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Fiducia e conflitto nel Terzo settore Stigmatizzare la solidarietà

Il mutamento del Terzo settore

G Istituzioni politico-amministrative

3.4 Fiducia e conflitto nel Terzo settore Stigmatizzare la solidarietà

Nel vecchio modello comunicativo si accettava o addirittura si cercava la gerarchia e l’autorità. Non si sottoponevano a esame le asserzioni di persone e istituzioni che godevano di un determinato anticipo di fiducia, lealtà, spesso

58 Ho discusso della stigmatizzazione delle ONG e dei volontari nel contesto della crisi migratoria europea anche in A. Reggiardo (2019), Distrust and Stigmatization of NGOs and volunteers at the time of the European Migrant “crisis”. Conflict and implication on social solidarity, Partecipazione & Conflitto, 12(2): 460-486; inoltre ho trattato del legame tra fiducia e mutamenti del Terzo settore in A. Reggiardo (2020), Fiducia e mutamenti nel Terzo settore,

164 legittimato dalla tradizione. Sono cose passate. Ciò è dimostrato da un generale calo della lealtà […] (Zoll [2000] 2003, 183).

Un aspetto finale che intendo prendere in considerazione circa le trasformazioni del Terzo settore è il mutamento della sua rappresentazione presso l’opinione pubblica e come cambia la fiducia che viene riposta nello stesso. Questi elementi consentono di poter affrontare anche considerazioni sulla sua conflittualità e possibile ripoliticizzazione della solidarietà.

Le istituzioni moderne sono fondate sulla fiducia delle persone nei sistemi astratti. Giddens ([1990] 1994) definisce “nodi di accesso” quei soggetti con cui ci interfacciamo per avere accesso al sistema astratto. Da queste persone, i nodi di accesso appunto, ci attendiamo comportamenti codificati che rientrano in una condotta tipica che rappresenti l’istituzione di cui sono parte. Si può immaginare questo anche per il Terzo settore, che esso fornisca effettivamente un prodotto o un servizio, o che porti avanti mobilitazioni o manifestazioni per un diritto o un tema che consideriamo importante. Il fatto che il settore sia professionalizzato significa anche che ci aspettiamo certe condotte da chi opera in questo campo. Non tutte le condotte sono visibili naturalmente, ma esiste una scena e un retroscena: «il fatto di padroneggiare il labile confine tra scena e retroscena fa parte dell’essenza stessa della professionalità» (Giddens [1990] 1994, 91). Il retroscena permette non solo agli esperti di esercitare la loro professione, ma anche di non rivelare errori e casualità. Oggi però il mondo è caratterizzato da una «destrutturazione generalizzata delle organizzazioni, delegittimazione delle istituzioni, estinzione dei maggiori movimenti sociali e da espressioni culturali effimere» (Castells [1996-2000] 2014, 3). Lo sviluppo di una consapevolezza dei limiti del sapere esperto insieme alla consapevolezza del rischio e della sua diffusione rimettono in gioco il tema della fiducia, che deve partire da un processo di apertura dell’Io nei confronti del prossimo. La relazione con i punti di accesso, ad esempio i volontari o i dialogatori, può rendere vulnerabile o rinforzare la fiducia nei confronti del Terzo settore.

La fiducia nel Terzo settore intesa come una fiducia generalizzata nel mondo dell’associazionismo, viene coinvolta in questi processi di riflessività e ricostruzione della relazione fra io e istituzione.

È necessaria una certa flessibilità definitoria riguardo al Terzo settore, dal momento che non profit, Terzo settore, società civile, ONG, advocacy, volontariato, come affrontato, sono termini di cui si è tentata in diversi modi una definizione, e al momento se ne possono definire gli scopi e il ruolo, ma difficilmente i confini – che al fine di questa tesi non sono poi così determinanti –. Quello che raggruppa questi elementi è il loro specifico legame con il concetto di solidarietà. La solidarietà è la ragione costitutiva del loro esistere e influenza e agisce sulla loro organizzazione e modo di agire.

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Farò spesso riferimento a ONG e movimenti sociali, dovendo trattare di fiducia nel Terzo settore, perché è tramite questi che si è identificato il ruolo espressivo del Terzo settore, la letteratura quindi che prende in considerazione la fiducia e la conflittualità è legata a questi temi. Del resto, mentre in Italia e Francia c’è una distinzione fra “mondo delle associazioni” e ONG, questa distinzione si fa meno netta in contesti anglosassoni, dove assume il significato più ampio di tutto ciò che non è governativo ad eccezione dei sindacati (Aguiton 2001). La letteratura delle relazioni internazionali spesso fa riferimento a questa seconda accezione del termine ONG, intendendola come in generale tutti i modi di agire collettivo a fini di advocacy. Facendo riferimento a questa letteratura, che molto si è concentrata sul ruolo della fiducia nelle ONG, sarà inevitabile adottare in questo paragrafo questo modo di intenderle.

La tendenza generale testimonia un calo di fiducia nelle istituzioni tradizionali, frutto del processo di individualizzazione analizzato in precedenza (§3.2), si riscontra oggi anche nelle organizzazioni di Terzo settore. Sebbene l’emersione di una società civile più forte sia considerato sintomatico dell’arretramento delle istituzioni e della politica, ora anche forme organizzate – ma non solo – della stessa sono viste con un occhio certamente più critico.

Circa vent’anni fa, in corrispondenza della nascita dei “nuovi movimenti sociali” il ruolo delle ONG era certamente differente, seppure in parte integrato a quello dei movimenti sociali tout court.

Solo nel 2001 le ONG erano «centri di studio e analisi, i think tanks di sinistra che pubblicano inchieste e newsletter elettroniche» (Aguiton 2001, 135-136), il loro ruolo nel panorama internazionale era considerato come assolutamente privilegiato:

[…] Non c’è un solo discorso di un responsabile delle istituzioni internazionali che non parli bene delle Ong. Non esiste una conferenza senza la presenza delle Ong. Gli organizzatori del Forum economico di Davos ne hanno invitate sessantanove, e costituivano il punto forte della sessione 2001. Il riferimento alle Ong è sempre legato alla “società civile” di cui sono un’emanazione. Nella gerarchia simbolica, gli stati e i partiti politici, ma anche i sindacati e i movimenti sociali (considerati però, come troppo conflittuali), si collocano alla base della piramide, a vantaggio della società civile rappresentata dalle Ong e, anche se non lo si dice troppo forte, delle imprese. La funzione ideologica di una simile posizione da parte delle istituzioni internazionali è evidente. Cavalcando l’opinione pubblica, spesso favorevole alle Ong, si può recuperare una parte del movimento di contestazione che rischia di delegittimare le istituzioni internazionali. Ma le Ong possono anche fiancheggiare governi, come succede negli Stati Uniti.

Il posizionamento delle ONG rispetto a governi e opinione pubblica è oggi molto cambiato. La crisi migratoria ha certamente un ruolo importante nel loro

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differente posizionamento. Emblematico di questo cambio di passo è il rapporto “Risk Analysis” del 2017 di Frontex – Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne, che per la prima volta associa ufficialmente i trafficanti libici alle ONG, notizia che era emersa inizialmente da un articolo del Financial Times59.

Paesi dell’area russa e dell’ex URSS da tempo prevedono normative severe se non punitive nei confronti delle ONG. Nel 2018 in Ungheria è stata approvato il pacchetto di leggi chiamate “Stop Soros”60, con disposizioni volte a modificare il

Codice penale, le leggi di polizia, le leggi sull’asilo e il controllo dei confini. La Russia e altri Paesi quali Ucraina, Polonia, Bielorussia hanno rafforzato le norme restrittive sull’accountability e la raccolta fondi. Nel 2012 in Russia è stata emanata la “foreign agent law” – On Amendments to Legislative Acts of the Russian Federation

regarding the Regulation of the Activities of Non-profit Organisations Performing the Functions of a Foreign Agent –. Questa legge prevede per le organizzazioni che

ricevono donazioni straniere e si impegnano a livello politico di doversi dichiarare e registrare come “foreign agents” (Tysiachniouk, Tulaeva e Henry 2018). La definizione di impegno politico è molto ampia, in quanto considera qualunque attività capace di influenzare l’opinione pubblica, in pratica qualunque attività di advocacy61.

Questo cambio di passo nel considerare le ONG non più degne di fiducia ha inciso sui volontari e gli attivisti delle stesse. Lo stigma, fino ad oggi in massima parte attribuito alle minoranze e ai gruppi deboli, sembra estendersi anche agli operatori umanitari che vorrebbero sostenerli. La solidarietà viene così perseguita dalla legge, considerata invece che fattore di coesione elemento di disordine e illegalità.

Ad oggi parte della letteratura denuncia una crescente pressione nei confronti della società civile in diversi Paesi, tale da comportare una restrizione degli spazi per essa (Buyse 2018). Amnesty International negli ultimi anni ha redatto due report che denunciano i rischi di una compressione del diritto di associazione, assemblea ed espressione a livello globale: Human rights defenders under threat – a

shrinking space for civil society (2017) e Laws designed to silence: the global crackdown on civil society organisations (2019):

59 D. Robinson, EU border force flags concerns over charities’ interaction with migrant

smugglers, Financial Times, 15 dicembre 2016.

60 George Soros, magnate ungherese presidente della Open Society Foundation, al centro di diverse “teorie del complotto” per via del suo attivismo liberale e i suoi finanziamenti ad organizzazioni di diritti umani a livello globale.

61 Il termine “agenti stranieri” ha connotazioni negative evidentemente, legate al passato comunista russo – e per altro sta riprendendo uso negli Stati Uniti –.

167 Over the last two years, almost 40 pieces of legislation have been either put in place or are in the pipeline restricting the activities, resources and autonomy of civil society organizations in all regions of the world […]. This shows an alarming global trend that has surfaced over the last decade in which those in power have acquired sweeping powers to control, ban and criminalize certain activities in a discriminatory manner and without legitimate reasons, as well as to target those who oppose government policies or who defend marginalized groups (2019, 37).

Nel 2018 anche lo Special Rapporteur on extrajudicial, summary or arbitrary

executions delle Nazioni Unite ha scritto un report dal titolo Saving life is not a crime. Il rapporto riguarda la «criminalization and targeting of humanitarian

services and actors arising from activities to fight terrorism and deter migration and from the outlawing or stigmatization of sexual and reproductive rights».

Differenti report riferiscono sulle crescenti repressioni penali nei confronti di attivisti e volontari per i diritti umani (Fekete, Webber e Edmond-Pettitt 2017; Lunaria 2017; Maccanico et al. 2018; Amnesty International 2017, 2019; Médecins sans frontiers 2018). Il discorso si sta polarizzando in un’opposizione fra umanitarismo e securitarismo, da cui emerge una crescente stigmatizzazione di ONG e volontari da parte dei governi.

La tensione non è solo nell’asse ONG e governi ma si vede anche fra opinione pubblica e ONG, volontariato e Terzo settore.

L’Eldeman Trust Barometer nel 2018 testimonia il calo della fiducia in 14 mercati su 28. L’Italia che vede crollare la fiducia nelle ONG di 13 punti percentuali (da 59 a 46). Nel 2019 continua ad essere il paese con maggiore perdita di fiducia perdendo ulteriori 2 punti nel 2019 (44), sebbene la fiducia cresca per la maggioranza dei “mercati”. Il dato non è riferibile solo alle ONG, certamente più facilmente oggetto di critiche per via delle dimensioni e della visibilità ma l’intero mondo del Terzo settore, compreso il volontariato.

I dati Eurispes mostrano un calo della fiducia nel volontariato: dal 2007 al 2020 sarebbe calata dal 78.5% al 70%. Differenti rapporti di IPSOS mostrano un calo della fiducia nel non profit, che diventa fra gli enti non economici uno di quelli depositario di minor fiducia da parte degli intervistati62. Inoltre, il Forum

Terzo Settore negli ultimi anni ha denunciato l’aumento della sfiducia degli italiani nei confronti del Terzo settore, attribuendone la causa alle campagne di delegittimazione di parte della politica63.

62 Si vedano le note 34 e 35.

63 Cfr “Non mi fido” di chi è la colpa?, di Claudia Fiaschi, Portavoce Nazionale Terzo Settore, in “inserto buone notizie” del Corriere della Sera, 16 Luglio 2019. Nell’articolo la portavoce del Forum Terzo settore commenta l’indagine IPSOS Italia di Nando Pagnoncelli che evidenzia un calo della fiducia nelle ONG e nel non profit.

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Certamente chi è stato maggiormente attento a questa crisi di fiducia nel settore e le possibili ripercussioni sul capitale reputazionale delle associazioni di

advocacy sono gli studiosi di relazioni internazionali. Mentre la prima letteratura

era sostanzialmente focalizzata sull’impatto delle campagne di advocacy nella politica internazionale, lo sguardo si è successivamente spostato sul funzionamento della singola organizzazione e le sue possibili disfunzioni. Gli ultimi studi si sono concentrati tanto sull’accountability, quanto sugli scandali e la malagestione degli enti, in particolare in relazione al rischio di perdita reputazionale e quindi di influenza nella politica internazionale. I diversi scandali e critiche sono stati discussi per quanto riguarda pratiche di malagestione e corruzione (Gibelman e Gelman 2001; Greenle, Fischer, Gordon 2007). Inoltre, anche comportamenti non illegali, ma moralmente sanzionabili, quali scarsa trasparenza, se non inganno nei confronti del pubblico potenziale sono risultati nella sempre maggior necessità di provare la propria correttezza di comportamento (Prakash e Gugerty 2010b; Hortsch 2010; Will e Pies 2016).

Questi fatti sono andati di pari passo anche con lo sviluppo di una letteratura più concentrata sul tema dell’accountability (Najam 1996; Cavill e Sohail 2007) delle organizzazioni di advocacy. Diversi autori considerano infatti che la fiducia e l’affidamento riposto nelle organizzazioni di Terzo settore sia fondamentale per il raggiungimento della loro mission (Hyndman e McConville 2018).

Per quanto infatti non possano considerarsi pratiche diffuse queste toccano un settore che è considerato nel suo insieme a livello di pubblico e di media e pertanto un singolo scandalo può certamente incidere sulla reputazione dell’intero universo associativo. Autori come Crack (2013) e Hielscher et al. (2017) hanno espresso queste paure, sostenendo che questa serie di scandali imponga una riflessione non solo sulla accountability a livello strettamente legale, ma anche un’accountability di senso più ampio, mettendo in gioco il termine di “capitale morale” delle ONG. Secondo gli Autori, la soluzione a questo problema sempre più diffuso è definita in due livelli, in primo luogo identificando il problema, che può essere o di relazione con gli stakeholders oppure un problema di competizione con un'altra ONG, in secondo luogo andando in direzione di una contrattazione collettiva di auto-regolazione fra le ONG (Hielscher, Winkin e Pies 2016; Hielscher et al. 2017).

Dal punto di vista del ruolo politico del Terzo settore, laddove appare crescere una certa conflittualità diretta a sanzionare una solidarietà umanitaria, numerose organizzazioni, al di fuori delle questioni di maggior rilevanza politica, sembrano allontanarsi dalla vocazione politica e conflittuale del movimentismo e delle cooperative (Busso e Gargiulo 2018; Gargiulo 2019).

Cresce la sfiducia e si sta sviluppando stigmatizzazione verso le organizzazioni e le pratiche solidaristiche, al contempo le organizzazioni

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maggiormente resilienti, in particolare dopo la recente crisi, adottano comportamenti e obiettivi filo-statali o filo-mercantili per poter sopravvivere. In questo contesto è utile indagare sul campo le organizzazioni di advocacy e tutela dei diritti, per comprendere in che modo i mutamenti evidenziati possano avere implicazioni sulla solidarietà sociale.

Conclusioni al capitolo terzo

Alla fine di questo capitolo risulta più chiaro in quale modo sia in crisi la dimensione collettiva, la capacità di creare capitale sociale e la stessa spinta valoriale del Terzo Settore. Lori e Pavolini (2016) hanno evidenziato proprio l’indebolimento delle radici sociali del Terzo settore per quanto riguarda l’aspetto economico, identitario e culturale. La crisi ha rafforzato infatti dinamiche che vedono il Terzo settore italiano piegato fra spinte a una maggiore mercatizzazione da un lato e a una crescente dipendenza dallo Stato dall’altro (Busso 2018). Pertanto, le analisi compiute nei primi due capitoli, riguardo alla crisi della solidarietà, si possono estendere al Terzo settore. Invero, sebbene spesso la società civile sia individuata quale rimedio alle disfunzioni di Stato e mercato, anche questo è un campo dove si può osservare la crisi e il mutamento della solidarietà di cui ho trattato inizialmente, come anche dinamiche di sfiducia.

Posso dunque terminare questo capitolo con una sintesi degli elementi tramite i quali sono giunta a questa conclusione. In primo luogo, ho messo in luce in quale modo differenti letterature e ambiti di ricerca dalla fine degli Settanta hanno concorso nella definizione delle caratteristiche del Terzo settore. Con l’affermarsi di una modernità avanzata si è accelerato quel processo di differenziazione sociale che ha contribuito alla fuoriuscita del Terzo settore da un ruolo collaterale a Stato e mercato; si è progressivamente istituzionalizzato, professionalizzato e burocratizzato allontanandosi dalle forme di solidarietà più informali.

In secondo luogo, ho evidenziato le dinamiche di mutamento, brevemente presentate nel primo capitolo, che hanno comportato una messa in discussione delle caratteristiche strutturali del Terzo settore definite negli anni precedenti. La trasformazione del Terzo settore chiama in causa un mutamento del rapporto fra soggetti e strutture e la relazione fra persone. Se l’affermazione di una “società del rischio” (Beck [1986] 2013) è la conseguenza di un aumento delle libertà e delle scelte degli individui, la presa in carico della scelta chiama in causa la necessità di maggiore fiducia: Prandini afferma infatti che «la fiducia è necessaria solo dove è possibile esperire e agire in modo libero, cioè quando è possibile deludere le aspettative» (1998, 292). Allora, se la crescita della sfiducia nelle società contemporanee è un fenomeno ampiamente dibattuto (Rosanvallon

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2012), sembra che questa dinamica coinvolga oggi anche il Terzo settore e – si è visto nel capitolo secondo – la solidarietà. Vi sono infatti fenomeni di stigmatizzazione della solidarietà e mancanza di fiducia nei confronti di volontari, ONG e Terzo settore.

I prossimi capitoli esploreranno le dinamiche che ho iniziato a delineare tramite quanto ottenuto grazie alla ricerca sul campo. Nel seguente capitolo presento pertanto gli strumenti e le tecniche della ricerca empirica, di cui già ho tracciato i lineamenti fondamentali nel capitolo primo.

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CAPITOLO QUARTO