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Formulazione del diritto: giustizia del caso singolo e legalità

Nel documento Il pensiero giuridico di Piero Calamandrei (pagine 172-176)

LA PROPOSTA DI “REPUBBLICA PRESIDENZIALE” DI PIERO CALAMANDREI.

7. IL CONCETTO DI LEGALITA'

7.2 La legalità in senso formale

7.2.1 Formulazione del diritto: giustizia del caso singolo e legalità

Il diritto, quale insieme di regole di condotta volte a mantenere l'equilibrio tra le libertà individuali dei singoli consociati, si mostra ad essi come un sistema di comandi che esprimono la volontà degli organi a cui spetta l'esercizio del potere. Occorre analizzare come l'autorità può formulare questi comandi affinché essi siano rispondenti al requisito di certezza di cui si parla.

10 Ibidem

«Per esercitare la funzione giuridica della società, cioè per garantire l'ordine tra i consociati, due sistemi sono teoricamente pensabili (…): il sistema della formulazione giudiziaria e quello della formulazione legislativa del diritto»12. Al primo sistema si allude quando si parla di “diritto libero” o di “giustizia del caso singolo”, mentre il secondo è denominato anche il “sistema della legalità”.13

Per il primo sistema, la funzione giuridica dell'autorità entra in esercizio nel momento in cui si verifica il caso da regolare, cioè quando si verifica un conflitto tra le libertà individuali di diversi consociati; conflitto che per risolversi ha bisogno di una coazione superiore, di un'autorità che intervenga a dettare legge per quel singolo caso.

Nessun diritto preesiste alla controversia: le attività dei singoli consociati sono infatti giuridicamente inqualificate fino al momento in cui non interviene la decisione dell'autorità che le qualifica lecite o illecite.

La libertà del singolo non ha quindi, prima dell'azione, né limiti né garanzie: «è una libertà di fatto, a cui non si sa se corrisponderà la tutela giuridica che verrà dopo»14. In questo sistema il diritto nasce come comando singolare, in forma di sentenza che vale dunque solo per il singolo caso deciso. L'organo che produce il diritto è l'organo che risolve il conflitto, ossia il giudice; «funzione giurisdizionale e funzione giuridica si identificano; la creazione del diritto e la sua applicazione avvengono ad un solo punto»15. E dato che al momento della decisione non esistono leggi alle quali il caso possa essere rapportato, il giudizio del caso singolo non può definirsi come un giudizio secundum ius, ma è piuttosto un giudizio politico, di equità o di opportunità contingente che trasforma il fatto in diritto16.

Nel sistema della formulazione legislativa il regolamento della condotta intervindividuale non è stabilito posticipatamente e caso per caso, ma è posto anticipatamente e per classi: non mediante comandi particolari e concreti riferiti ad una situazione già verificatasi ma con comandi generali ed ipotetici destinati a valere per tutta una serie indefinita di casi simili.

12 Calamandrei P., Non c'è libertà senza legalità, cit., p. 13 13 Calamandrei P., Opere giuridiche, cit., V. III, p. 64 14 Calamandrei P., Non c'è libertà senza legalità, cit., p. 13 15 Calamandrei P., Opere giuridiche, cit., V. III, p. 65 16 Calamandrei P., Non c'è libertà senza legalità, cit., p. 13

In questo sistema della legalità la funzione giuridica si scinde in due tappe: dapprima lo Stato crea il diritto in forma di leggi generali ed astratte, poi lo applica al caso concreto desumendo dalla regola generale il comando particolare. In altre parole: prima legifera, poi giudica. Si separa così la volontà legislativa, che pone il diritto per una classe ipotetica di casi non ancora verificatisi e la volontà giudiziale: la sentenza del giudice non è emessa in base a considerazioni di opportunità contingente riguardanti il singolo caso, ma nel rigido rispetto della legge. Il giudice deve solamente accertare che il caso concreto sottoposto al suo esame sia perfettamente sovrapponibile con quella della norma.

Calamandrei sottolineava che non vi è necessità di lunga dimostrazione per comprendere che tra i due sistemi analizzati, solo il sistema della “formulazione legale” può assicurare tra i consociati la certezza del diritto. Infatti solo la «separazione della funzione giuridica in due momenti distinti, quello legislativo e quello giudiziale, può dare la possibilità, ch'è presupposto di ogni libertà politica, di conoscere in anticipo, prima di agire, quali sono le azioni lecite e quelle vietate: ove le possibili attività umane si trovano nelle leggi giuridicamente classificate e qualificate in anticipo, il singolo che prima di agire dubiti se questa azione disegnata rientri nei limiti della sua libertà, non deve far altro che ricercare fra le numerose ipotesi formulate in astratto dalle leggi, quella che coincide col caso suo: e potrà quindi leggere senz'altro, nella parte precettiva di essa, la risposta al suo dubbio»1718.

17 Calamandrei P., Opere giuridiche, cit., V. III, p. 66

18 Queste parole di Calamandrei ci riportano alla critica che Jeremy Bentham fece alla common law, cioè alla produzione giudiziaria del diritto.

Bentham visse dal 1748 al 1832 e fu il maggiore studioso inglese dell'utilitarismo: subì «l'influenza di un nostro pensatore, il Beccaria, come dimostra non solo la sua idea della sovranità della legge e della subordinazione ad essa da parte del giudice (era stata appunto teorizzata dal Beccaria), ma lo stesso postulato fondamentale dell'utilitarismo che egli esprime con la formula: la maggior felicità del maggior numero, formula che ripete quasi letteralmente quella del Beccaria: la maggior felicità divisa nel maggior numero». Dunque Bentham assunse come principio suo fondamentale la massima di Cesare Beccaria secondo cui il fine di ogni attività morale e di ogni organizzazione sociale deve consistere nella massima felicità possibile per il maggior numero di persone: in virtù di ciò, un'azione è buona quando è utile, quando cioè contribuisce alla felicità comune, evitando una sofferenza o procurando un piacere.

La più ampia teoria della codificazione elaborata in Inghilterra durante il periodo dell'illuminismo fu quella di Bentham, detto appunto il “Newton della legislazione”.

Il pensiero del Bentham a proposito della codificazione giunse a completa maturazione solo verso il 1811, dopo un lungo periodo di riflessione che può essere suddiviso in tre fasi.

In una prima fase egli propose una riforma ed una riorganizzazione sistematica del diritto inglese nei suoi vari rami: il diritto inglese era, ed è anche oggi, un diritto non codificato, il cui sviluppo

era affidato per la maggior parte all'opera dei giudici. Un diritto che non si fondava su leggi astratte e generali ma sui “casi”, secondo il sistema del precedente vincolante. «Era quindi radicalmente asistematico, in quanto non presentava una linea uniforme di sviluppo legislativo, ma piuttosto una pluralità di linee di sviluppo giudiziario, ognuna delle quali ad un certo punto si interrompeva per essere sostituita da un'altra, salva sempre la possibilità che quella precedentemente abbandonata venisse ripresa. Questa situazione appariva intollerabilmente caotica alla mente di un pensatore razionalista come il Bentham, il quale, dopo aver compiuto gli studi giuridici e aver intrapreso la carriera forense, abbandonò l'attività forense (…) per dedicarsi tutto allo studio dei problemi fondamentali riguardanti la riforma legislativa».

Nella seconda fase progettava una sorta di Digesto del diritto inglese.

Infine nella terza fase (dal 1811 in poi) progettava una riforma del diritto «mediante una codificazione completa che avrebbe dovuto sistemare tutta la materia giuridica in tre parti: diritto civile, diritto penale e diritto costituzionale».

I progetti di codificazione del Bentham avevano origine, come accennato, dalla critica al sistema del common law, del sistema cioè della produzione giudiziaria del diritto. Nella sua critica alla common law egli individuava cinque difetti fondamentali: a) Incertezza della common law: il diritto giudiziario non soddisfa la fondamentale esigenza della certezza del diritto. Non vi è sicurezza per i diritti degli individui posto che al cittadino non è data la possibilità di prevedere le conseguenze che scaturiranno dalle proprie azioni. b) Retroattività del diritto comune: il giudice trovandosi di fronte ad un caso che non può essere risolto secondo una norma ricavabile dalle vecchie sentenze, dovrà risolverlo con una norma che egli crea ex novo: tale norma, applicandosi ad un comportamento posto in essere in un momento antecedente ad essa, ha efficacia retroattiva. Viene così violato un principio fondamentale del pensiero giuridico liberale e cioè quello dell'irretroattività della legge: in tal modo un cittadino, nel momento in cui pone in essere un comportamento, non può sapere che una legge successiva potrà dichiararlo illegittimo. c) Il diritto

comune non è fondato sul principio di utilità: mentre il legislatore può creare un sistema di norme

giuridiche fondato su taluni principi fondamentali, primo fra tutti quello di utilità, il giudice non segue tale criterio poiché applica o crea il diritto fondandosi su una regola preesistente, o sull'analogia fra il caso da risolvere e quello disciplinato da una sentenza precedente. d)

Mancanza nei giudici di una competenza specifica in tutti i campi regolati dal diritto: secondo

Bentham tale inconveniente poteva essere facilmente eliminato con la produzione legislativa del diritto, in quanto la redazione dei codici e delle singole leggi sarebbe stata affidata ad individui o commissioni aventi specifiche competenze. e) il popolo non può controllare la produzione del

diritto da parte dei giudici: se il diritto venisse creato dal Parlamento, tale produzione legislativa

potrebbe essere controllata dal popolo e si potrebbe dire che il diritto è espressione del popolo. Merita citare anche la critica che John Austin (1790-1859), filosofo e giurista inglese, allievo di Jeremy Bentham, fece al diritto giudiziario.

Ma prima di svolgere la sua critica egli confutava alcune obiezioni contro il diritto giudiziario che non riteneva valide: in particolare due di queste erano state formulate dal suo maestro.

La prima obiezione che L'Austin respingeva era così formulata: «la produzione del diritto giudiziario non può essere controllata dalla comunità politica, mentre quella del diritto legislativo permette tale controllo». Questa obiezione si richiama a quella del Bentham ma non la riproduce fedelmente posto che quest'ultimo affermava la possibilità di controllare la produzione legislativa del diritto riferendosi non alla realtà di fatto, ma ad un ideale Stato democratico. L'Austin formulava questa obiezione riferendosi alla realtà di fatto ed infatti sottolineava che la possibilità del controllo popolare non dipendeva dalla natura giudiziaria o legislativa del diritto ma dal tipo di costituzione propria dell'organo produttore del diritto. «In una monarchia assoluta esiste una produzione legislativa del diritto che non consente alcun controllo, mentre esso è possibile nella produzione giudiziaria del diritto se i giudici sono eletti democraticamente».

La seconda obiezione benthamiana che fu respinta dall'Austin riguardava la natura arbitraria del diritto giudiziario che, secondo Bentham, sarebbe creato senza nessun criterio oggettivo, senza limiti e senza controlli. Austin criticava tale impostazione e faceva notare che i giudici non erano affatto liberi di agire come volevano, senza limiti né controlli: essi erano vincolati dal sistema del precedente vincolante e controllati dall'autorità sovrana che poteva sospenderli dalle loro funzioni

Questo discorso consente di fare un brevissimo accenno all'atteggiamento di critica che, in generale, l'illuminismo giuridico ebbe nei confronti del diritto giudiziario, considerato un diritto incerto e caotico.

L'illuminismo aprì dunque la strada alla codificazione del diritto affermando la centralità ed esclusività della legge, l'unica in grado di garantire la fondamentale esigenza della certezza del diritto.

Nel documento Il pensiero giuridico di Piero Calamandrei (pagine 172-176)