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Osservazioni finali sul concetto di legalità: legalità ed uguaglianza

Nel documento Il pensiero giuridico di Piero Calamandrei (pagine 197-199)

LA PROPOSTA DI “REPUBBLICA PRESIDENZIALE” DI PIERO CALAMANDREI.

7. IL CONCETTO DI LEGALITA'

7.4 Osservazioni finali sul concetto di legalità: legalità ed uguaglianza

Nello Stato costituzionale tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge. Questo è quanto afferma la Costituzione italiana che all'art. 3, 1° comma, dichiara che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

Non si tratta d'utopistica uguaglianza materiale ma d'uguaglianza giuridica per la quale tutti i cittadini, senza tenere di conto delle distinzioni naturali ed economiche, sono uguali davanti alla legge.

Due sono i significati di questa uguaglianza giuridica:

a) in un primo senso essa vuol intendere l'uguale trattamento riservato a tutti i casi in concreto forniti di quei caratteri che la legge ha in astratto descritto anticipatamente. Si può parlare, sotto questo aspetto, di uguaglianza giudiziaria: uguale trattamento giudiziario di tutti i casi che la legge considera simili.

Se si interpretasse la formula della uguaglianza giuridica di tutti i cittadini nella sua formulazione letterale, come se volesse dire eliminazione di ogni differenza giuridica tra cittadini, essa significherebbe in concreto abolizione del diritto (inteso non come diritto soggettivo) il quale è fondamentalmente classificazione di differenze e proporzione di disuguaglianze. «Il procedimento logico comune a tutte le leggi è quello di raggruppare le relazioni umane secondo i loro tipici caratteri differenziali e di ricollegare ai diversi caratteri diverse conseguenze giuridiche: il che significa stabilire un trattamento giuridico disuguale per coloro che si trovano in casi considerati disuguali dalla legge»61. Il creditore ed il debitore sono entrambi cittadini: ma, a certi effetti, il trattamento ad essi riservato dalla legge è diverso. Essi sono come tali disuguali davanti alla legge: i loro diversi interessi sono trattati diversamente dalla legge, alcuni come diritti soggettivi che lo Stato si impegna a tutelare, altri come semplici interessi destinati a rimanere senza tutela.

Dunque l'uguaglianza giuridica di tutti i cittadini di fronte alla legge non significa

trattamento uguale di tutti essi in ogni situazione ma, al contrario, che il differente trattamento giuridico stabilito dalle leggi per i diversi casi tipici in astratto considerati, deve valere per tutti nello stesso modo, quale che sia la persona che verrà ad essere colpita dal precetto ricollegato a quella ipotesi.

Tale uguaglianza riguarda quindi non il legislatore, che quando legifera deve prevedere differenze di uomini e cose, ma il giudice «il quale nell'applicar la legge deve considerare quali casi simili quelli nei quali si riscontrano le stesse circostanze tipiche che la legge indica come giuridicamente rilevanti, senza dare peso alcuno alla concreta esistenza, in questi casi giuridicamente simili, di differenze attinenti a circostanze d'altra natura non prese in considerazione dalla legge»62.

La fedeltà del giudice a questa uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge è la più alta dote del giudice: tale sua virtù professionale si chiama imparzialità.

b) L'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge significa anche divieto costituzionale preventivamente posto allo stesso legislatore di emanare leggi in cui venga violata «quella uguaglianza morale degli uomini, che esiste per natura indipendentemente dal riconoscimento delle leggi»63.

Qui l'uguaglianza, che potremo chiamare costituzionale, si considera come garanzia da soddisfare al momento in cui la legge si crea. È un'esigenza questa da soddisfare non al momento dell'applicazione della legge ma in un momento anteriore, quello cioè della sua formazione.

La base di tutto il sistema della legalità è il riconoscimento della uguale dignità giuridica di tutti i cittadini, che porta al riconoscimento della possibilità garantita a tutti di partecipare all'attività politica attraverso cui le leggi si creano. «Il principio che sta alla base della legalità ha dovuto, per entrare praticamente nelle carte costituzionali, essere accompagnato dalla specifica delimitazione di alcune libertà essenziali (“diritti di libertà”) che si considerano come attributi intangibili della persona: come quel minimo di libertà politica che non potrebbe ulteriormente restringere senza che la stessa autonomia della persona venisse ad esserne ferita»64. In altre parole, la legge ha dovuto limitare la libertà del singolo per garantire la

62 Ivi p. 119 63 Ivi p. 120 64 Ivi p. 120

libertà di tutti.

Il principio d'uguaglianza costituzionale esige che le leggi rispettino i diritti di libertà in modo uguale per tutti i cittadini: come corollario esige che «le leggi non prendano come criterio per fare un disuguale trattamento giuridico a certe categorie di cittadini il modo con cui essi esercitano quelle attività che sono per definizione libere, cioè i diritti di libertà»65.

Prima dell'entrata in vigore della Costituzione, l'art. 24 dello Statuto Albertino stabiliva che tutti i cittadini «godono, ugualmente, i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi». Affinché il principio di uguaglianza possa dirsi rispettato si deve intendere che tali eccezioni non devono avere ad oggetto distinzioni di casta, razza, religione, opinioni politiche: in questo modo si negherebbe quell'uguale libertà riconosciuta a tutti i cittadini di professare la propria fede religiosa e di esprimere le proprie opinioni politiche.

Tuttavia, notava Calamandrei, in Italia si ebbero drammatici esempi di leggi emanate in violazione di questa uguaglianza costituzionale. Si pensi alle leggi emanate durante il ventennio fascista cosiddette “razziali” oppure a quelle che dividevano «i cittadini italiani in due categorie, quella degli “iscritti”, cioè dei privilegiati a capacità piena, e quella dei “non iscritti”, cioè dei tollerati a capacità limitata»66.

Nel documento Il pensiero giuridico di Piero Calamandrei (pagine 197-199)