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Indipendenza e sovranità dello Stato e partito confessionale

Nel documento Il pensiero giuridico di Piero Calamandrei (pagine 104-113)

LA PROPOSTA DI “REPUBBLICA PRESIDENZIALE” DI PIERO CALAMANDREI.

5. IL CONTRIBUTO DI CALAMANDREI PER LA LAICITA' DELLO STATO E PER LA LIBERTA' DELLA SCUOLA.

5.2 Indipendenza e sovranità dello Stato e partito confessionale

Vale la pena soffermarsi su un interessante articolo scritto da Calamandrei nel 1950 e non a caso da lui intitolato “Repubblica pontificia”, in cui il giurista fiorentino analizzava come la presenza all'interno della compagine politica di un partito a carattere confessionale, quale la Democrazia cristiana, influisse negativamente sino a pregiudicare l'indipendenza e la sovranità di uno Stato democratico come l'Italia. Si chiedeva nell'inizio del suo articolo, se l'Italia potesse veramente considerarsi uno

25 Ivi p. 311 26 Ivi p. 312 27 Ivi p. 314

Stato indipendente e sovrano.

Stato sovrano ed indipendente è definibile quello le cui determinazioni dipendono dalla volontà collettiva del suo popolo, espressa con metodo democratico attraverso i congegni costituzionali a ciò predisposti, e non da volontà o forze esterne che stanno al di sopra del popolo e al di fuori dello Stato.

Il diritto internazionale conosce diverse figure di Stati a sovranità giuridicamente limitata: esse vanno dalle forme di più stretta dipendenza, si pensi al protettorato, fino alle forme di reciproca coordinazione di sovranità, che sono le unioni tra Stati. Tipico, per quest'ultimo caso è quello dello Stato federale, che presuppone «una parziale rinuncia di ciascuno degli Stati federati alla propria sovranità nazionale, per dar vita a una sovranità superiore, di cui tutti gli Stati siano insieme sudditi ed autori»28. Ma le forme di limitazione di sovranità conosciute e classificate dai giuristi non sono le sole di fatto operanti nella vita degli Stati. Ciò perché le vie di accesso attraverso cui le imposizione esterne riescono «ad infiltrarsi nell'interno di un coordinamento costituzionale apparentemente sovrano»29 possono essere maggiori e diverse di quelle individuate dai giuristi.

Poteva pertanto accadere, diceva l'illustre giurista, che anche in uno Stato che si affermava indipendente, gli organi che lo governavano si trovassero, senza accorgersene, ad esprimere non la volontà del proprio popolo ma una volontà proveniente dall'esterno e di fronte alla quale il popolo si trovava in una situazione di sudditanza.

Nell'articolo si accennava ad uno studio del professore Henri Lévy-Bruhl30 in cui

28 Calamandrei P., Scritti e discorsi politici, cit., V. I, T. I, p. 415 29 Ibidem

30 Lévy-Bruhl fu un filosofo, sociologo ed etnologo francese (Parigi 1857-1939). Professore di storia della filosofia moderna alla Sorbona, membro dell'Institut e direttore della Revue philosophique, i suoi interessi filosofici lo portarono dapprima verso Kant, in seguito verso Jacobi, nella ricerca del valore delle facoltà extrarazionali dell'uomo, e verso il positivismo per cercarvi la connessione fra filosofia e scienza che trovò nella spiegazione sociologica. Subì poi l'influsso di Durkheim e si dedicò allo studio della mentalità primitiva. Secondo Lévy-Bruhl il pensiero, nelle società primitive, si basa su categorie del tutto differenti da quelle che regolano la mente dell'uomo nelle civiltà moderne. Egli considera la mentalità primitiva prelogica, perché anteriore e opposta alla logica, e mistica perché fondata su credenze di forze soprannaturali; inoltre la ritiene caratterizzata da una generalizzata partecipazione, per cui l'essere umano e l'oggetto vengono percepiti l'uno come aspetto dell'altro. Nell'ultimo periodo della sua attività (Les carnets de Lévy-Bruhl, pubblicato solo nel 1949), manifestò dei ripensamenti a proposito. Tra le opere: La philosophie

quest'ultimo prendeva in esame una figura di limitazione della sovranità degli Stati, che assumeva una rilevanza sempre più netta anche sotto l'aspetto giuridico, in conseguenza della potenza assunta da «certi partiti e soprattutto dalla loro organizzazione internazionale, esterna e superiore a quella degli Stati nazionali»31 in cui questi partiti operavano.

Quando il partito era a carattere internazionale ed a tendenza totalitaria poteva accadere che quegli Stati nazionali, in cui il governo era tenuto da appartenenti di quel partito, si trovassero ad essere governati non più dalla volontà del loro popolo ma dagli organi dirigenti del partito stesso. Il riferimento di Henry Levy-Bruhl era soprattutto al partito comunista ed alla condizione costituzionale di quelle repubbliche dell'Europa orientale i cui governanti concretamente si trovavano di fronte all'alternativa tra rispettare gli interessi nazionali del loro popolo o quelli del loro partito.

Calamandrei ammetteva che difficilmente si poteva pensare che le repubbliche dell'Europa orientale governate da comunisti potevano essere considerate “Stati sovrani” nel senso tradizionale: esse erano soggette ad una limitazione di sovranità simile a quella che sarebbe potuta derivare da una federazione, con la differenza che la sovranità federale è esercitata da un “superstato” e non da un “superpartito”. Poteva dirsi, si chiedeva, rispettata la democrazia interna in tali Stati? Potevano dirsi tali ingerenze di forze esterne compatibili col rispetto della democrazia? «Se il partito internazionale, al quale disciplinatamente prestano ossequio i governanti del singolo Stato, è un partito totalitario, che si crede depositario di una verità assoluta e sente come dovere la intolleranza di opposizioni e di eresie, è difficile immaginare come il governo dominato dall'esterno da un cosiffatto partito possa salvare nell'interno dello Stato il libero giuoco delle opposizioni, che è la forza motrice della dialettica democratica».32 Ed ecco il punto: Calamandrei affermava che il discorso

mentalità primitiva), L'âme primitive (1927), Le surnaturel et la nature dans la mentalité primitive (1931; Il soprannaturale e la natura nella mentalità primitiva), La mythologie primitive (1935; La mitologia primitiva), L'expérience mystique et les symboles chez les primitifs (1938; L'esperienza mistica e i simboli nei primitivi).

http://www.sapere.it/enciclopedia/L%C3%A9vy-Bruhl,+Lucien.html 31 Calamandrei P., Scritti e discorsi politici, cit., V. I, T. I, p. 416 32 Ivi p. 417

che il Levy-Bruhl faceva per il partito comunista poteva valere per qualsiasi partito a carattere confessionale. Ciò valeva in special modo per i cattolici: quando tale comunità religiosa si organizzava in partito politico, come in Italia avvenne con la Democrazia cristiana, ed utilizzava come armi politiche per conquistare il potere «le devote sottomissioni e le fanatiche intolleranze della fede»33 lì iniziava il grave pericolo per la democrazia.

Scriveva che chi credeva di essere in possesso di una verità infallibile da accettare ad occhi chiusi, senza discutere, chi credeva di stare dalla parte della verità e non dell'errore, non era disposto a confrontarsi con gli altri, ove questa distinzione tra eletti e reprobi si trasferisse sul piano politico, né a servirsi, nella lotta politica, dei metodi della democrazia liberale, che tutte le opinioni considera ugualmente discutibili e fallibili.

Il credente, convinto che il professare certe opinioni porti alla dannazione eterna, aveva quindi il dovere di difendere nel campo spirituale la sua fede, di essere intransigente fino alla fine: «la fede o è totale o non è»34 sottolineava Calamandrei.

«Ma quando la fede si trasforma in partito, e la lotta politica diventa guerra di religione, il partito confessionale è portato anche senza volerlo, anche senza accorgesene, a comportarsi come partito totalitario»35; quando tale partito diverrà maggioranza negherà la libertà altrui perché il credente deve obbedire ciecamente all'unica verità che può salvarlo e combattere l'eresia che significa dannazione morale. «Questo totalitarismo connaturato ad ogni partito confessionale può diventare virulento e penetrante quando si tratta di confessionalismo cattolico: perché questo, per aprirsi il varco nei congegni costituzionali dello Stato, può appoggiarsi ad una altissima autorità internazionale che è la Santa Sede e trovare un sicuro e solido terreno di raccolta e di organizzazione nell'ordinamento giuridico della Chiesa (come riconosce l'art. 7 della Costituzione), ma anche esterno e superiore allo Stato»36. Pertanto, evidenziava nel suo articolo Calamandrei, i cattolici erano soggetti di due ordinamenti differenti: come cittadini dello Stato erano soggetti alle leggi di questo,

33 Ivi p. 418 34 Ibidem 35 Ibidem 36 Ivi p. 419

emanate a seguito di una libera discussione; come fedeli erano soggetti alle leggi emanate dalla Chiesa che nelle materie attinenti alla fede era considerata infallibile. E l'insigne giurista definiva tale situazione paradossale. Paradosso che, proseguiva, ovviamente non si sarebbe verificato se i due ordinamenti, quello dello Stato e quello della Chiesa fossero distinti ed operanti su piani diversi: ossia sul piano temporale lo Stato e sul piano spirituale la Chiesa, di modo che la competenza legislativa dei due ordinamenti potesse svolgersi su materie separate. Ma questo non poteva darsi perché accanto alle materie spirituali, di competenza esclusiva della Chiesa, vi erano le materie miste per le quali la Chiesa negava che sussistesse la competenza esclusiva della Stato. E anche in tutte le materie esclusivamente temporali la Chiesa rivendicava una potestà indiretta «così da inserirsi in esse in quanto lo richieda la salute delle anime e il bene della religione»37.

Così, citando le parole scritte dal professore Mario Falco nel “Corso di diritto ecclesiastico”, Calamandrei sottolineava che non solo l'autorità ecclesiastica voleva inculcare i principi della morale cattolica ai governanti ed esortarli ad osservare le leggi divine ma voleva anche giudicare le leggi statali ed addirittura proibirne l'osservanza qualora le considerasse «contrarie al fine ultimo dell'ordine umano»38. Questo accadeva nella repubblica democratica italiana governata da un partito di cattolici quale era (ed è) la Democrazia cristiana. I governanti avrebbero dovuto essere espressione e strumento della sovranità popolare interna mentre invece potevano essere regolati da una suprema autorità esterna, i cui ordini non ammettevano discussione. Essi erano, scriveva, spiritualmente alle dipendenze di una monarchia assoluta, di un sovrano cioè che aveva il potere di dettare leggi ad un altro Stato: la Repubblica italiana. E severo era l'avvertimento di Calamandrei: «anche questo ordinamento in cui viviamo oggi rischia, come accadde a quello che durò un ventennio, di diventare un regime a doppio fondo; un regime in cui le vere autorità che governano lo Stato non sono quelle che figurano sui seggi ufficiali, ma quelle, potenti ed invisibili, che dall'esterno ne tirano i fili»39.

Questa discesa nella lotta politica delle forze religiose portava a dare alla Repubblica

37 Ivi p. 420 38 Ivi p. 420 39 Ivi p. 421

italiana una natura ambigua oscillante tra la democrazia laica ed il totalitarismo confessionale.

Anche in Italia, affermava, come nel mondo, si rifletteva il dilemma tra comunismo o anticomunismo. In questo dilemma politico la Chiesa aveva assunto il ruolo di ispiratrice spirituale di uno dei due eserciti che si preparavano a farsi guerra. La lotta contro il comunismo fu presentata dalla Chiesa come crociata.

Calamandrei evidenziava che con la scomunica del comunismo, proclamata il 1° luglio 1949, con cui appunto Papa Pio XII affermava la inconciliabilità del comunismo con il cristianesimo e proclamava non essere lecito iscriversi al partito comunista o comunque dargli appoggio anche mediante diffusione di libri o giornali, che si facessero promotori della dottrina del comunismo materialista ed ateo e quindi anticristiano, la Chiesa non solo aveva voluto condannare nel campo spirituale il materialismo marxista che negava ogni posto al trascendente ed alla rivelazione ma aveva inteso mettere al bando, compiendo così un atto politico, un partito e con esso tutte le istanze economiche e sociali di cui questo si faceva portatore, additando alla esecrazione dei fedeli gli appartenenti a tale partito.

Tutto ciò, notava, non poteva non avere delle conseguenze pratiche sulla politica della Repubblica democratica italiana nella quale l'opposizione parlamentare di estrema sinistra, composta anche dai comunisti, era vista dai governanti, sudditi della Chiesa, «come un'accozzaglia di sciagurati reprobi, nemici di Dio e della religione»40.

Si chiedeva quindi se in questa situazione poteva dirsi rispettato quel principio democratico, consacrato nell'art. 3 della Costituzione, della eguale dignità di tutte le opinioni e di tutte le fedi o quello proclamato dall'art. 49 della Costituzione per cui tutti i partiti possono ugualmente concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.

Così continuando, il rischio, paventava Calamandrei, era che il governo della Democrazia cristiana si trasformasse in “regime”, intendendo con ciò quello stabilizzarsi di una dominazione politica che si verifica quando il partito di governo si serve del suo potere al fine di chiudere le vie ai partiti di minoranza impedendogli

dunque a loro volta di divenire maggioranza di governo. L'augurio era che la Democrazia cristiana, data la stragrande vittoria conquistata alle elezioni del 18 aprile 1948, in cui ottenne il 48,5% dei suffragi raggiungendo la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera, non cadesse in tentazione. «Ma quando il cieco disprezzo sotto il quale sono seppellite in Parlamento le proposte anche più temperate delle opposizioni, e le risposte spavalde che certi ministri danno alle interpellanze e alle interrogazioni dei deputati, e il loro rifiuto sistematico di riconoscere, anche in piccole questioni di ordinaria amministrazione, il proprio torto e con esso la verità, e il cinico sorriso di euforia col quale i settori del centro rispondono alle più penose accuse»41, tutto questo, rilevava, faceva sorgere il timore che la tentazione di trasformare il governo in regime stesse divenendo concreta realtà.

Queste trasformazioni si operavano su due piani: quello legislativo e quello esecutivo.

Sul piano legislativo si cominciava col mettere fuori gioco, considerandolo come sovversivo e pericoloso per l'ordine costituito, il partito di opposizione.

Ma ciò «può essere un gioco troppo scoperto» continuava Calamandrei e scriveva che per trasformare il governo in regime era più conveniente servirsi del potere discrezionale proprio dell'amministrazione, per introdurre, «delicatamente e dolcemente in ogni incarico, in ogni ufficio, in ogni impiego, in ogni promozione, in ogni trasferimento, in ogni premio, la condizione sottointesa che chi vi aspira deve appartenere, se vuol riuscire, al partito dominante»42. I cittadini rimanevano tutti giuridicamente uguali e consapevoli che quello che contava per farsi strada nella vita era il solo merito personale. La politica non c'entrava. Ma tuttavia nel fare la graduatoria dei meriti individuali non si potevano ugualmente comparare quelli di uno scomunicato con quelli di chi seguiva, in religione e politica, la ortodossia. Ecco che attraverso questa via si escludevano coloro che appartenevano al partito di opposizione dal partecipare all'amministrazione, inducendoli così, sotto il ricatto «o la libertà di coscienza o la promozione» ad aderire al partito dominante.

41 Ivi p. 426 42 Ivi p. 427

Qualche sintomo di questa trasformazione c'era, notava, più sul piano esecutivo che su quello legislativo. Sul primo ancora, scriveva nel suo articolo, il principio costituzionale dell'uguaglianza giuridica di tutti i cittadini, quale che sia la loro religione ed opinione politica non era stato modificato, tuttavia, denunciava, qualche non irrilevante minaccia poteva registrarsi quale, ad esempio, la elezione con cui il Parlamento nominò i rappresentanti dell'Italia nell'assemblea consultiva del Consiglio d'Europa, la quale venne attuata con metodo studiato apposta per escludere i rappresentanti dell'opposizione. Un metodo analogo fu utilizzato dalla maggioranza per impedire che i rappresentanti dell'opposizione entrassero tra i giudici della Corte Costituzionale, eletti dal Parlamento: il che, evidenziava con delusione, avrebbe condannato la Corte Costituzionale ad essere in perpetuo la violazione vivente di quella Costituzione che essa è chiamata a difendere.

Altro segnale allarmante, che pregiudicava il principio della uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge, erano da considerare le parole che il Pontefice rivolse ai giuristi cattolici mettendoli in guardia dall'osservare le leggi dello Stato che, pur essendo in vigore, erano da reputarsi “ingiuste” perché contrarie alla morale cattolica43. Il potere di qualificarle tali spettava alla autorità della Chiesa e cioè al sovrano di un ordinamento diverso ed estraneo allo Stato italiano44.

Si pensi, faceva notare Calamandrei, quante indignazioni avrebbe provocato il capo di uno Stato straniero che si fosse permesso di esortare i magistrati italiani a ribellarsi alle leggi italiane tutte le volte che queste non avessero trovato corrispondenza con certi principi politici o sociali che a lui stesso avesse piaciuto di dettare.

Se le stesse proteste non si erano innalzate dopo le parole del Pontefice, ciò significava che fino a quel momento l'art. 101 della Costituzione “I giudici sono soggetti soltanto alla legge” non era stato letto nella sua vera lezione perché, a quanto pare, la sua esatta formulazione era, sottolineava, quest'altra: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge che non sia giudicata ingiusta dalla Chiesa”.

«E tuttavia, di siffatto slittamento del governo in regime, questi, che avvengono

43 Discorso di sua santità Pio XII, tenuto domenica 6 novembre 1949 ai partecipanti al primo congresso nazionale dell'unione giuristi cattolici italiani in http://www.riscossacristiana.it/tra-la- vera-scienza-giuridica-e-linsegnamento-della-fede-cristiana-non-vi-e-opposizione-ma-

concordanza-magistero-del-venerabile-papa-pio-xii/

apertamente sul piano legislativo, non sono i sintomi più allarmanti. Più grave è quello che avviene senza clamore, giorno per giorno, sul piano economico e sociale, dove la democrazia cristiana, con ammirevole pazienza e coerenza, sta sistemando i suoi fedeli non soltanto nei pubblici uffici, necessariamente temporanei, ma nelle più stabili e più lucrose cariche direttive degli istituti controllati dallo Stato, nelle banche, nei giornali, nei consigli di amministrazione delle grandi industrie»45.

Constatava Calamandrei che in un ordinamento democratico esistono una quantità di uffici che debbono essere conferiti a rappresentanti del partito di maggioranza, proprio perché incombe su quest'ultimo il compito e la responsabilità di governare il paese dai posti direttivi.

Ma la degenerazione si ha quando la politica o la religione diventano il criterio per il conferimento dei posti non politici ma tecnici.

Quando cioè «per diventare direttore di una banca, o preside di una scuola, o socio di un'accademia scientifica, o componente di una commissione di concorso universitario è necessario aver la tessera del partito che è al governo, allora quel partito sta diventando regime»46.

In tal modo, la religione, da vitale fervore spirituale si trasforma in strumento temporale di arroganza, asservimento e di ipocrisia. Ed il pericolo maggiore è che la democrazia si trasformi in tirannia confessionale.

Al termine dell'articolo, Calamandrei richiamava le domande che poneva al suo inizio.

Poteva la Repubblica italiana considerarsi uno Stato democratico? Poteva la Repubblica italiana dirsi uno Stato indipendente? Difficile trovare le risposte a tali quesiti, «solo l'avvenire potrà rispondere a queste domande» scriveva Calamandrei. Ma le parole finali erano parole di speranza e fiducia: «se sull'orizzonte del mondo sorgerà l'alba della pace, crediamo che alla prima domanda si potrà dare una risposta affermativa, perché si potrà dare una risposta sicuramente negativa alla seconda. Il problema della democrazia non è, ormai, un problema italiano: è un problema europeo e mondiale. Se l'Italia uscirà da questa sua sovranità di provincia, nella quale

45 Ivi p. 431 46 Ivi p. 432

rischia di trovarsi riassorbita dalla Città del Vaticano, se riuscirà a sfociare all'aperto e ad unirsi in una libera federazione europea che prepari la federazione del mondo, anche la minaccia della soffocazione confessionale, che è fenomeno tipicamente e grettamente provinciale, si dissiperà»47.

Il confessionismo allora sarà superato come lo saranno tutti i totalitarismi, affermava, e rimarrà la religione come momento insopprimibile dello spirito umano.

Nel documento Il pensiero giuridico di Piero Calamandrei (pagine 104-113)