LA PROPOSTA DI “REPUBBLICA PRESIDENZIALE” DI PIERO CALAMANDREI.
6. DIRITTI DI LIBERTA', DIRITTI SOCIALI, NATURA E FUNZIONE DELLA COSTITUZIONE
6.7 Struttura giuridica dei diritti social
La struttura giuridica di questi cosiddetti “diritti sociali” è fondamentalmente differente dalla struttura dei tradizionali diritti di libertà: mentre questi ultimi, come si è detto, hanno contenuto negativo, in quanto ad essi corrisponde l'obbligo per lo stato di non impedire l'esercizio di certe attività individuali, un impegno cioè a non fare, a non ostacolare la libertà individuale, e quindi con essi lo stato non s'addossa prestazioni positive che andranno a gravare sul bilancio pubblico, i “diritti sociali”
hanno carattere positivo, in quanto ad essi corrisponde l'obbligo dello stato di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che precludono la libera espansione morale e politica della persona umana. Lo stato s'impegna a fare qualcosa per il cittadino, a dargli qualcosa per sollevarlo dalla situazione d'indigenza, a fornirgli un lavoro, una casa, l'assistenza, l'istruzione o i mezzi economici per procurarsi tutti quei beni20.
Con i diritti di libertà si mira a salvaguardare la libertà del cittadino dall'oppressione politica. Con i diritti sociali si mira a salvaguardare la libertà del cittadino dall'oppressione economica.
Il fine è lo stesso e cioè la difesa della libertà individuale ma differenti sono i mezzi: mentre per soddisfare i diritti politici del cittadino lo stato deve solamente astenersi dall'agire, al contrario, per soddisfare i diritti sociali lo stato ha il dovere di darsi da fare al fine di liberare il bisognoso dal bisogno.21
C'è dunque tra i diritti di libertà politica e i nuovi diritti di libertà sociale una differenza essenziale sotto l'aspetto economico. «Se la soddisfazione dei primi non costa nulla allo stato, lo stesso non si può dire per i secondi, la soddisfazione dei quali è per lo stato, prima che una questione politica, una questione finanziaria»22.
20 Calamandrei Piero, Costituente e questione sociale, in Opere Giuridiche, cit., V. III, p. 179 21 Fondamentale per Calamandrei la distinzione tra diritti di libertà e diritti sociali: i primi aventi
contenuto negativo in quanto ad essi non corrisponderebbe per lo Stato un obbligo di fare, i secondi aventi carattere positivo posto che la loro attuazione richiederebbe un intervento da parte dello Stato che s'impegna a fare qualcosa per il cittadino al fine di liberarlo dal bisogno
economico. Quella di Calamandrei era una visione tradizionale, classica e potremmo dire oramai superata.
Una citica forte a questo tipo di contrapposizione si ha nell'argomento elaborato da Stephen Holmes e Cass R. Sustein ne “Il costo dei diritti”: in tale libro viene confutato l'assioma per cui i diritti di libertà, a contenuto negativo, sarebbero diritti a costo zero o quasi, quelli positivi invece molto costosi. Secondo tali autori non è vero che soltanto i diritti sociali (i diritti di welfare, volti soprattutto a promuovere la condizione umana delle fasce più deboli) richiedono ingenti sforzi finanziari allo Stato, mentre i cosiddetti diritti negativi sarebbero una sorta di dono di natura, di cui l'individuo si limita a godere senza oneri per la società.
Diritti quali quello di proprietà, la libertà contrattuale, la libertà di parola e di espressione, di religione, la libertà personale non si potrebbero realizzare con la sola opera del loro titolare: in altre parole non si potrebbe farli valere senza un intervento pubblico. Senza il poliziotto che difende la proprietà del cittadino dalle aggressioni, senza il vigile del fuoco che difende la casa dagli incendi, senza il magistrato che ripara i torti subiti, etc., i diritti dei cittadini resterebbero diritti di carta. Dunque anche la soddisfazione dei diritti di libertà impone dei costi allo Stato: è con il denaro pubblico, frutto dei tributi di tutti, che lo Stato organizza tutte quelle attività che rendono possibile ai cittadini l'attuazione concreta anche di tali diritti.
Holmes S., Sunstein C., Il costo dei diritti, Società editrice Il Mulino, Bologna, 2000 22 Ibidem
Libertà di pensiero vuol dire diritto del cittadino a che lo stato non lo perseguiti per le sue opinioni e non lo ostacoli nella manifestazione di esse; libertà dal bisogno vuol dire diritto del cittadino a che lo stato concorra a fornirgli i mezzi per lavorare ed assicurargli una vita dignitosa.
«Per questo, a voler collocare questi nuovi “diritti sociali” nelle caselle sistematiche in cui i costituzionalisti classificano i diritti pubblici del cittadini, si vede che essi non potrebbero per la loro struttura esser posti nella stessa casella dei tradizionali diritti di libertà a contenuto negativo, ma dovrebbero piuttosto esser annoverati tra i diritti “civici”, come sono denominati dai giuristi quei diritti che ciascuno ha, nella sua qualità di civis, ad un aiuto attivo, ad una prestazione positiva delle pubbliche autorità»23.
Tali diritti sociali pongono per la loro soddisfazione una serie di esigenze pratiche che non possono essere soddisfatte se non disponendo di mezzi adeguati. La consacrazione nella costituzione del diritto al lavoro, del diritto all'istruzione gratuita fino alle università per i meritevoli non abbienti, richiedono per lo stato compiti che non possono essere adempiuti con l'inerzia o con l'astensione. «E il vero problema politico, allora, non è quello di riuscire ad inserire nella costituzione la enunciazione di questi diritti, ma è quello di predisporre i mezzi pratici per soddisfarli e per evitare che essi rimangano come vuota formula teorica scritta sulla carta, ma non traducibile nella realtà»24.
Questo il motivo per cui i diritti sociali che si trovano dichiarati in molte costituzioni uscite dalla prima guerra mondiale sono rimasti allo stato di vaghi indirizzi programmatici, di promesse affidate all'incerto avvenire, di mete ideali non ancora raggiunte; in qualche costituzione, l'enunciazione di tali diritti è stata accompagnata dalla promessa di emanare “leggi speciali” per tradurli in realtà. Ma poi le “leggi speciali” non sono state emanate e la disoccupazione è rimasta così come il privilegio dell'istruzione.
La solenne dichiarazione nella costituzione dei diritti sociali non può modificare di certo la realtà sociale. La sola proclamazione rimarrà lettera morta, se ad essi non
23 Ibidem
corrisponderà una effettiva trasformazione della struttura economica della società, ossia una rivoluzione che fornisca allo stato i mezzi per soddisfarli. Se nella costituzione si afferma che tutti i cittadini hanno diritto al pane, scriveva Calamandrei, questa non è ancora una realtà finché non viene modificata la struttura economica che fino a quel tempo ha consentito ai privilegiati la libertà di accumulare ricchezze ed ai diseredati la libertà di morire di fame25.
Per questa ragione l'apparizione dei diritti sociali nelle costituzioni è non il punto d'arrivo di una rivoluzione già compiuta ma il punto di partenza di una rivoluzione che si mette in cammino.
Il giurista fiorentino sottolineava che di tutte le le costituzioni fin là apparse, quella sovietica del 1936, era l'unica in cui i diritti sociali furono affermati come traduzione in formule giuridiche di una rivoluzione sociale già compiuta. «Qui i diritti dei cittadini, anche quelli sociali, sono enumerati non come programma di una trasformazione da compiere, ma come espressione giuridica di un'economia già assestata e consolidata, prima che nella costituzione, nella realtà sociale»26.
Ponendo lo sguardo alla situazione italiana mestamente Calamandrei affermava che la costituente, quando si accingerà a risolvere il problema della giustizia sociale, si accorgerà che le sarà consentito porre soltanto alcune promesse, segnare mete che serviranno di faro al cammino dei figli e dei nipoti.
«In Italia, se la costituente potrà, in quanto al problema istituzionale, limitarsi a prendere atto di una rivoluzione già virtualmente avvenuta (perché, come ormai tutti comprendono, le istituzioni monarchiche sono rimaste schiacciate senza speranza sotto le macerie del fascismo), si troverà invece, per quanto attiene al problema sociale, dinanzi a un rinnovamento ancora da iniziare»27.
La costituente italiana potrà tradurre in norme legali soltanto una serie di propositi e di speranze. Dovrà redigere un elenco di tendenze, non di fatti compiuti.
Questo tuttavia non significa che nelle costituzioni nelle quali l'enunciazione dei diritti sociali ha avuto finora o avrà nell'avvenire un valore solamente programmatico, questa enunciazione sia priva di ogni valore politico. Essa segna
25 Ivi p. XLI 26 Ivi p. XLII
comunque una tendenza, un orientamento pratico per la legislazione futura.
In conclusione, per dirla con le parole di Francesco Ruffini, «quello che più importa, in fatto di diritti di libertà, non è tanto la loro solenne proclamazione teorica, al modo dei famosi testi francesi, quanto la concreta determinazione dei mezzi pratici più adatti ad assicurarne l'osservanza»28.
6.8 Calamandrei all'Assemblea costituente: i diritti sociali e la loro