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Gli scritti success

Nel documento Il pensiero giuridico di Piero Calamandrei (pagine 163-168)

LA PROPOSTA DI “REPUBBLICA PRESIDENZIALE” DI PIERO CALAMANDREI.

6. DIRITTI DI LIBERTA', DIRITTI SOCIALI, NATURA E FUNZIONE DELLA COSTITUZIONE

6.9 Gli scritti success

Calamandrei tuttavia non rinunciò alla sua battaglia e la riprese nella saggistica politico-costituzionale.

In uno scritto pubblicato ne “Il Ponte”, nel gennaio 1947, ed intitolato “Come nasce

la costituzione” si può leggere uno sfogo a metà tra l'amarezza verso i partiti politici

e la rassegnazione. Affermava che in molti articoli della Costituzione, invece che la registrazione di una realtà giuridica già compiuta, si sarebbero trovati timori o propositi, speranze di ciò che poteva compiersi solo in un futuro lontano. Sottolineava che molte disposizioni potevano esser comprese esattamente solo

andando a ricercare i propositi politici che v'erano sottintesi: si poteva scorgere così la preoccupazione che il partito avversario riuscisse a prevalere ed il rimedio per impedire che ciò potesse avvenire o per impedire di abusare di questa prevalenza; «l'espediente di nascondere in una formula apparentemente innocua l'arma che domani potrà dar vittoria decisiva in una lotta elettorale o addirittura in una guerra civile»56.

Purtroppo, scriveva Calamandrei, il lavoro dell'Assemblea costituente si era svolto in un clima irrequieto di vigilia elettorale. Così la nuova Costituzione, piuttosto che un documento giuridico, rischiava di divenire uno strumento politico; piuttosto che la attestazione di una stabilità legale già raggiunta, rischiava di essere la sola promessa di una trasformazione sociale che era appena agli inizi. Questo spiegava perché molti articoli della Costituzione contenevano non la garanzia di diritti già acquisiti e di istituzioni già fondate ma propositi e preannunci di rivendicazioni sociali che a quel tempo erano meri sogni dell'avvenire. I partiti facevano a gara nel cercare d'includere nella nuova Costituzione, travestiti da norme giuridiche, i postulati ideologici dei loro programmi. Rammentava che a ben poco valse «ricordare che la Costituzione è una legge, e che le leggi hanno la limitata funzione di porre regole di condotta praticamente attuabili e sanzionate, e non quella di enunciare tesi filosofiche o credi religiosi»57.

La Costituzione dunque solo in parte sarebbe stata una legge in senso propriamente tecnico; per il resto sarebbe stata «un manifesto di propaganda ed anche, un po', una predica»58.

In un ampissimo scritto di poco successivo alla fine dei lavori dell'Assemblea costituente ed intitolato “Cenni introduttivi sulla Costituente e sui suoi lavori”, Calamandrei tracciava il quadro generale della nuova Costituzione repubblicana. Sottolineava che nella struttura costituzionale della repubblica italiana non v'era un gran che di molto nuovo o molto originale poiché «è un ordinamento democratico (…) fondato sulla sovranità popolare, sul suffragio universale,sulla pluralità di partiti, sul diritto della minoranza di esercitare l'opposizione e di adoperarsi, nelle vie

56 Calamandrei P., Scritti e discorsi politici, cit., V. I, T. I, p. 292 57 Ibidem

legali, a diventar maggioranza a sua volta. Governo parlamentare, che per reggersi deve avere la fiducia delle due Camere; sistema bicamerale, nel quale le due assemblee legislative (…) hanno assoluta parità di funzioni; Capo dello Stato, distinto dal Capo del Governo, eletto dalle Camere, senza responsabilità politica e con funzione equilibratrice sugli altri poteri (…) In tutto questo, come è facile accorgersi nulla v'è, non diciamo di “rivoluzionario”, ma neanche di riformatore nel campo delle strutture economico-sociali. L'unica decisiva conquista è stata la Repubblica: in questa ha trionfato Giuseppe Mazzini. Qua e là, nella struttura politica di questa Repubblica, si potrebbero rintracciare, sparsi e commisti, influssi risalenti al Cavour, al Cattaneo, e perfino al Gioberti; ma nel campo sociale, nulla di nuovo. Mentre in un primo tempo qualcuno aveva sostenuto che la Costituente dovesse prima di sciogliersi deliberare, insieme colla Costituzione, alcune fondamentali riforme di carattere sociale che segnassero l'inizio di una vera trasformazione del sistema economico oggi vigente e di un radicale rinnovamento della classe dirigente»59.

In realtà, notava Calamandrei, non solo l'Assemblea costituente non fece in tempo ad esaminare tali riforme, ma neanche ritenne d'introdurre nell'ordinamento costituzionale nuovi congegni attraverso cui le esigenze di rinnovamento sociale potessero trovare uno sbocco; né furono tradotte in istituzioni giuridiche aventi valore pratico le generiche affermazioni di principio con le quali in numerose disposizioni veniva promessa la redenzione e la preminenza delle classi lavoratrici. L'art. 1 della Costituzione dichiara che «L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro», ma nella Costituzione non si trovavano disposizioni che dessero una portata pratica alle disposizioni in cui apparentemente si consacra il diritto al lavoro e il dovere di lavorare (art. 4).

Dunque anche qui la notazione di rilievo riguardava l'incompletezza del lavoro fatto dall'Assemblea costituente: secondo Calamandrei, si potevano inserire nelle norme della costituzione le promesse di riforme, ma la Costituente non avrebbe dovuto, né potuto sciogliersi senza impostarle in sede legislativa.

Con lo scritto “Festa dell'Incompiuta” pubblicato ne “Il Ponte” nel 1951, a tre anni

dunque dall'entrata in vigore della Carta costituzionale, Calamandrei denunciava l'inattuazione di alcune sue parti e nel far ciò cercava di comprendere le difficoltà pratiche che determinavano ciò. Scriveva che nella Costituzione teorica (non dunque in quella attuata) si trovava la condanna dell'ordinamento sociale di quel tempo e la proposta di trasformarlo dalle fondamenta: il “diritto al lavoro”, “la pari dignità sociale” di ogni individuo, il diritto del lavoratore ad una retribuzione «sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa», sembravano lo squillo di una rivoluzione legalitaria già in atto.

Ma era sufficiente verificare che tutte quelle promesse non era state ancora mantenute per accusare il governo di tradimento della Costituzione. «Queste, si sa, sono promesse a lunga scadenza, e il governo può giustificarsi col dire che, finché c'è da pensare al riarmo, i tempi per pensare ad altro non sono maturi»60.

Nel 1955, in un lungo saggio intitolato “La Costituzione e le leggi per attuarla” emersero tutte le conclusioni pessimistiche del giurista sulle inadempienze costituzionali, coerenti con le previsioni che lui stesso fece in sede costituente. Denunciava tutte le inadempienze della parte «strutturale» della Costituzione: il caso più sorprendente era quello della Corte costituzionale senza la quale non poteva essere garantita quello rigidezza che doveva essere uno dei caratteri essenziali della nuova Costituzione61. Discorso analogo poteva farsi per il Consiglio superiore della magistratura. Inattuato rimase un istituto che la Costituzione aveva accolto come strumento di collaborazione diretta del popolo alla funzione legislativa e cioè il referendum popolare. Inattuato era rimasto anche l'ordinamento regionale, una delle principali innovazioni della Repubblica italiana, la quale, unitaria ma ripartita in enti regionali forniti di autonomia, avrebbe dovuto presentarsi, in virtù di questo decentramento di poteri legislativi, come esempio di un nuovo tipo di Stato, lo «Stato regionale»62. Altro organo rimasto ancora a quel tempo sulla carta era il Consiglio nazionale dell'Economia e del Lavoro, che la Costituzione aveva istituito con funzioni di consulenza e di collaborazione. Questi erano alcuni esempi citati da Calamandrei.

60 Calamandrei P., Scritti e discorsi politici, cit., V. I, T. I, p. 485 61 Calamandrei P., Scritti e discorsi politici, cit., V. II, p. 487 62 Ivi p. 492

Affermava che la mancata attuazione di alcuni organi essenziali nell'apparato costituzionale e la sopravvivenza di vecchi organi appartenenti ad un regime oramai superato, aveva negative ripercussioni sulla parte cosiddetta ordinativa della Costituzione, quella destinata cioè a regolare lo Stato-società, ed a garantire ai cittadini essenziali diritti di libertà.

Evidente, per il giurista, la stretta connessione tra la parte organizzativa e quella ordinativa di una Costituzione poiché era proprio nel campo dei diritti individuali che le carenze organiche divenivano percepibili dai singoli. «Affinché le proclamazioni dei diritti individuali, solennemente consacrati nella Costituzione, abbiano una efficacia pratica, non basta che le formule in cui esse sono scritti siano precise e spesso perfino troppo verbose, ma occorre soprattutto che funzionino in maniera efficiente e sicura gli organi costituzionali posti a garanzia di quei diritti»63.

L'inattuazione della parte organizzativa si risolveva quindi in una minore tutela di quei diritti sociali consacrati nella parte ordinativa. Per Calamandrei poteva darsi che il perfezionamento della parte organizzativa fosse «preordinatamente ritardato o eluso dalle forze politiche al potere, proprio allo scopo di evitare che l'entrata in vigore degli organi di garanzia costituzionale»64desse valore concreto e contenuto pratico ai diritti individuali. In altre parole, la mancata attuazione di alcuni organi strutturali che la Costituzione aveva preordinato a garanzia dei diritti individuali, poteva essere la conseguenza di una preordinata volontà di lasciare indifesi quei medesimi diritti.

In quel momento i diritti individuali di libertà e di uguaglianza erano garantiti in modo molto meno sicuro ed integrale di quanto le disposizioni costituzionali, così minuziose e rigorose, lasciavano sperare.«Tanto che si può perfino dubitare se l'Italia si possa oggi qualificare come uno “Stato di diritto”, nel quale il principio di legalità sia qualcosa di più di un'etichetta»65.

63 Ivi p. 504 64 Ibidem 65 Ivi p. 508

Nel documento Il pensiero giuridico di Piero Calamandrei (pagine 163-168)