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Individualizzazione e orizzontalizzazione Il volontariato individuale e la politica dell’individuo

Il mutamento del Terzo settore

G Istituzioni politico-amministrative

3.2 Individualizzazione e orizzontalizzazione Il volontariato individuale e la politica dell’individuo

Primo elemento da considerare per comprendere il cambiamento del Terzo settore e una sua ricomposizione è l’individualizzazione. Il processo di

individualizzazione, illustra Beck (1997), comporta da un lato il superamento dei

modi di vivere della società industriale e dall’altro la costruzione di nuovi modi, centrati sulla creazione individuale del proprio percorso di vita:

Individualization means, first, the disembedding of industrial society way of life and, second, the re-embedding of new ones, in which the individual must produce, stage and cobble togheter their biographies themselves. Thus the name «individualization». Both – disembedding and reembedding (in Giddens’ words) – do not occur by chance, nor individually, nor voluntarily, nor though diverse types of historical conditions, but rather, all at once and under the general conditions of welfare state in advanced industrial labour society, as they have developed since the 1960s in many western industrial countries (Beck 1997, 95).

È in generale «l’indebolimento dei tradizionali legami comunitari di tipo locale e ascrittivo (legami di sangue)» (Sciolla 2017) che ha attivato il processo di individualizzazione contemporanea.

La crisi del welfare state, si è detto, impone di riconsiderare le origini della solidarietà, oltre al ruolo dello Stato. La solidarietà, che era stata individuata nello Stato, celebrata e regolamentata con le costituzioni del dopoguerra, viene già rimessa in discussione. Lo sguardo si sposta così “in basso”: a livello dei movimenti, delle associazioni e del soggetto. Il superamento delle teorie sull’integrazione sociale corrisponde così all’emergere degli studi sui movimenti studenteschi del Sessantotto. Gli apparati regolatori perdono molte delle loro funzioni ordinatrici, e in questo senso solidali, e gli individui non hanno più fiducia nelle istituzioni. Proprio per questo, la modernità comporta una «crescente dissociazione fra sistema e attore» (Touraine [1997] 2009, 32). Il fenomeno viene definito da Touraine come una de-modernizzazione. Questo non va inteso come semplice momento disgregativo, in quanto:

Il crollo della società in quanto modello di ordine e integrazione provoca una crisi sociale, ma apre anche la strada alla ricerca di un nuovo principio di coniugazione di razionalità strumentale e identità culturale (Touraine [1997] 2009, 37).

Nell’analisi di Touraine il percorso affrontato che va dalla comunità alla società, caratterizzata da differenziazione e razionalizzazione, sta percorrendo una strada opposta. Un ritorno alla comunità, inteso come moltiplicazione di

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identità. Parallelamente, e slegato, l’agire strumentale, il mondo delle tecnologie e dei mercati, si diffonde a livello globale.

Caratteristica di questa de-modernizzazione è l’attenzione al soggetto. Non solo Touraine, ma grande parte della sociologia contemporanea riporta lo sguardo sugli individui e sui processi di individualizzazione.

L’individualismo aveva già caratterizzato la modernità, il dibattito di fine Ottocento sulla solidarietà si era concentrato non poco sul concetto di libertà dell’individuo da contrapporre a una solidarietà di gruppo ingabbiante e soffocante. La sociologia contemporanea tratta oggi nuovamente di individualismo, in una nuova veste. Il “nuovo individualismo” diventa oggetto di riflessione a partire dagli anni Ottanta. La nuova realtà in cui vivono le persone richiede di conciliare la spinta verso l’individuo con le pressioni conformanti delle istituzioni. Per questo secondo Beck ([1986] (2013), 137) «Il modo in cui si vive diventa la soluzione biografica a contraddizioni sistemiche», ovvero sarebbe sulle spalle del singolo individuo che ricadrebbe il declino delle istituzioni:

Il travisamento diffuso e per così dire individualizzato dell’individualizzazione si basa sull’assunto che l’individuo che orbita intorno a sé stesso sia anche autore della propria orbita. In tal modo si perde di vista che l’utopia della vita propria è forgiata nella struttura istituzionale del mondo occidentale. Insomma, l’individualizzazione va distinta chiaramente dall’egoismo (Beck [1986] 2013, 91).

Studiare l’individualizzazione comporta da un lato capire come si stanno ridefinendo i legami sociali, dall’altro come cambia il modo di partecipare dei soggetti. L’individualismo comporta una ridefinizione dei legami sociali, una ridefinizione della solidarietà e dell’agire individuale.

Il Terzo settore e il volontariato sono uno spazio che ben rappresenta l’attivazione del soggetto rispetto alle istituzioni e rispetto alla politica, in un momento in cui entrambe sono in crisi. È anche il luogo dove si riscontrano processi di nuova individualizzazione.

Gli studi sul volontariato degli anni recenti si sono concentrati su una dimensione individuale e non collettiva dei nuovi volontari. Ne hanno inoltre posto in luce le caratteristiche meno spontanee e più professionali. Un cambio del modo di agire e delle motivazioni alla base del volontario che si inseriscono in questo quadro di superamento della modernità. Un mutamento che implica un cambiamento nel rapporto fra singolo e istituzione, fra singolo e dimensione collettiva. È l’intero sguardo sui processi che cambia, anche le stesse statistiche orientano lo sguardo al volontariato individuale, rigettando come incompleta e tradizionale la dimensione collettiva del volontariato (vedi §1.2.3.1). Questo è

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ancora più interessante, non solo per poter quantificare il fenomeno, ma perché è sintomo di un generale cambio di sguardo nelle scienze sociali.

L’individualizzazione che definisce il nuovo volontariato ne mette in discussione le sue proprie caratteristiche. Tradizionalmente il volontario è colui che si impegna altruisticamente in un’attività a beneficio di altri. Non compie l’azione per sé, l’azione è “più altruistica”, meno beneficio ne trae per sé. Il compiere gesti volontari solitamente rientra in quei gesti orientati moralmente, che sono lontani dai comportamenti egoistici. Il volontariato viene caratterizzato da caratteristiche ideali quali la motivazione pro-sociale, la gratuità e la solidarietà. Queste caratteristiche “pure” del volontariato hanno fatto sì che fosse individuato come elemento fondamentale per definire il settore non profit, quell’elemento che definiva indiscutibilmente la sua solidarietà.

Il nuovo volontariato mette in gioco diverse caratteristiche, che combinano gratuità e reciprocità, altruismo ed egoismo. Nel trattare del dualismo della natura umana Durkheim evidenzia come questa doppia natura provochi una naturale sofferenza nell’uomo:

Rivolti alla nostra individualità, i nostri appetiti sensibili non possono che essere egoistici. […] Al contrario, l’agire morale si riconosce per il fatto che le regole di condotta a cui si adegua sono passibili di universalizzazione; persegue dunque, per definizione, dei fini impersonali. La moralità comincia soltanto con il disinteresse, cioè con l’attaccamento a qualcos’altro da noi […] non possiamo dedicarci a fini morali senza distaccarci da noi stessi, senza urtare le inclinazioni e gli istinti più profondamente radicati nel nostro corpo. […] Come potremmo appartenere interamente a noi stessi e interamente agli altri, e viceversa? (Durkheim [1914] 2009, 45-51).

Questo dualismo vuole ricomporsi in una sintesi diversa nella vita dei volontari individuali, Beck li considera “figli della libertà” che «uniscono termini apparentemente contraddittori: auto-realizzazione come impegno per altri, impegno per altri come autorealizzazione» (Beck [1994-1996-1997] 2000, 45).

Il mondo della solidarietà, abbandona la sua dimensione più collettiva e si avvicina proprio al soggetto:

Non dimentichiamoci però che anche i “legami deboli”, la partecipazione informale alla società civile, è un modo per essere socialmente attivi da quando l’impegno politico militante e l’identificazione in partiti e gruppi politici, a partire dagli anni Settanta, si sono quasi interamente dissolti. […] E la stessa partecipazione nelle organizzazioni di volontariato ha per lo più motivazioni che si possono senz’altro definire individualistiche, non solo nel senso che contribuire al benessere altrui è effetto e non causa di gratificazione personale, ma anche perché ragioni di questo tipo trovano una giustificazione nel discorso pubblico (Sciolla 2017, 41).

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Il processo di individualizzazione non porta obbligatoriamente alla costruzione di un individuo egoista o narcisista (Lasch 1992), ma esiste anche un

individualismo definito sociale da Sciolla (2017). «Chi considera importante la

difesa dei diritti civili (e sociali) è propenso a riconoscere agli altri gli stessi diritti e la stessa dignità: individualismo e solidarietà vanno, in questo caso, di pari passo» (ivi, 42).

Un fondamentale contributo nel senso dello studio dell’individualizzazione

degli stili di volontariato è il lavoro di Lesley Hustinx. Il suo studio si inserisce nelle

riflessioni degli anni Novanta e Duemila sull’individualizzazione e la modernità riflessiva (Beck [1994-1996-1997] 2000, [1986] 2013; Beck Giddens e Lash 1994; Bech, Bonß e Lau 2003, Giddens 1991, [1990] 1994, [1994] 2011), sul passaggio da un volontariato collettivo a uno individuale (Eckstein 2001), dalle cosiddette

membership association alle program-based (Meijs e Hoogstad 2001).

I lavori di Hustinx si inseriscono tra quelli che si occupano di ricercare una “teoria del volontariato”, proponendo una teoria ibrida che possa unificare e integrare i molteplici approcci allo studio del volontariato (Hustinx, Cnaan e Handy 2010). Anche se come evidenziano gli Autori altri autorevoli studiosi del campo come Wilson (2000) mettono in dubbio questa teoria possa avere senso o essere utile:

One problem is that the generic term “volunteering” embraces a vast array of quite disparate activities. It is probably not fruitful to try to explain all activities with the same theory nor to treat all activities as if they were the same with respect to consequences. The taxonomies of volunteering that are used to disaggregate volunteer work are folk categories (e.g., school-related, helping the elderly), and there is little reason to believe these categorizations are sociologically useful (Wilson 2000, 233–234).

Hustinx, Cnaan e Handy (2010) individuano tre problemi principali per poter definire un’unica teoria del volontariato. Innanzitutto, (i) il volontariato è un fenomeno complesso, dunque in primo luogo gli studi si concentrano solitamente su un particolare sotto-settore e manca una visione di sintesi, in secondo luogo quello che viene inteso come volontariato in un contesto, può non esserlo in un altro. Il secondo punto è che (ii) il volontariato è studiato da molteplici lenti disciplinari, che vanno dalla sociologia all’economia, la psicologia e il

management: trovare una prospettiva che soddisfi tutti sembra difficile. In

particolare, si contrappone a una visione del volontariato come lavoro non pagato – fatto su cui è basato l’intero sistema statistico che lo rileva –, una definizione di volontariato quale espressione di solidarietà, coesione sociale, democrazia (Putnam [1995] 2000, Wuthnow 1998). Infine (iii) le teorie del volontariato sarebbero viziate dalla ricerca di leggi generali: le “covering law” di DiMaggio (1995), ossia sono espressione di un mondo “in which variables

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explain one another” (ivi, 391). I molti studi sul volontariato infatti usano come predittori della partecipazione volontaria termini generici come capitale culturale o risorse sociali, il che non si discosta molto dalle osservazioni empiriche sul volontariato. Rischiano quindi di aggiungere poco alla comprensione del come e del perché, rimanendo sul piano della descrizione.

Uno dei contributi teorici di Hustinx alle teorie del volontariato è aver definito il fenomeno del volontariato cosiddetto riflessivo (Hustinx 2001; Hustinx e Lammertyn 2003; Hustinx 2010). In un articolo del 2003 Hustinx e Lammertyn descrivevano infatti un nuovo volontariato, meno stabile e più flessibile, individuale e votato all’autorealizzazione. La figura del volontario cosiddetto “riflessivo”, o individuale, si sta diffondendo nel Terzo settore italiano (Ambrosini 2016; Guidi, Fonović e Cappadozzi 2016; Ascoli e Pavolini 2017). Si tratta di un tipo di volontario propriamente figlio di una società tardo moderna (o riflessiva): si impegna individualmente e mette sé stesso e la sua autorealizzazione al centro. Desidera non essere vincolato a un’organizzazione, ma poter scegliere a quale attività dedicare il suo tempo, più che a un’etica di servizio, i volontari riflessivi sono guidati da un desiderio di stimolo, coinvolgimento personale e risultati concreti. Tutto ciò ha influenza sul tempo che viene dedicato all’attività volontaria, che è sporadica e informale; è infatti sempre possibile infatti che il proprio aiuto venga rivalutato. Ha influenza inoltre su quali attività vengono scelte: devono essere tematiche attuali, che fanno presa sull’opinione pubblica. Infine, ciò ha incidenza, come detto, sulle motivazioni: esse sono strettamente individuali, legate alla sfera dell'autorealizzazione.

Molti considerano questo mutamento la ragione per la quale alcune associazioni e ricerche lamentano una crisi del volontariato e della “tensione militante” (Ion 1998; Frisanco 2013); i dati ISTAT riportano una crescita decisa del numero dei volontari infatti, ma volontari individuali (ISTAT 2013), mentre per il resto sono le organizzazioni a crescere di numero (vedi §1.2.1.2).

Il volontariato individuale, non inserito in strutture gerarchiche e libero da vincoli temporali, si allontana dal concetto di spontaneismo che lo contraddistingue, è costituito infatti da soggetti che devono essere inseriti in una struttura gerarchica già solida e pre-esistente, la cui struttura “portante” non è costituita da volontari, bensì da personale pagato o professionalizzato oppure da strutture pubbliche esterne che ne indirizzo il modo di agire.

L’identità del volontariato diventa così fluida e negoziabile (Corchia e Salvini 2012). Il volontario si specializza in un «restringimento operativo e concettuale della solidarietà». Si creano così organizzazioni specializzate con identità forti, con un rischio di nuclearizzazione e frammentazione. Le organizzazioni con

mission più generale vedono messo in discussione il loro modo di agire. È

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(Psaroudakis 2011). Questo produrrebbe un rilassamento del concetto e della pratica della solidarietà secondo Corchia e Salvini (2012).

Del resto, anche gli studiosi che si sono occupati della mappatura del Terzo settore (Salamon Anheier e 1997; Salamon et al. 1999; Salamon Sokolowski e Haddock 2017), che anzi, secondo critiche di Moro (2014), hanno proprio contribuito a definire il non profit in sé come settore tramite il loro lavoro di classificazione, si interessano dei mutamenti delle basi motivazionali e dei tipi di volontariato. Di recente infatti il gruppo di studio sulla società civile della Johns Hopkins University ha intrapreso un lavoro di ricerca sul volontariato individuale.

Il volontariato riflessivo è modo di agire che si ibrida non solo con la sfera economica, ma anche con la politica. Questa politicizzazione del volontariato (Eliasoph 2013; Eikenberry 2019; Monforte 2020) è favorita da un contesto dove il confine fra politica e non politica non è più marcato. Beck viene in aiuto in questo senso con il concetto di subpolitica, un termine utile per superare gli “inganni” a cui può condurre intendere la politica in senso statico. Alle origini della società industriale infatti il confine del politico e del non politico era definito tramite il “cittadino diviso” fra citoyen, soggetto attivo nella sfera politica tramite le arene politiche individuate, e bourgeios, soggetto non politico interessato alla tutela dei suoi interessi individuali (Beck [1986] 2013, 256). Ma attenersi oggi a questa rigida divisione fra sfera politica-amministrativa e tecnica economica impedisce di osservare le «ondate di cambiamento in corso» (ivi, 258).

In questo senso il volontariato riflessivo, la cittadinanza attiva, l’attivismo possono essere intese in quanto forme di subpolitica, o meglio “nuova politica” in senso compiuto (Alteri e Raffini 2014). Vitale e Biorcio (2016) in effetti evidenziano come ormai il mondo dell’associazionismo italiano sia avviato sulla strada del superamento del collateralismo alla politica tradizionale. L’emancipazione del Terzo settore e l’acquisizione di un suo ruolo politico è però a sua volta messa alla prova da altre forme di ibridazione, ossia l’avvicinamento al mercato e allo Stato. Il rilevante ruolo politico del Terzo settore, inteso nel senso della sua capacità di creare antagonismo e conflitto, si è in parte indebolito dopo la crisi del 2008 per via della sua crescente necessità di adattarsi a strategie manageriali e mercantili o viceversa la sua crescente dipendenza dallo Stato (Busso 2018). Bosi e Zamponi (Bosi e Zamponi 2015, 2019; Zamponi 2019) rinvengono nell’azione sociale diretta uno spazio per la politicizzazione del quotidiano. Altresì veri e propri spazi di conflitto emergono contemporaneamente in aree considerate le meno conflittuali del Terzo settore: le organizzazioni umanitarie. Queste ultime vedono oggi un crescente antagonismo con le istituzioni e diventano più polarizzanti presso l’opinione pubblica (Reggiardo 2019).

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L’individualizzazione del volontariato, e più in generale della partecipazione sociale e politica, porta con sé la necessità di riflettere sul concetto di

orizzontalizzazione. Pirni e Raffini lo definiscono come segue:

Con il concetto di orizzontalizzazione ci riferiamo a un allentamento della prescrittività dei ruoli e a una loro diversa articolazione, che affida all’individuo un ruolo continuo e attivo di scelta e sintesi soggettiva, al punto di configurarlo come produttore, più che come riproduttore, delle relazioni sociali (Pirni e Raffini 2018, 8).

Marzano e Urbinati (2017) sostengono che l’orizzontalità sia una caratteristica della democrazia; è il superamento del principio di autorità infatti che svincola dalle strutture precedenti e permette di agire in una società di uguali; il principio di orizzontalità costituisce la stessa ragione di critica della democrazia, porta infatti apparentemente anarchia, disordine e mancanza di direzione. L’individualizzazione liberando gli individui, insieme a un principio di solidarietà intesa sia come riconoscimento dell’altro che come dimensione di relazione e progettazione comune, sono quindi ciò che porta al superamento del principio di gerarchia.

Contributo importante in questo senso lo portano gli studi dei movimenti sociali, che affrontando il tema della rottura delle gerarchie in conformazioni che vedono scambi più orizzontali che verticali. I movimenti in effetti sono riconosciuti come agenti di rinnovamento del politico e protagonisti del ricollegamento fra soggetti e istituzioni decostruite.

L’orizzontalizzazione delle relazioni d’altra parte cambia le dinamiche di potere e comporta un certo grado di rischio di frammentazione dell’agire. Le strutture sono più deboli, le relazioni aperte e in costante cambiamento e infatti le tradizionali gerarchie e definizioni di classe sono in ridiscussione, i percorsi di vita più instabili e precari (Sennet [1998-1999] 2017; Castel [2009] 2015; Standing [2011] 2012), necessitano un nuovo rapporto con le strutture di welfare e con la politica. Il percorso dell’orizzontalità che contribuisce alla ricostruzione del sociale non ha un risultato che si possa anticipare naturalmente, se mette in evidenza una rielaborazione del sociale, non è scontato la direzione sia quella orientata ad una società più aperta, uguale e orizzontale (Marzano e Urbinati 2017), ma viceversa può aiutare a rafforzare disuguaglianze e squilibri di potere che vadano a scapito degli individui “per difetto” di Castel ([2009] 2015), i quali sono privi delle risorse per contribuire ed essere protagonisti della co-costruzione della società orizzontale.

In conclusione, i processi di individualizzazione e orizzontalizzazione sono da leggere come fenomeni più complessi che semplici fenomeni di allargamento del rischio e della precarietà, delineano infatti un percorso verso la ri-costruzione

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dei legami sociali e della ricucitura della relazione soggetto e istituzione. Grazie alla ricerca empirica sarà possibile osservare queste dinamiche e come esse trasformino il campo dell’advocacy e della tutela dei diritti.

3.3 Mercatizzazione, professionalizzazione e burocratizzazione del Terzo