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Solidarietà sociale: storia, teorie e pratiche

2.2 Il dibattito scientifico sul termine e suoi dualism

2.2.2 Fatto o norma

Il secondo grande dualismo presente nel concetto di solidarietà è quello fra prescrittivo e descrittivo, tra fatto e norma morale e giuridica.

La sociologia classica vorrebbe emancipare dalla morale il concetto di solidarietà, tramite l’elaborazione del concetto di legame sociale, fondante l’integrazione societaria realizzata per via della differenziazione sociale. Ma a questa concezione fattuale della solidarietà si affianca una concezione più soggettiva e morale intesa come personale predisposizione alla collaborazione verso gli altri esseri umani. Ota De Leornardis (1998, 59) individua queste due componenti della solidarietà:

Va ricordato anzitutto che la nozione di solidarietà assume significati diversi in diversi contesti di discorso; in particolare il suo uso di senso comune, in cui essa designa una disposizione morale ed è sinonimo di altruismo, è diverso dalla sua definizione scientifica, introdotta e codificata in particolare dalla sociologia, in cui essa è sinonimo di connettivo sociale.

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I primi dibattiti che diedero origine al termine così come è usato oggi riportano l’oscillazione fra prescrittività e descrittività, fra solidarietà come fatto e solidarietà come fine morale, in un tentativo costante di avvicinare i due piani di discussione (Blais [2007] 2012). Ancora oggi quando vi è un richiamo alla solidarietà vi è da un lato il presupposto che la solidarietà sociale fra uomini sia “naturale” e dall’altro si auspicano azioni prescrittive da parte dei governanti perché questa solidarietà venga realizzata:

C'est que cette notion de la solidarité sociale est la résultante de deux forces longtemps étrangères l'une à l’autre, aujourd'hui rapprochées et combinées chez toutes les nations parvenues à un degré d'évolution supérieur: la méthode scientifique

et l’idée morale (Bourgeois [1896] 1902, 16).

Il modello di pensiero che sta dietro a questo tipo concetto, pur parzialmente definito, porta in sé come base la concezione della solidarietà come elemento descrittivo e prescrittivo della società. In Bourgeois, e negli autori cui si è ispirato, la solidarietà è fatto ed è norma, perché solo seguendo i suoi “principi” si può costruire una società dove vi è giustizia. Pecqueur ne l’Economia sociale distingue due solidarietà. La solidarietà naturale, o di fatto, e la solidarietà volontaria o di diritto. La prima tesa a dimostrare la dipendenza esistente fra gli uomini, la seconda che invece vuole operare sul piano morale per affinare o colmare le mancanze della solidarietà naturale.

Per Fouillé (1880) la contraddizione fra solidarietà come fatto, naturale esito della società, e come volontà, progetto normativo della società, non sussiste. Infatti, sostiene che la società è un «organismo contrattuale», un organismo che trova realizzazione pensando e volendo sé stesso, e il contratto ha precisamente come scopo quello di rendere «l’organismo più completo e più stabile» (Blais [2007] 2012, 186). Per Fouillé la solidarietà è un’“idea-forza”, un’idea così potente e persuasiva da tradursi essa stessa in azione. «Chi dice contratto dice solidarietà»: accettare la vita in società consiste nell’accettare gli obblighi che ne derivano, per questo vi è un debito in capo a tutti gli associati (ivi).

L’economista Gide, invece, afferma senza dubbio che la solidarietà appartiene al mondo dei fatti:

La solidarietà non è la libertà, non è l’uguaglianza, non è la fraternità, parole altisonanti, ideali di purezza: la solidarietà è un fatto, uno dei fatti più circostanziati, della scienza e dalla storia, la scoperta maggiore della nostra epoca. E questo fatto diventa ogni giorno più fondamentale (Desroche 1982, traduzione in Blais [2007] (2012), 213).

In questo senso Durkheim [1893] (1989), pur considerando la solidarietà avente una componente morale, non vuole «derivare la morale dalla scienza, ma fare la scienza della morale – cosa ben diversa». La divisione del lavoro ha quindi

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un valore morale, pur comportando un allentamento dei vincoli fra persone e una scienza della morale è necessaria per mantenere la coesione sociale.

L’idea di fondo è che la solidarietà sia in realtà un fatto sociale, che può essere però non sempre pienamente realizzato o può incontrare distorsioni, si ricercano quindi le cause dell’incompiutezza di questa solidarietà sociale, individuate storicamente nei fenomeni di anomia, burocratizzazione e alienazione.

Anche le linee di pensiero del funzionalismo normativo, la “questione morale” marxista e della chiesa, nonché il tema della giustizia (Zoll [2000] 2003, 129) rinviano alla dialettica che ha accompagnato la nascita e lo sviluppo del concetto di solidarietà, ossia se la coesione sociale sia realizzata per norme già esistenti nel sistema o se sia necessario un’opera morale, volontaria perché la coesione sociale sia realizzata.

La sociologia relazionale si inserisce in questa dialettica fra essere e dover essere, attribuendo in questo senso un ruolo etico alla sociologia in una società morfogenetica (Donati 2016; Ruggeri 2016). Donati (2016) sostiene che l’avalutatività della sociologia non comporta una sua presunta non eticità, ed osserva che qualunque discorso sociologico non è semplicemente orientato al valore (à la Weber) ma è anche in qualche modo influenzato dal valore, quindi l’analisi di qualsiasi fenomeno non elude un giudizio di tipo etico. Sebbene non sia il ruolo del sociologo stabilire cosa è etico e cosa no, la sua ricerca teorica ed empirica comporta in ogni caso una valutazione di qualche tipo sui fatti che può orientare l’agire. Quindi la valutazione che l’associazionismo aumenti il capitale sociale e quindi promuova la civicness comporta non solo un’osservazione tarata sui valori del ricercatore (orientato per la sua biografia personale e accademica verso quel tipo di soggetto di ricerca), ma comporta la valutazione positiva che l’associazionismo sia un bene in sé, perché promuove solidarietà e partecipazione alla vita civica, considerati dei “beni”. Questa riflessione può valere, in senso ampio, per la vasta tradizione tocquevilliana che considera l’associazionismo come “scuola di democrazia”. Similmente, anche se da una prospettiva teorica differente, nel marxismo l’associarsi della classe operaia è valutata come fatto positivo in sé, necessario alla costituzione di una società senza classi.

Se oggi la solidarietà è intesa in senso morale da alcuni, ancora prima veniva derivata direttamente dalla religione. Se ne possono quindi leggere interpretazioni anche in questo senso.

Lo scardinamento, operato dall’illuminismo, della religione come fondamento delle società aveva provocato negli studiosi della solidarietà una volontà di ricerca dell’armonia perduta. Se non vi è religione, cosa tiene insieme la società? La solidarietà. Questa però veniva intesa non solo in senso laico, ma anche come principio “panteista”, se non pienamente religioso. All’origine del

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dibattito, fra gli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento, troviamo Leroux, che si richiama all’essere universale, e Pecqueur, che fa riferimento alla religione cattolica. Per Leroux, la solidarietà umana è il passaggio successivo alla caritas cristiana. Ritiene infatti che superato il trauma per la perdita della religione, sia necessario trovare un nuovo principio cui fare affidamento per ritrovare «un principio regolatore che sia in grado di dare una direzione stabile alla società» (Blais [2007] 2012, 91). Scopo della legge di solidarietà è infatti perfezionare il cristianesimo, organizzando la società meglio di come non facesse precedentemente la religione (ivi, 96-100). All’opposto, il suo contemporaneo e amico Constatin Pecqueur, considera fondamentale la religione perché la solidarietà come fatto venga realizzata nella morale, e giudica «insensati sono coloro che pretendono di eliminare Dio dal governo del mondo e della Repubblica; e coloro che pretendono di fare di qualche spirito ateo o incredulo un buon patriota» (Blais [2007] 2012, 110). Anche Charles Gide vede nella dottrina della solidarietà l’auspicato collegamento fra scienze, dottrine filosofiche e sociologiche e la teologia cristiana.

Le prime riflessioni sulla solidarietà quindi, pur avendo in un certo senso lo scopo di una secolarizzazione della morale, all’origine sono difficilmente separabili religione, che essa sia esplicita o meno. Ancora oggi importanti filoni di ricerca sul Terzo settore, pur laici, affondano le radici e l’immaginario dello stesso in una elaborazione laica di principi etico-religiosi. Questo ad esempio vale per le teorizzazioni di un’economia civile e una sociologia relazionale, che sono appunto eticamente orientate verso un certo modello di società (Donati 2016). Non va dimenticato inoltre che, in Italia in particolare, l’universo associativo e del volontariato è per buona parte commisto con il modo ecclesiastico e molti volontari sono volontari religiosi o in associazioni laiche ma orientate al cattolicesimo.

Infine, anche al di fuori dell’universo religioso in senso stretto la solidarietà incarna per molti una religione secolare, la “religione dei diritti” di Durkheim (Marra 2006), la sacralizzazione del soggetto (Touraine [2004] 2015). Ed è questa considerazione che racchiude le critiche di Rorty al concetto: «La presenza della religione per la sua assenza, o presenza, è la premessa a chi compie discorsi sulla solidarietà universale» (1989).