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Il fascismo come regime dell'illegalità

Nel documento Il pensiero giuridico di Piero Calamandrei (pagine 193-197)

LA PROPOSTA DI “REPUBBLICA PRESIDENZIALE” DI PIERO CALAMANDREI.

7. IL CONCETTO DI LEGALITA'

7.3 La legalità in senso sostanziale

7.3.5 Il fascismo come regime dell'illegalità

Durante il ventennio fascista la legalità non fu rispettata né al momento della formazione delle leggi (legalità del meccanismo attraverso cui le leggi vengono create), né al momento dell'applicazione di esse (uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge). È per tale motivo che Calamandrei affermava che il fascismo può essere definito come il regime dell'illegalità: i modi con cui le leggi furono create erano tali da far venire meno ogni consenso; le leggi erano violate nella loro applicazione.

Il ventennio fascista vede dunque indebolirsi il senso di legalità, l'autorità della legge. «Via via che il regime si svolgeva, le leggi, anziché espressione del popolo, andavano sempre più estraniandosi fino a diventare qualcosa di sovrapposto e di artificioso, di cui nessuno si curava»54.

Analizzare questo processo di lacerazione della legalità richiederebbe uno studio molto ampio e non è questa la sede per affrontare un simile discorso, ma vediamo di

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coglierne sinteticamente alcuni momenti tipici.

Per Calamandrei la ragione primaria tra quelle che hanno causato il discredito delle leggi è da individuarsi nell'eccessiva quantità di leggi emanate sotto il regime fascista, conseguenza questa dell'aumentato interventismo dello Stato in settori prima lasciati all'iniziativa individuale.

In nessun periodo della storia italiana era stato pubblicato un numero così enorme di leggi: «e ciò è naturale, data la tendenza paternalistica di questo regime che aveva creduto di poter regolare tutto per legge, il modo di salutare o di camminare o di vestire o di adoprar la grammatica»55.

Calamandrei definiva il fascismo come “regime della menzogna”, “regime falsificatore della legalità”: chi infatti non avesse idea del regime fascista e credesse di ricostruirlo attraverso le sue leggi, cadrebbe in inganno ricostruendo un ordinamento costituzionale differente da quello in realtà esistente. Dappertutto, in ogni settore della vita politica, la regola era ingannare. Si pensi a quelle immagini che raffiguravano schierati centinaia di aeroplani di cui però solamente quelli della prima fila erano efficienti. Lo stesso accadeva nei meccanismi costituzionali dove molte delle istituzioni fasciste non erano che nomi, mentre ciò che vi stava sotto era del tutto differente.

Calamandrei riteneva che mentre in Germania il nazismo aveva distrutto la legalità, in Italia il fascismo preferì falsificarla.

La concezione costituzionale del nazionalsocialismo era il ritorno a quella che Montesquieu considerava ai suoi tempi il modello più tipico di ferocia dispotica, ossia al dispotismo turco. Nel governo dispotico, uno solo, senza né leggi né freni, trascinava tutto e tutti dietro la sua volontà. Unica fonte dell'autorità era dunque la volontà del principe.

Al vertice dello stato nazionalsocialista tedesco si collocava il Fuhrer, un autocrate che si poneva quale unico interprete dell'interesse della comunità nazionale.

Allo “stato di diritto” guidato dalla sovranità popolare, i teorici del nazismo contrapponevano il cosiddetto “stato di giustizia” guidato dalla sola volontà del Fuhrer. Vennero aboliti tutti i meccanismi costituzionali grazie ai quali i cittadini,

nello stato liberale e democratico, partecipano alla formazione delle leggi. Fu addirittura superato il concetto di legalità e di certezza del diritto: il giudice aveva il potere di punire ogni fatto che alla sua sensibilità politica appariva incriminabile, anche se tale fatto non era previsto come reato dalla legge nel momento della commissione.

Furono abolite le forme processuali che lasciarono lo spazio alla discrezionalità amministrativa; i giudici furono chiamati ad obbedire non alla legge ma ai comandi che, per ordine del Fuhrer, il ministro della giustizia inviava ad essi. Fu abolita l'intangibilità del giudicato, potendo le sentenze essere revocate senza limiti di tempo. Tutto ciò portò all'abolizione dei diritti individuali.

«Il diritto, se ancora si può chiamare tale, è ridotto a mero strumento di forza; non si tratta della sospensione temporanea di una legalità per aver tempo di ricostruirne una nuova, ma di una vera guerra dichiarata ad ogni legalità per far posto allo sfrenato arbitrio tirannico, che non mira a ricostruire ma solo a distruggere e a saccheggiare»56.

Eppure, secondo Calamandrei, il fascismo fece ancor peggio. Il fascismo, pur raggiungendo gli stessi fini, non ebbe il coraggio di abolire la legalità, ma preferì mantenerla sulla facciata, «instaurando all'ombra di essa una pratica ufficiosa di effettivo illegalismo, destinato a toglier ogni serietà alle leggi figurative scritte sui codici»57. Come detto, il sistema rappresentativo fu abolito. Camera e Senato divennero un'accolta di gente mediocre e miserabile che determinò l'abbassamento del livello culturale e politico e dunque l'impoverimento delle discussioni parlamentari: «tutto era preparato prima: i deputati erano incaricati di parlare, ed era fissato quello che dovevano dire, perché il ministro potesse rispondere. Perfino le interruzioni erano emendate avanti, e perfino comandate. Se qualche deputato osava dir qualcosa di sua testa, di quello che diceva non si teneva conto: talvolta era vietato di pubblicar sui resoconti parlamentari ciò che un deputato aveva detto»58.

Veniva proclamata l'indipendenza della magistratura, ma lo squadrismo aveva l'incarico ufficioso di impedire ai giudici di far giustizia.

56 Calamandrei P., Opere giuridiche, cit., V. III, p. 131 57 Ibidem

Il re formalmente continuava a rispettare lo Statuto, ma questo nella sostanza era stracciato. I poteri regi erano di fatto trasferiti nel “capo del governo”. Tutto era diverso da ciò che appariva all'esterno: c'era il re ma il potere era nelle mani del “duce”; dietro il prefetto vi era il segretario federale, nominato direttamente dal Duce su proposta del Segretario del partito nazionale fascista; dietro l'esercito la milizia; dietro la scuola la G.I.L., un'organizzazione giovanile fascista per la preparazione spirituale, sportiva e paramilitare di giovani.

«Due burocrazie, una di stato e una di partito, si intrecciano e si compenetrano in questo curioso monstrum costituzionale, il cui carattere più tipico è la doppiezza: non si osa governar senza leggi, ma si istituisce come metodo di governo l'illegalismo autorizzato a farsi beffa delle leggi»59.

Ancora altra ragione che ha determinato il discredito delle leggi è dato dalla provvisorietà, precarietà delle leggi, frutto della improvvisazione di un'incompetente burocrazia: «a mezzo novembre non giunge quel che fu d'ottobre»60. Avvocati e magistrati che in passato leggevano fedelmente la Gazzetta ufficiale delle leggi smisero pian piano di farlo, considerando inutile studiare leggi che non appena assimilate venivano abrogate da nuove.

Legato all'incompetenza e all'improvvisazione legislativa vi fu il problema della difettosità tecnica delle leggi.

Il discredito delle leggi fu causato anche dall'emanazione di leggi ad personam. Si ebbero numerosissime leggi con le quali si faceva apparire come provvedimento generale ed astratto quello che nella realtà era destinato a giovare ad una persona per un caso attuale.

Queste dunque le più importanti, ma certamente non le sole, ragioni che furono alla base del discredito delle leggi durante il ventennio fascista in cui appunto si lavorò a distruggere negli italiani il senso della legalità. Quel senso della legalità che significa coscienza morale della necessità di obbedire alle leggi: consapevolezza che se la legge è ingiusta può essere modificata attraverso i mezzi legali ma che finché è in vigore questa non si può raggirare.

59 Calamandrei P., Opere giuridiche, a cura di M. Cappelletti, cit., V. III, p. 132 60 Calamandrei P., Non c'è libertà senza legalità, cit., p. 53

Nel documento Il pensiero giuridico di Piero Calamandrei (pagine 193-197)