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Solidarietà sociale: storia, teorie e pratiche

2.2 Il dibattito scientifico sul termine e suoi dualism

2.2.1 Integrazione o conflitto

Fra coloro che pensano alla solidarietà solo come quella di un gruppo che abbia una controparte sociale, ci sono innanzitutto coloro che fanno riferimento alla solidarietà operaia, emergente dagli anni Sessanta del XIX secolo la quale compare successivamente al concetto di coesione sociale.

Per Marx la solidarietà operaia è l’elemento avversativo per eccellenza, la solidarietà è contro la classe borghese. Un’idea di solidarietà che voglia pacificare la lotta fra classi, e trovare una sintesi “organica”, può solo essere considerata il nuovo “nuovo vangelo sociale” che è il peggior nemico della classe operaia (Marx e Engels, 1848 [1979]):

Ed è così che gli operai cominciano a coalizzarsi contro i borghesi, riunendosi per difendere i loro salari. Essi fondano perfino delle associazioni permanenti, per rifornirsi dei mezzi di esistenza necessari in vista di eventuali lotte. Qualche volta la lotta diventa sommossa.

Di tanto in tanto gli operai vincono: ma è una vittoria passeggera. Il vero e proprio risultato delle loro lotte non è il successo immediato, ma è la sempre crescente solidarietà dei lavoratori. Tale solidarietà è agevolata dai mezzi di comunicazione, che la grande industria ha bisogno di far crescere, e collegano tra loro gli operai di località diverse. Basta questo collegamento perché le molte e varie lotte locali di carattere omogeneo si raccolgano e concentrino in una sola lotta nazionale e di classe (ivi, 112).

Marx non usa frequentemente il termine solidarietà, ricorre più spesso al termine associazione. Questo però poco ha a che fare con i corpi sociali intermedi - sindacati e altre associazioni –, i quali sono un ostacolo alla formazione di una classe operaia per sé, sono forze che indeboliscono la prospettiva di lotta. L’unica solidarietà possibile è fra gli appartenenti alla stessa classe in sé. Il conflitto non esisteva nella società primitiva e non esisterà nella società comunista poi e quindi rimane pur sempre il momento precedente al momento di ricomposizione.

104 estende la sua riflessione dalla cooperazione alla solidarietà che, a causa della divisione della società in classi, è sempre contro qualcuno il che, da un lato impedisce che si realizzi una solidarietà generale e, dall’altro, implica sempre dei comportamenti coatti come, per esempio, il dovere di partecipare, mediante il servizio militare obbligatorio, alla solidarietà nazionale oppure, mediante lo sciopero obbligatorio, alla solidarietà di classe (Mornati 2012, 665).

Solo tramite l’organizzazione si può costruire un libero conflitto politico fra differenti gruppi nelle moderne democrazie, ma la contropartita è, notoriamente, il fatto che organizzazione significa anche oligarchia (1966).

Il concetto di solidarietà come elemento di contrapposizione non viene usato solo in riferimento alla lotta di classe e alla solidarietà operaia, ma anche da pensatori secondo i quali non può esistere solidarietà se non vi è un gruppo antagonista contro cui far valere la stessa.

Marcell Mauss [1923-24] (2002), nelle sue riflessioni sul valore del dono, concepiva la solidarietà come “solidarietà dei gruppi”, e in effetti auspicava un “ritorno all’antico” per la realizzazione del vero dono, e, quindi, della vera solidarietà. Pur erede di Durkheim, rigetta la distinzione fra solidarietà organica e meccanica, e rinviene il vero dono, il legame sociale, solo nelle società da lui definite arcaiche, quindi non soggette alla divisione del lavoro.

Come visto nella classificazione di Zoll, i differenti autori delle teorie del conflitto condividono questa posizione che concepisce l’integrazione come risposta di un gruppo a una minaccia esterna. In particolare, Simmel [1908] (1998) considerava il conflitto (tradotto da Streit o Kampf) come una fondamentale forma di interazione, anzi fondativa dell’associarsi. Egli ricerca quindi una forma positiva e non patologica del conflitto, nella capacità costruttiva del gruppo.

Anche lo studio dei movimenti sociali ha come base la logica del conflitto. In Touraine la società è un “campo di creazione conflittuale” ([1973] 1975, 88). I movimenti sociali sono costituiti dalla combinazione di tre principi, identità, opposizione e totalità. La ricerca di un nemico è quindi fondamentale nel definire la propria identità da un lato e arrivare all’affermazione del proprio dominio. Melucci (1989), suo allievo, ugualmente ritrova nei movimenti sociali l’espressione del conflitto sociale, la necessità di mutamento del sistema, pur ritrovando nell’individuo e nella ricerca della sua identità le motivazioni all’azione.

All’opposto di queste riflessioni altri autori considerano come la solidarietà abbia un senso solo quando inserita in una dimensione non conflittuale e

universale. I primi riferimenti a una solidarietà sociale di tipo universale nascono

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naturali e si basavano su un’interpretazione della società come un organismo complesso dove le differenti parti, superato il conflitto, potessero giungere ad una collaborazione comune. In questo senso, secondo molti, la solidarietà dei pari è solo il passaggio precedente alla realizzazione di una più completa solidarietà universale.

Leroux ritiene la solidarietà degli uguali, di coloro che si trovano nelle medesime avversità, come ad esempio quella dei lavoratori uniti nelle società mutualistiche, per via delle trasformazioni del lavoro portate dalla società industriale, come un esempio incompleto di ciò che è la vera solidarietà. La solidarietà vera unisce l’intera società in solido, in modo coeso, grazie alla sua dottrina laica organizzatrice. Ugualmente Constantin Pecqueur distingue nella società due differenti organismi: le società filantropiche dei ricchi e le società dei lavoratori. Queste ultime con scopi previdenziali o mutualistici sono per Pecqueur da analizzare come primo passaggio per una «solidarietà che sarà universalizzata, e perfezionata» (Pecqueur 1839, traduzione in Blais [2007] 2012, 105-106).

Anche Léon Bourgeois e Charles Gide, contemporanei di Durkheim, recepiranno il concetto di solidarietà come universale, fra tutti gli individui, portando, rispettivamente, il tema nell’arena politica ed economica. Nel pensiero di Bourgeois, il legame fra individui non è solamente in riferimento al gruppo, o fra individui eguali, ma comprende tutti gli individui e lega altresì le generazioni passate e future. L’uomo nascendo entra in associazione e prende parte a un’eredità tramandatagli dai suoi predecessori, riprendendo in questo le riflessioni di Auguste Comte «Nous naissons chargés d'obligations de toute sorte envers la société» (citato in Bourgeois [1896] 1902, 117). Da ciò deriverà il concetto di “debito” che ciascun soggetto ha nei confronti dei suoi predecessori:

Dès que l'enfant, après l'allaitement, se sépare définitivement de la mère et devient un être distinct, recevant du dehors les aliments nécessaires à son existence, il est un débiteur ; il ne fera point un pas, un geste, il ne se procurera point la satisfaction d'un besoin, il n'exercera point une de ses facultés naissantes, sans puiser dans l'immense réservoir des utilités accumulées par l'humanité (ivi, 118-119).

Tutto ciò che si riceve in vita è un debito ereditato da chi c’era prima di noi, per questo si dovrà impiegare la propria vita a ripagare questo debito, che sarà onorato per le generazioni future.

Le riflessioni su un rapporto solidale fra generazioni seguiranno ben oltre Bourgeois. Il tema è particolarmente sentito oggi, la fine dell’orizzonte di progresso e le crisi economiche, finanziarie e ambientali che vedono come principali protagoniste le nuove generazioni conducono a interrogarsi nuovamente sul debito generazionale.

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Charles Gide, teorico dell’economia solidale, sostenitore dell’associazionismo e delle società cooperative, rivede nell’idea di solidarietà quell’elemento di fatto che riesce ad esprimere il suo credo cristiano. Fonda la

scuola della solidarietà, strumento pensato per temperare l’estremo liberismo

economico dell’epoca, rafforzando il ruolo dello Stato per la distribuzione di diritti e doveri. Lo strumento per creare solidarietà era individuato da Gide nell’associazionismo e nelle cooperative: solo queste erano considerate capaci di cancellare la dicotomia fra lavoro e capitale grazie allo strumento della cooperazione. E Gide nella sua opera L’idée de solidarité en tant que programme

écomique, pubblicato nel 1893, riporta le tesi di Durkheim, l’idea di Gide è che la

vera solidarietà si realizza quando individui differenti collaborano fra loro, non c’è solidarietà solo fra chi ha comunanza di interessi, ma anzi è proprio la divisione del lavoro che può condurre alla reale solidarietà (Blais [2007] 2012, 210-224).

Durkheim, si inserisce a fine secolo in questo dibattito sulla solidarietà riportando nelle sue riflessioni la distinzione fra la solidarietà degli uguali e la solidarietà frutto della differenziazione del lavoro, le solidarietà meccanica e organica. Egli considerava la solidarietà meccanica tipica delle forme più primitive di società, individuando nella solidarietà organica la solidarietà nella differenza, ovvero una compiuta solidarietà sociale.

Fra i “discepoli” di Durkheim l’intero filone struttural-funzionalista proseguì nella direzione di una differenziazione sociale e un’integrazione fra sistemi. Emblematico di questa visione sistemica è il lavoro di Parsons. Parsons attribuisce maggior valore solidale, nel senso di efficienza di integrazione, al concetto di comunità societaria (1971-73), intesa come «complessa rete di differenti collettività e lealtà che si intrecciano» (Segre 2009, 53). Alexander (2005) evidenzia come il concetto di comunità societaria sia ambiguo e contraddittorio dal momento che Parsons non sembra distinguere fra integrazione e solidarietà (comunitaria) e non mette quindi in luce il potenziale conflitto derivato dell’integrazione gerarchica e orizzontale, sembra quindi supporre che la necessità funzionale della gerarchia per creare integrazione sia più importante del sentimento di solidarietà fra membri della società. Una società comunitaria così come concepita da Parsons può essere quindi integrata, ma non giusta, nel caso in cui gruppi o individui più deboli siano repressi da quelli più forti.

Appunto anche le teorie della giustizia si sono occupate di solidarietà, mosse come anche Durkheim alle origini, da una critica all’utilitarismo. In Rawls il concetto chiave è quello di equità, da conciliare con i principi di efficienza economica ([1971] 1989, 2001). In Habermas il “riconoscimento reciproco” permette di essere solidali con altri individui, ed è quindi il presupposto della giustizia, infatti «il punto di vista complementare rispetto all’uguale trattamento

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non è la benevolenza, bensì la solidarietà» (Habermas 1986, traduzione in Zoll [2000] 2003, 202).

Cohen e Arato, ispirati al lavoro di Habermas colgono «la sfida rappresentata per la solidarietà dalla differenza» (Zoll [2000] 2003) e cercano, al pari di quest’ultimo, di definire una teoria universale di giustizia da ricollegare al concetto di solidarietà:

Il principio della solidarietà perde il suo carattere etnocentrico se diviene parte di una teoria universale della giustizia e viene applicato alla luce dell’idea della formazione discorsiva di volontà. Gli argomenti trascendono i singoli, particolari mondi vitali (Cohen e Arato 1992, 383).

L’opposizione tra integrazione e conflitto si legge anche come l’opposizione tra soggetto e gruppo, tra libertà e solidarietà. La solidarietà e le sue teorie si scontrano infatti con il concetto di individuo e il processo di individualizzazione. Frutto dell’illuminismo non è solo la razionalità scientifica che ha portato al superamento della religione e la teorizzazione di teorie positiviste sulla società, ma l’illuminismo ha anche posto l’individuo al centro, razionale e padrone della propria soggettività. L’instaurarsi della modernità favorisce questo processo di individualizzazione e ricerca della libertà individuale.

L’industrializzazione e l’urbanizzazione, erodendo legami e identità ascritti, favorivano nello stesso tempo l’isolamento e l’aumento dei gradi di libertà individuale. L’individuo moderno, era sì sempre più atomizzato, ma poteva scegliere, in misura straordinariamente maggiore che in passato, anche le proprie appartenenze (Sciolla 2004, 67).

Proprio per via di questo contesto, buona parte di coloro che per primi hanno riflettuto sulla solidarietà erano liberali, almeno per formazione; liberali in parte “pentiti” che non riconoscendosi nel socialismo cercavano una terza via di compromesso fra liberalismo e collettivismo. Come scrive Bourgeois, nella solidarietà si vuole rinvenire il paradigma conciliativo fra libertà e dipendenza fra individui. Si ricercava l’equilibrio fra solidarietà e libertà individuale, per superare il timore, molto sentito da questi autori liberali, che la solidarietà divenisse un concetto castrante e limitante per l’individuo.

In Leroux ritroviamo l’importanza della conservazione del diritto individuale, secondo quest’ultimo la solidarietà permette, come miglioramento della carità o della fraternità, di proteggere l’individualità delle persone legate dalla solidarietà. Pecqueur, ottimista come Leroux, considera legittimo l’egoismo individuale, anzi auspicabile, perché è il proprio bene che va in direzione della solidarietà. Si tratta di educare le masse per far loro comprendere che in effetti la solidarietà corrisponde al loro medesimo interesse, e basta seguire la solidarietà naturale educando le persone, socializzandole alla solidarietà perché essa sia anche una solidarietà volontaria (Blais [2007] 2012).

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Questa contrapposizione fra libertà e coesione sussiste ancora oggi nelle riflessioni sulla solidarietà, si legge in Donati (2016, 57):

Ogni società deve far fronte a una intrinseca ambivalenza: da un lato, deve far capire agli individui che essi dipendono dalla collettività e che quindi l’orientamento altruistico deve prevalere su quello individualistico, ma nello stesso tempo deve spingere individui a mantenere un certo distacco dalle norme prevalenti in modo tale da poter sempre sviluppare anche proprie valutazioni e così garantire un certo grado di creatività, di innovazione e di ricerca del cambiamento da parte dell’individuo (corsivo dell’Autore).

In questo senso parte delle riflessioni ripartono dal considerare l’agire solidale del singolo come azione a beneficio di tutti. Si ricerca quindi la sintesi fra etica del soggetto e l’interesse generale della società. Sciolla lo definisce un “individualismo solidale” (Sciolla 2017). Arena, propone una «libertà solidale e responsabile […]» che «[…] contribuendo al perseguimento di un interesse generale […] coincide con l’interesse generale alla loro piena realizzazione come persone» (2006, XIV). Un ritorno al soggetto quindi come agente di reintegrazione con il sociale. Touraine in questo senso sostiene che per ricomporre «la statua della società […] oggi in frantumi» sia necessario fare appello ai diritti fondamentali dell’individuo:

Solo le forze che poggiano su una legittimità non sociale, come la difesa dei diritti umani, possono opporsi con successo alla guerra, anch’essa non fondata su principi propriamente sociali, definiti nei termini dell’interesse generale della società (Touraine [2004] 2015, 87).