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Legge e libertà

Nel documento Il pensiero giuridico di Piero Calamandrei (pagine 168-172)

LA PROPOSTA DI “REPUBBLICA PRESIDENZIALE” DI PIERO CALAMANDREI.

7. IL CONCETTO DI LEGALITA'

7.1 Legge e libertà

7.1.1 Libertà morale e libertà politica

La legalità, affermava Calamandrei, si può considerare come la «traduzione nell'ordine politico, cioè pratico, dell'idea morale di libertà»1: la legalità infatti è definibile come l'insieme di quelle garanzie giuridiche che assicurano il rispetto della libertà individuale all'interno dello Stato.

Per comprendere appieno la nozione di legalità bisogna prendere le mosse da quella di libertà.

Il riferimento è alla libertà in senso politico, cioè pratico, esterno, considerando l'uomo nelle sue relazioni con gli altri uomini all'interno della società; non dunque libertà in senso morale ed interno, quella libertà cioè che i filosofi identificano con la vita morale ed insegnano che, poiché l'uomo l'ha già dentro di sé, nessuno gliela può dare né togliere.

Calamandrei riteneva quest'ultimo ragionamento vero sul piano filosofico ma non valido sul piano politico, pratico. «La libertà, come fervore di vita dello spirito, come vitalità morale, non sono le leggi che possono crearla in chi non la vuole; ma per chi l'ha e vorrebbe praticamente esplicarla in opere, sono le leggi che debbono praticamente assicurargli la libertà politica di poter esplicare la sua libertà morale»2. Se il principio, vero sul piano della morale individuale, che ogni uomo è libero per natura e che nessuno può dargli né togliere ciò che già possiede, fosse vero anche nel campo della politica, il partito liberale sarebbe stato un non senso: «come sarebbe una stoltezza un partito che si costituisse per sostenere che tutti gli uomini respirano o digeriscono»3.

1 Calamandrei P., Opere giuridiche, a cura di M. Cappelletti, Morano editore, Napoli, 1966, V. III, p. 58

2 Calamandrei P., Non c'è libertà senza legalità, Editori Laterza, Roma-Bari, 2013, p. 5 3 Ivi p. 6

Anche sotto i regimi tirannici gli uomini sono moralmente liberi: ma nonostante questa libertà interiore, essi vivono praticamente schiavi ed aspirano ad un regime che permetta loro di tradurre in azione pratica esteriore questa loro libertà. La libertà morale essi l'hanno; è alla libertà civile e politica che essi mirano.

La libertà, che nel campo morale individuale è un affare individuale, inviolabile, insopprimibile da qualsiasi tiranno, diventa, nel campo politico, un affare esterno, interindividuale: libertà di porre in essere azioni esterne che siano conformi alla propria interna libertà morale.

Il problema della libertà in questo senso politico nasce dunque dalla società; nasce dai rapporti esterni, sociali, dove può presentarsi il pericolo di conflitti di opposte volontà di soggetti differenti e dunque la necessità di stabilire qual è nei rapporti reciproci quell'ambito di libera attività che ad ognuno deve essere riconosciuto, affinché possa esplicarsi nel miglior modo la sua vita morale, senza con ciò impedire l'esplicazione della vita morale altrui.

Ecco dunque che per Calamandrei, il problema della libertà, appena si sposta dal campo morale al campo politico, diviene un problema di limiti. La libertà politica non si può concepire se non limitata. Per assicurare a ciascuno un certo campo di libera attività pratica, bisogna arrestare ai confini di esso l'attività degli altri, e così reciprocamente. I cosiddetti “diritti di libertà” si riducono tutti quanti a limitazioni pratiche di quello che i consociati possono fare e non possono fare entro la propria sfera individuale per non invadere la sfera della libertà altrui.

Con altre parole, Calamandrei, affermava lo stesso concetto scrivendo che «l'idea di libertà infatti, non appena si cerca di tradurla dall'interno della coscienza nel campo pratico delle attività esterne, si associa inscindibilmente, fin quasi a identificarsi, coll'idea del diritto, che è insieme garanzia e limite di essa libertà»4. Per garantire al singolo l'esercizio indisturbato della sua libertà è necessario che lo Stato assegni alla sua attività una zona individuale vietata ad altri, ma allo stesso tempo delimitata dalla cerchia delle altre zone individuali confinanti, dove regna la libertà altrui; in tal modo, diritto e dovere finiscono per divenire due facce della stessa medaglia: il diritto rappresenta la garanzia che permette alla libertà di esplicarsi entro il proprio

ambito, il dovere rappresenta il limite che nega la libertà oltre il confine, al di là del quale inizia il diritto altrui.

L'idea che Calamandrei aveva della libertà è molto vicina a quella di John Locke il quale sosteneva che sono le leggi che garantiscono la libertà degli individui: in altri termini è grazie alla presenza della legge, che indica ciò che è permesso e ciò che è vietato fare, che gli individui possono dirsi liberi di compiere certe azioni. Il cittadino è libero laddove ciò che egli vuol fare è permesso dalla legge.

Dunque per Locke la libertà non è assenza di legge. Laddove non vi è legge, non c'è libertà, ma violenza. Libertà vi è laddove la legge protegge le azioni individuali. Affermava che «Il fine della legge non è di sopprimere o limitare la libertà, ma di conservarla e ampliarla; infatti in tutte le condizioni in cui possono trovarsi gli esseri creati capaci di legge, dove non c'è legge non c'è libertà. Libertà significa infatti essere liberi dal vincolo e dalla violenza degli altri, ciò che non può darsi laddove non c'è legge»5.

Una concezione questa che si discosta da quella del filosofo inglese Thomas Hobbes per cui la libertà sta tutta nell'assenza di leggi. La libertà dunque «dipende dal silenzio della legge. Nei casi in cui il sovrano non ha prescritto alcuna norma, il suddito ha la libertà di fare o non fare, a sua discrezione»6. La libertà del cittadino non è altro che lo spazio lasciato libero dalla legge: il cittadino pertanto, secondo Hobbes, è libero laddove ciò che egli vuol fare non sia vietato dalla legge.

7.1.2 La certezza del diritto

Affinché il singolo possa liberamente determinarsi e possa conformare la sua condotta esterna alla regola giuridica, posta come garanzia ed allo stesso tempo come limite della sua libertà, bisogna che tale regola preesista all'azione e che sia conosciuta in anticipo da colui che a tale regola è invitato ad uniformarsi. Occorre che il diritto sia certo, che vi sia cioè la possibilità pratica di conoscere, prima di agire, ciò che è permesso e ciò che è vietato, la possibilità di conoscere «quali sono i

5 Locke J., Il secondo trattato sul governo, traduzione di A. Gialluca, Rizzoli, Milano, 1998, p. 57 6 Hobbes T., Leviatano, a cura di A. Pacchi, Laterza, Roma-Bari, 1989, p. XXI

limiti esterni entro i quali ciascuno può nel vivere sociale esercitare la sua libertà senza violare la libertà altrui»7. La certezza del diritto è una fondamentale esigenza di ogni convivenza civile: essa significa per il singolo certezza dei limiti della propria libertà, certezza dei propri diritti e doveri.

Le limitazioni della libertà individuale imposte ad ogni cittadino, hanno come corrispettivo sia la sicurezza di potere agire con libertà entro tali confini sia la sicurezza di potere contare sull'aiuto della pubblica autorità per respingere ogni invasione indebita nella propria zona di libertà.

Citando le parole di Beccaria secondo cui «ogni cittadino deve sapere quando sia reo o quando sia innocente», Calamandrei scriveva che è meglio una legge formulata in modo così preciso da non lasciare margine all'arbitrio del giudicante, che una legge che per la sua formulazione elastica e generica possa adattarsi caso per caso ai variabili umori di chi deve applicarla8.

Qui ci si può ricollegare a quanto Calamandrei scriveva in un altro scritto intitolato “La certezza del diritto e le responsabilità della dottrina” pubblicato nel 1942 dove affermava che «dottrina e giurisprudenza servono ad avvicinare agli uomini la certezza del diritto»9. L'opera del giurista deve servire a rendere più agevole l'applicazione della norma giuridica al singolo caso concreto e dunque ad aumentare, con le sue sistemazioni, il grado di certezza del diritto ed a mettere quindi il singolo in condizioni di calcolare anticipatamente le conseguenze delle sue azioni.

Dunque il giurista svolge un'opera chiarificatrice che serve ad accrescere il grado di certezza della norma. L'opera chiarificatrice del giurista può considerarsi come lotta contro l'arbitrio. Nei vuoti lasciati dal legislatore il giurista inserisce altre previsioni che riducono in limiti sempre più ristretti il campo della imprevedibilità. «Entro lo schema necessariamente generico di ogni norma formulata nei codici, i teorici mettono in evidenza, quasi rivelando i particolari di un disegno di cui all'inizio apparivano solo gli estremi contorni, una pluralità di regole sempre più ristrette, sempre più aderenti alla configurazione concreta dei casi della vita, sempre meglio idonee a lasciar prevedere gli effetti giuridici che potranno scaturire dal

7 Calamandrei P., Opere giuridiche, cit., V. III, p. 61-62 8 Ibidem

comportamento del singolo»10.

Questo lavoro di moltiplicazione delle previsioni entro gli schemi fissati dalla legge, serve, man mano che si perfeziona, a limitare sempre più il campo dell'imprevisto e dell'arbitrario e dunque contribuisce ad accrescere la certezza del diritto e con essa il sentimento della libertà.

«Là dove il cittadino non è messo in grado di leggere come su una chiara tabella la preventiva valutazione giuridica della sua futura attività, ma deve attenderla dal successivo ed aleatorio beneplacito dell'autorità, ivi non può essere né libertà né diritto»11.

Se il diritto non è caratterizzato da preventiva certezza, anche coloro che hanno la buona volontà di obbedire ad esso, non sono praticamente in grado di farlo. Perché ad un comando che non dica con chiarezza cosa si può fare e cosa non si può fare non è possibile obbedire.

Questa anticipata certezza è quindi un requisito formale che riguarda il modo in cui il diritto si manifesta e si esprime ai consociati.

Ci si chiede quindi: qual è la forma con cui il diritto deve manifestarsi per dare ai consociati questa preventiva certezza? Quali requisiti di forma il diritto deve avere per essere chiaramente appreso da coloro ai quali è indirizzato, in modo da renderli certi del suo contenuto?

Nel documento Il pensiero giuridico di Piero Calamandrei (pagine 168-172)