3 MOVIMENTI SOCIALI: I PRINCIPALI NODI TEMATICI
3.1 Identità e frames
3.1.2 Frames
È infatti a partire dagli stimoli ma anche dalle lacune del Resource Mobilization Approach, e alla luce della “svolta linguistica” che ha interessato le scienze sociali negli anni Settanta, che sempre più studiosi dei movimenti iniziarono a concentrarsi sull’ideologia e non più soltanto sul rapporto costi/benefici su cui si basavano le precedenti analisi focalizzate sui social movement entrepreneurs (McCarthy & Zald, 1973, 1977) e sulla mobilitazione di risorse. Tale focus diventerà centrale presso i sostenitori dell’approccio legato ai New Social Movements. Grazie all’attenzione riservata ai frames, le due tradizioni hanno trovato un punto d’incontro (Donati, 1992; Lindekilde, 2014), la cui summa a nostro avviso più efficace è individuata da Fligstein & McAdam (2011, 2012) e dalla loro teoria generale degli strategic action fields, su cui torneremo più avanti nel corso del capitolo. Nell’analisi dei frames proposti da attori collettivi, non si può poi dimenticare il ruolo della tradizione di studi che va sotto il nome di Political Opportunity Structure e in modo particolare il concetto di
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& Terell, 2007; Bröer & Duyvendak, 2009). Con esso si vuole infatti sottolineare il fatto che si debbano tenere in considerazione il più ampio contesto e gli immaginari dominanti (Fairclough, 1992), al fine di comprendere come i movimenti si costituiscano quali signifying agents (Snow & Benford, 1988) in grado di utilizzare narrazioni già esistenti per proporre scenari alternativi (Snow & Byrd, 2007), nuovi “codici” (Melucci, 1984) e sfidare la doxa (Bourdieu, 1977).
Poste tali premesse volte a rivendicare la natura cross-paradigmatica del concetto di frame, si ricorda come quest’ultimo sia stato introdotto nelle scienze sociali da Erving Goffman (1974) ed ancor prima da Gregory Bateson (1955), e come la sua applicazione allo studio dei movimenti si debba essenzialmente a David Snow (Snow, Rochford, Worden, & Benford, 1986; Snow & Benford, 1988) e ad Alberto Melucci (1984). Ritroviamo di nuovo una differenza fra approccio statunitense e approccio europeo: nel caso della tradizione statunitense si è insistito sulle diverse nature dei processi di framing come trasferimento da istanza promossa da una leadership a quella incorporata da un più ampio spettro di individui. Pertanto i processi di framing viaggerebbero su 4 binari principali (frame bridging, frame alignment, frame extension, frame amplification), e le operazioni compiute dalle organizzazioni di movimento consisterebbero principalmente in tre momenti parzialmente distinti: diagnosi, prognosi, motivazione. Al contrario, Melucci ha sottolineato il carattere in qualche modo più spontaneo della formulazione di frames alternativi (o “altri codici”). Questa caratteristica sarebbe tipica dei cosiddetti nuovi movimenti sociali, per i quali la formulazione di “altri codici” sarebbe alla base della creazione di una political consciousness (Gamson, 1992) di natura collettiva. L’abilità dei movimenti consisterebbe, pertanto, sia nella formulazione di proposte drasticamente innovative, sia nella capacità di utilizzare codici già presenti nel discorso pubblico dominante, reinterpretandoli e riadattandoli alla necessità e agli obiettivi del movimento.57
È evidente come risulti spesso difficile individuare un singolo frame riferito ad un movimento sociale, dato che, trattandosi di realtà complesse, è piuttosto frequente che le diverse organizzazioni, i diversi gruppi e persino i diversi individui sviluppino cornici e approcci anche radicalmente in contrasto fra loro. Avviene, dunque, che tali anime non solo
57 Un esempio classico in tal senso è costituito dalla vicenda biografico-politica di Martin Luther King, il quale nella sua militanza per ottenere uguali diritti per i cittadini di colore, utilizzava frequentemente linguaggi e valori tipici delle élites liberali (bianche) statunitensi (McAdam, 1994).
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propongano differenti diagnosi del problema, ma individuino anche prognosi molto distanti, accompagnate da motivazioni all’azione altrettanto divergenti (Snow & Benford, 1988). A tal proposito, ci si riferisce solitamente al concetto di master frame, già presente in Snow & Benford (1988, 1992) e che ha ricevuto nuova linfa in seguito all’allargamento della base geografica dei movimenti sociali avvenuta negli ultimi anni, la quale ha comportato anche un aumento delle issues affrontate in comune da diversi attori collettivi (Bertuzzi & Borghi, 2015b). Secondo quanto proposto da Snow & Benford (1992, p. 138), “master frames can be construed as functioning in a manner analogous to linguistic codes in that they provide a grammar that punctuates and syntactically connects patterns or happenings in the world”: ovviamente, pur una volta stabilito il master frame di un movimento, è non solo plausibile ma assai frequente che questo trovi oppositori sia all’interno sia all’esterno del movimento stesso.58 In quest’ottica un ulteriore utile strumento euristico è rappresentato da quelli che Chesters & Welsh (2007, p. 135), prendendo spunto da Bateson e dalla produzione filosofica di Deleuze e Guattari, propongono di chiamare plateaux, ossia il “processo di messa in rete intensiva negli spazi materiali e immateriali che avviene intorno a punti nodali di contestazione o deliberazione” nei quali “prospettive critiche anarchiche, liberal, socialiste, libertarie, femministe ed antirazziste/imperialiste esistono in tensione creativa intorno alla definizione ed al perseguimento di obiettivi immediati e di più lungo termine del movimento globale” (Chesters & Welsh, 2007, p. 143).
In conclusione del presente paragrafo dedicato alla dimensione identitaria, pare corretto tornare brevemente sul ruolo assunto dalle emozioni individuali nelle motivazioni che spingono alla partecipazione e all’azione. Abbiamo già accennato al fatto che la dimensione emotiva, inizialmente posta al centro dall’analisi funzionalista che vedeva nei movimenti sociali un momento disfunzionale e in buona sostanza li spiegava in termini di irrazionalità, stia negli ultimi anni riacquistando una sua dignità. Tale corso e ricorso ciclico si inserisce in una più generale tendenza delle scienze sociali: dopo un periodo di generale sottovalutazione della dimensione emozionale, i lavori di Hochschild (1983) e Collins (1975) prima, e numerosi contributi femministi e queer più tardi, sono stati i precursori di un ritorno all’emozione caratteristico di svariati studi sui movimenti a partire dagli anni Novanta (Jasper, 1998, 2011; Goodwin & Jasper, 1999; Jasper, Goodwin, & Polletta, 2001; Latorre,
58 Utilizzando le note espressioni di Gamson (1975), si tratta dei cosiddetti challengers, contrapposti agli
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2005), e anche di un invito al recupero della dimensione emozionale proposto da importanti filosofi politici (Hardt & Negri, 2000, 2004; Laclau, 2005; Nussbaum, 2010, 2013).
Un ruolo centrale è certamente giocato dai nuovi media digitali, i quali danno maggior spazio alla dimensione emotiva della protesta e della proposta politica (Castells, 2012; Gerbaudo, 2012; Van Dijck & Poell, 2013; Papacharissi, 2014; Tremayne, 2014). Nel tentativo di conciliare tale centralità delle emozioni con l’approccio habermasiano volto a sottolineare la razionalità della sfera pubblica (sempre che tuttora una vera sfera pubblica continui a esistere), è stato recentemente proposto il concetto di affective publics (Papacharissi, 2014). Tale dimensione pare essere più immediatamente collegabile soprattutto ai cosiddetti nuovi movimenti sociali; si concorda tuttavia con Melucci (1996) sul fatto che in ogni movimento sociale trovi spazio una componente emozionale importante e che anzi “there is no cognition without feeling and no meaning without emotion” (Melucci, 1996, p. 45). Le emozioni non devono, perciò, essere viste soltanto nella loro dimensione individuale, ma divengono anche un importante canale per la produzione di discorsi, pratiche e identità collettive: in sintesi “emotions are not only necessary for potential protesters to recognize opportunities, but in many cases perceptions can create opportunities” (Goodwin & Jasper, 2004, p. 28). Tale osservazione ci conduce al secondo nodo teorico individuato: quello della politica e delle opportunità che i movimenti possono sfruttare in particolari contesti spazio/temporali.