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Indipendenza del giudice da stimoli egoistici ed indipendenza del giudice e segretezza della decisione in camera di consiglio

LA PROPOSTA DI “REPUBBLICA PRESIDENZIALE” DI PIERO CALAMANDREI.

4. IL RAPPORTO TRA GOVERNO E MAGISTRATURA IL PENSIERO DI CALAMANDREI SULLA INDIPENDENZA

4.6 Indipendenza del giudice da stimoli egoistici ed indipendenza del giudice e segretezza della decisione in camera di consiglio

Di indipendenza del giudice è lecito parlare da più punti di vista. Così è interessante richiamare quanto Calamandrei ebbe a sottolineare in ordine alla indipendenza del giudice e stimoli egoistici dello stesso ed indipendenza del giudice e segretezza del voto in camera di consiglio nella decisione della controversia.

In tutte le costituzioni moderne, osservava Calamandrei in una delle sei conferenze da lui tenute nel febbraio 1952 a Città di Messico, ove ebbe l'onore di essere invitato come conferenziere straniero, nei cursos de invierno50 di quell'anno, viene

proclamata, come garanzia fondamentale di giustizia e di rispetto del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la indipendenza dei giudici e della magistratura.

Ciò non avviene tuttavia nei regimi totalitari dove i giudici sono organi politici, strumenti di e del governo e pertanto non indipendenti.

La Costituzione italiana, affermava dinanzi al folto uditorio, di cui facevano parte i più eminenti magistrati, professori ed avvocati della Città, proclama tale indipendenza in due articoli: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge” (art. 101) e “La magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere” (art. 104). Si chiedeva e chiedeva quale fosse il significato della parola “indipendenza”.

Quale è il rapporto con cui la indipendenza della magistratura, collettivamente considerata, intesa cioè come autonomia del potere giudiziario rispetto agli altri poteri dello Stato sta con l'indipendenza del singolo magistrato, individualmente considerato, come singolo giudicante, che al momento in cui è chiamato a giudicare, è soggetto unicamente alla legge, non potendo ricevere altri ordini?

Secondo Calamandrei, la indipendenza della magistratura, intesa come sistema di

50 Questi cursos de invierno che, a partire dal 1939, erano organizzati ogni anno nei mesi invernali, nell'intervallo tra i due semestri di insegnamento ordinario, miravano al perfezionamento

scientifico ed erano destinati non soltanto agli studenti ma anche ai professionisti. Vi insegnavano, con brevi corsi di conferenze su temi speciali scelti anno per anno, professori messicani o stranieri, invitati per la loro speciale competenza sull'argomento.

organi istituiti per giudicare, come “ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere”, altro non è che un mezzo per garantire la indipendenza del singolo magistrato nel momento in cui giudica.

Ed è proprio questa indipendenza individuale ciò che, secondo il giurista fiorentino, era veramente fondamentale: perché senza indipendenza non può esservi nel giudice quel senso di responsabilità morale che è la prima virtù del magistrato.

Indipendenza individuale del giudice significa innanzitutto affrancamento da tutti gli stimoli psicologici di natura egoistica che possono influenzarlo nel momento in cui giudica; significa cioè che il giudice deve non essere spinto a giudicare in un senso piuttosto che in un altro da moventi di parzialità privata, di natura personale o familiare.

Amicizie o favori, parentele e gelosie, timori di pericolo o ambizioni di guadagno o di onori: niente di tutto ciò deve condizionare la coscienza del giudice che affronta la decisione di una causa.

Certamente, proseguiva Calamandrei, è arduo per il giudice riuscire a liberarsi da questa serie di legami, che spesso sono da lui stesso non facilmente riconoscibili. «Dimenticarsi di essere marito o padre, cessare di pensare, mentre giudica, alle proprie angustie economiche o alla malattia che lo mina. Proprio nel riuscire ad evadere dalla prigione del suo egoismo si misura l'eroismo del giudice: con un misero stipendio che impone alla sua famiglia una vita di povertà, egli deve senza invidia difendere secondo giustizia le sconfinate ricchezze altrui; deve rimaner in udienza ad ascoltare le prolisse dissertazioni dei difensori anche quando il suo cuore di padre lo chiamerebbe d'urgenza al capezzale del figlio ammalato; e in una causa di separazione coniugale deve all'occorrenza sapere dar torto al marito, anche se egli, nella sua propria vicenda matrimoniale, è stato senza sua colpa un marito infelice»51. Difficile dunque, sottolineava, per il giudice riuscire a separarsi da tutto questo bagaglio personale nel momento in cui entra in camera di consiglio per decidere sulla controversia. Ma è anche qui che si misura l'indipendenza del magistrato.

Un'idea della giustizia, quella di Calamandrei, che richiamava l'immagine della giustizia bendata in cui l'attributo simbolico della cecità stava a riassumere il valore

positivo della garanzia della imparzialità proprio di colui che è chiamato a giudicare. Ricordava che in tutte le legislazioni si trovano misure volte ad aiutare il magistrato in questo difficile compito quali ad esempio l'istituto della astensione e della ricusazione disciplinati dagli artt. 50 e seguenti del nostro c.p.c.

Molto interessante ed originale quanto affermava successivamente Calamandrei, il quale si soffermava, sempre analizzando il problema della indipendenza e quindi della responsabilità del magistrato su un altro aspetto che solitamente non è preso in considerazione: l'aspetto cioè, del funzionamento della collegialità.

Quando l'organo giudicante è formato da una sola persona fisica, quest'ultima è la sola persona sulla quale si concentra la responsabilità della decisione. Esclusivamente suo sarà il merito o la disapprovazione per la decisione assunta. Ma quando a decidere sulla causa è un collegio, deliberante nel segreto della camera di consiglio (e così avviene in Italia), la collegialità di fatto porta a ridurre l'impegno personale di coloro che concorrono a creare una sentenza; sentenza che all'esterno appare sempre un prodotto collettivo di una deliberazione unanime. La collegialità diventa, notava Calamandrei, per ciascun componente del collegio una scappatoia per non fare gravare sulla propria coscienza la responsabilità di una sentenza ingiusta e per nascondere dietro l'anonimato un voto di cui non si sentirebbe di assumere la responsabilità.

Ma se da un lato la collegialità, concludeva, costituisce per il singolo giudice una comoda via per mettere a tacere i rimorsi della sua coscienza e per consolarsi di avere commesso un'ingiustizia con la scusa che a commetterla non è stato il solo, «sotto un altro aspetto la collegialità può diventare in certi casi una salvaguardia della indipendenza, perché, in certe controversie politicamente difficili in cui si tratta di andare contro il potere esecutivo o contro gli interessi del partito dominante, l'organo giudicante, per sottrarsi alla pesante autorità del conformismo, ha bisogno di un certo coraggio: e questo coraggio è più facile che l'abbia un collegio piuttosto che un giudice solo. In questi casi può avvenire che i giudici si facciano coraggio a vicenda»52.

Quindi, per Calamandrei, segretezza del voto quale garanzia della sua libertà ed

indipendenza.

Ciò Calamandrei lo sottolineava anche in uno dei suoi molteplici racconti contenuti in quel libro dallo spiccato umorismo, in cui lui stesso rifletteva con tutta la sua vivacità ed il suo realismo sulla situazione della giustizia del suo tempo, che è intitolato “Elogio dei giudici scritto da un avvocato”.

A differenza di altri sistemi giudiziari, dove la sentenza è vista nascere sotto gli occhi del pubblico, in cui cioè, una volta terminato il dibattimento, i giudici non si ritirano in camera di consiglio, ma rimangono a discutere in pubblica udienza, liberamente manifestando ciascuno la propria opinione e le ragioni che la sostengono, in Italia, scriveva, la decisione è presa nel segreto della camera di consiglio.

«Sussurrano i bene informati che in camera di consiglio vi siano stati contrasti, e magari diverbi; ma di fuori nessuno deve saperlo, perché la camera di consiglio è segreta»53. Per Calamandrei la segretezza della camera di consiglio è la

consacrazione istituzionale del conformismo.

«Questa segretezza può essere gradita al giudice che ama il quieto vivere, e che preferisce alleggerire la sua responsabilità personale dietro lo schermo della collegialità; ma a lungo opera sul suo carattere come una droga stupefacente»54. Tuttavia in un altro racconto aggiungeva «può darsi che in certi casi la collegialità sia un farmaco deprimente che attutisce il senso di responsabilità individuale; ma in certi casi può essere anche un corroborante. Per avere il coraggio di andare contro corrente, la collegialità può servire da sostegno: quando tira vento è meglio non essere soli; in più, ci si prende a braccetto e ci si regge l'uno con l'altro»55.

Quindi ancora a sottolineare la duplice faccia della collegialità e segretezza del voto: consacrazione del conformismo ma anche garanzia di indipendenza e libertà del singolo giudice.

53 Calamandrei P., Elogio dei giudici scritto da un avvocato, Ponte alle grazie, Milano, 2014, p. 274 54 Ibidem

5. IL CONTRIBUTO DI CALAMANDREI PER LA LAICITA'