di servizi, mentre ha riservato alle concessioni di lavori una considerazione specifica, seppur senza farne oggetto, prima della direttiva del 2014, di una disciplina precisa. Si tratta della direttiva 93/37/CEE, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (c.d. “direttiva lavori”), nella quale il legislatore comunitario ha inteso definire la nozione di concessione di lavori partendo da quella dei suddetti. La direttiva cit. definisce la concessione di lavori pubblici come un contratto che presenta le stesse caratteristiche degli appalti pubblici di lavori con l’eccezione, però, che la controprestazione dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo. L’esempio più noto di concessione di lavori pubblici è il contratto mediante il quale uno Stato attribuisce ad una società il diritto di costruire e di gestire un’autostrada, permettendole di remunerarsi attraverso la riscossione di un pedaggio

gestione della concessione affinché il prezzo delle prestazioni diminuisca per l’utente (pratica dei "prezzi sociali”). Ad esempio, quando il pedaggio di un’autostrada è fissato dallo Stato a un livello che non copre il costo della gestione.

210 Si vedano Cons. stato, Sez. VI, 5 giugno 2006, n. 3333; Corte di Giust. CE,

Sez. I, 6 aprile 2006, in causa C-410/04; R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, VII ed., NEL DIRITTO EDITORE, Roma, 2013-2014.

143 nei confronti dell’utente.

La maggiore attenzione riservata inevitabilmente dal legislatore comunitario alle concessioni è data dal costante ricorso, da parte degli Stati, all’istituto delle concessioni di lavori pubblici, quale strumento per realizzare e finanziare grandi infrastrutture, come collegamenti ferroviari o una parte rilevante di quelli stradali.

Si rende quindi necessario, come precisato nel Considerando 4, della direttiva 2014/23/UE, apporre un punto chiaro e fermo sull’incertezza che inevitabilmente scaturiva dal differente regime giuridico delle concessioni di lavori rispetto alle concessioni di servizi211: mentre l’aggiudicazione delle concessioni di lavori pubblici trovava espressa previsione in alcune disposizioni della direttiva 2004/18/CE212, le aggiudicazioni delle concessioni di servizi, ai sensi e per l’effetto dell’art. 17 della direttiva 2004, erano escluse dall’ambito di applicazione di detta direttiva213. È ovvio, che entrambe dovessero

211 La concessione di lavori si distingue dalla concessione di servizi sulla base

del nesso di strumentalità che lega la gestione del servizio e l’esecuzione dei lavori; laddove la gestione del servizio risulta strumentale alla costruzione dell’opera, in quanto consente il reperimento dei mezzi finanziari necessari alla sua realizzazione, è configurabile l’ipotesi della concessione di lavori pubblici. Siamo in presenza di concessione di servizi pubblici quando l’espletamento dei lavori è strumentale, sotto i profili della manutenzione, del restauro e dell’implementazione, alla gestione di un pubblico servizio il cui funzionamento è assicurato da un’opera già esistente (si veda Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2008, n. 1600).

212 Le concessioni di lavori pubblici trovano ora disciplina negli artt. 142 e ss.

del Codice dei contratti pubblici, che recepisce il regime dettato dalla direttiva comunitaria 2004/18/CE, agli arti. 56 e ss. In particolare, al comma 3, dell’art. 142, del Codice dei contratti si prevede, seppur in maniera parzialmente derogatoria, l’applicabilità delle disposizioni del Codice alle concessioni nonché agli appalti di lavori pubblici affidati dai concessionari che sono amministrazioni aggiudicatrici, salvo che non siano derogate nello stesso capo. Le norme degli artt. 142-151, del Codice dei contratti, sono applicabili soltanto ai rapporti concessori che abbiano ad oggetto la costruzione dì un’opera e la successiva gestione economica della stessa, in quanto la figura della concessione di sola costruzione è assimilata dalla disciplina dell’appalto.

213 Si vedano F. CARINGELLA, M. PROTTO, L’appalto pubblico e gli altri

contratti della p.a., ZANICHELLI EDITORE, Bologna, 2012; R. CARANTA, I contratti pubblici, in Sistema del diritto amministrativo italiano, GIAPPICHELLI

144 essere soggette ai principi espressi dal Trattato in tema di tutela della concorrenza.

La necessità di voler garantire una parità di trattamento, trova propria sede nella comunicazione della Commissione europea sulle concessioni nel diritto comunitario del 29 aprile 2000, che ha posto l’attenzione sugli elementi essenziali delle concessioni amministrative; tale comunicazione ha chiarito che le concessioni (anche quando hanno ad oggetto prestazioni di servizi) non possono sfuggire alle norme e ai principi fondamentali del Trattato, nonché ai principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, "nella misura in cui si configurano come atti dello Stato aventi per oggetto prestazioni di attività economiche o forniture di beni”. La comunicazione prevede il