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Scelta politica, moral shock o legami esistenti?

Nel documento ANIMALI  POLITICI. (pagine 135-140)

6   UNA PANORAMICA SU ASSOCIATI, ATTIVISTI E VOLONTARI

6.2   Scelta politica, moral shock o legami esistenti?

Oltre alle caratteristiche socio-demografiche, tramite il questionario strutturato abbiamo cercato di individuare le principali motivazioni che spingono gli individui a divenire membri di soggetti collettivi, seppur molto differenti fra loro, legati a cura, diritti, benessere e liberazione degli animali non-umani. Lo abbiamo fatto principalmente tramite una domanda in cui si chiedeva ai rispondenti di individuare le due principali ragioni che li hanno portati a

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impegnarsi in questo tipo di advocacy. Analizzando il campione nella sua interezza, come si nota dalla tabella 6.5, le risposte più frequenti sono risultate le seguenti: “tutela di interessi e diritti degli animali non-umani” e “amore nei confronti degli animali non-umani”, a testimonianza di un importante ruolo tuttora rivestito dall’aspetto emotivo presso gli animal advocates italiani. Sono invece risultate decisamente poco rilevanti le opzioni inerenti il rapporto con altri umani e le forme di affermazione identitaria, dunque quelle maggiormente legate a un approccio antropocentrico; tutto sommato, meno rilevanti anche le motivazioni di carattere più politico, come quelle facenti riferimento alle mancanze dello Stato e all’urgenza di una rivoluzione antispecista.

Tab. 6.5. – Motivazioni principali per occuparsi di cura, benessere, diritti, liberazione degli animali non-umani

Tutela di interessi e diritti degli animali non-umani 72,7%

Amore nei confronti degli animali non-umani 52,0%

Urgenza di una rivoluzione antispecista 30,8%

Necessità di far fronte a bisogni che lo Stato non soddisfa 21,3%

Affermazione di uno stile di vita animalista 10,2%

Possibilità di esprimere sé stessi 1,8%

Voglia di stare con altri individui (umani) e possibilità di incontrarli 1,0%

Fonte: nostro questionario animal advocates italiani, 2015.*

* Il totale non risulta 100, in quanto era possibile fornire un massimo di due risposte

In termini disaggregati sono poi emerse alcune differenze importanti in riferimento ad alcune delle risposte disponibili. Gli scostamenti più rilevanti sono quelli che adducono come principale motivazione l’“amore nei confronti degli animali non-umani”, particolarmente rilevante per l’area della cura (69%); e la “necessità di una rivoluzione antispecista” indicata soprattutto dagli antispecisti (55%). Paiono, dunque, emergere differenze ideologiche piuttosto marcate fra le diverse aree considerate. Il riferimento a sentimenti affettivi e alle lacune del settore pubblico espresse dall’area della cura ne sottolineano l’anima welfarista e, per certi versi, post-zoofila: l’amore nei confronti degli animali non-umani come motivazione fondamentale, più di questioni maggiormente “politiche”, è un elemento tipico di tale forma di advocacy. Al contrario, l’indicazione della volontà di una “rivoluzione” da parte dell’area antispecista, ne conferma la natura maggiormente radicale e conflittuale, e soprattutto mette al centro la componente politica, tramite il preciso richiamo a una sovversione dell’esistente e a

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un cambio di paradigma, e non invece a richieste rivolte alle istituzioni oppure a un sentimento caritatevole e affettivo verso le altre specie. Infine, l’affermazione di un’identità animalista è risultata essere parzialmente rilevante soltanto presso l’area protezionista (14,4% a fronte di percentuali ancor più basse delle altre due aree), confermandone dunque la natura più interessata all’esclusiva questione animale, senza la ricerca di connessioni con altre istanze e non certo desiderosa di mettere in discussione l’intera struttura sociale, ma piuttosto di migliorare specifiche situazioni tramite un’azione riformista.

Posto tale quadro in riferimento alle differenti ideologie e motivazioni alla base dei diversi tipi di advocacy, si ritiene corretta una precisazione inerente il ruolo delle emozioni nello studio dei movimenti sociali (Jasper, 1998, 2011; Jasper, Goodwin, & Polletta, 2001), e in particolare in riferimento al nostro fenomeno di interesse. Dai dati ottenuti emerge come, anche nel nostro caso, saremmo in presenza di un forte ritorno della componente emotiva, che sembra giustificare l’assimilazione degli animal publics (Blue & Rock, 2014) ai cosiddetti

affective publics (Papacharissi, 2014). 142 Pertanto, al netto delle macchiettistiche,

stigmatizzanti e generaliste rappresentazioni degli animal advocates quali individui utopisti e particolarmente sensibili (rappresentazioni spesso veicolate al fine di delegittimare le ragioni insite nelle loro istanze), si ritiene allo stesso tempo miope e scorretto tralasciare tale aspetto nell’analizzare la scelta di impegnarsi in questo campo (Jacobsson & Lindblom, 2013; Bertuzzi, 2015). Ciò sia perché convinti che le motivazioni, le esperienze e anche le emozioni individuali debbano trovare spazio nell’analisi sociologica, sia nell’ottica di un tema decisamente più complesso e che esula dagli obiettivi di questo lavoro, a cui dunque facciamo solo breve cenno: nel momento in cui tale forma di advocacy si pone, fra gli altri obiettivi, quello della rivendicazione della dimensione emotiva (anche se non esclusivamente di quella) di membri appartenenti ad altre specie, proprio nell’ottica di un abbattimento dei confini o quantomeno delle gerarchie interspecifiche, l’abbandono di una dimensione emotiva da parte degli stessi animal advocates sarebbe evidentemente contraddittorio (Andreozzi, Castignone, & Massaro, 2013; Bertuzzi, 2015).

142 Tale risultato si conferma, inoltre, in linea con la rivalutazione dell’aspetto emozionale che sta caratterizzando in anni recenti i Social Movement Studies, aspetto su cui ci siamo soffermati nel capitolo 3.

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6.2.2 Carriere animaliste

Passando dall’aspetto ideologico a quello dei legami esistenti, abbiamo indagato le

provenienze degli animal advocates e le loro “carriere” animaliste. Le adesioni a gruppi di cura e antispecisti risultano piuttosto recenti: rispettivamente l’anno di prima adesione risulta essere in media 2007 e 2008. Inoltre, in entrambi i casi, più del 50% dei rispondenti ha indicato di appartenere al proprio gruppo da non più di 5 anni. Al contrario, per quanto riguarda il protezionismo si registra un’appartenenza di più lungo corso:143 pur vedendo un incremento dal 2010 in avanti, tale tipo di associazionismo si sviluppa infatti già nei decenni precedenti. Il dato sembra dunque evidenziare la novità rappresentata dalla diffusione dell’antispecismo presso più larghe fasce di popolazione (soprattutto le coorti d’età più giovani), ma anche un forte impegno nell’area della cura, elemento che risulta in linea con il recente incremento di pets presso la popolazione italiana e più in generale con l’importanza assunta dagli animali domestici e cosiddetti “da compagnia” nella vita quotidiana delle società contemporanee, aspetti questi ricordati nel capitolo introduttivo.144

Per quanto concerne, invece, l’età media di adesione dei membri, si riscontra soltanto una lieve differenza fra le tre aree individuate: solo 3 anni differenziano, infatti, l’età media dell’area più “giovane” (quella antispecista: 42,9 anni di media) rispetto alla più “anziana” (quella della cura: 46,2 anni di media), con i protezionisti collocati nel mezzo (44,6 anni di media). Va inoltre aggiunto che lo spettro di attivisti risulta piuttosto distribuito rispetto alle differenti coorti d’età, con rispondenti che hanno appena raggiunto la maggiore età e altri che hanno superato gli 80 anni.

Tale ultimo dato risulta tuttavia in parziale contrasto rispetto al quadro emerso dalle interviste semi-strutturate, nelle quali è stato sottolineato il forte coinvolgimento delle coorti più giovani, soprattutto nell’area antispecista, ma anche in notevole misura presso le altre due aree. Secondo quanto riportato da diversi fra i membri rilevanti intervistati, il coinvolgimento giovanile nell’area antispecista risulta corroborato da forti convinzioni ideologiche e solitamente si protrae negli anni. Al contrario, il coinvolgimento in gruppi protezionisti e di

143 Anno medio di prima adesione: 2005.

144 È corretta inoltre una precisazione riferita in modo particolare all’area antispecista: molti gruppi afferenti a tale area sono di recente formazione e spesso alcuni fra loro hanno breve durata. Considerando che nel nostro questionario abbiamo chiesto di indicare l’anno di adesione al primo gruppo, è plausibile che in realtà molti rispondenti facciano parte di gruppi animalisti da più tempo, ma che magari i gruppi cui precedentemente appartenevano si siano sciolti o abbiano cambiato denominazione/natura.

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cura pare essere più episodico, momentaneo, e spesso affiancato da un impegno anche presso gruppi antispecisti.

Ci sono persone molto giovani che si sono avvicinate a noi perché hanno visto in noi la via giusta o perché gli piace come facciamo. (Cani Sciolti, Intervista 1, T.G.) Calcola che la grossa maggioranza dei nostri volontari è molto giovane, quindi è il primo avvicinamento…poi magari ci sono persone che magari fanno due cose…ci sono persone che si occupano anche di tematiche sociali, ma sono una percentuale bassa. Membri più anziani ne abbiamo pochissimi…in genere sono quasi tutti studenti (una media fra i 20 e i 35)…molti di loro sono iscritti all’università. (ENPA, Intervista 2, E.G.)

Sono persone abbastanza giovani: a livello universitario c’è questo, che magari vengono per questo periodo… e poi si staccano, e questo da sempre…C’è sempre questo continuo ricambio, perché sono persone giovani che vogliono fare quest’esperienza e vengono lì ad aiutare, ma loro, alcune e spesso, pensano di venir lì a far giocare i gatti, e invece c’è da lavorare…fanno finta di niente e non si fanno più vedere la volta dopo. (Mondogatto S.D., Intervista 2, L.C.)

Dall’insieme di questi dati (quelli relativi alle motivazioni ideologiche e quelli relativi all’esperienza maturata nell’animal advocacy), si può dedurre l’esistenza di diversi tipi di coinvolgimento, un’altra volta a conferma di una notevole differenziazione fra le diverse aree individuate. Va intanto segnalata la maggior rilevanza dell’aspetto ideologico rispetto a quello legato alle variabili socio-demografiche. Inoltre, i dati in nostro possesso confermano la pluralità di approcci all’interno dell’animal advocacy italiana: da una parte, l’importanza dell’elemento emozionale, dell’interesse per la specifica issue, e dello shock morale rappresentato dalle condizioni di vita dei non-umani (Herzog, 1993; Jasper & Poulsen, 1995; Groves, 2001; Herzog & Golden, 2009; Jacobsson & Lindblom, 2012, 2013); dall’altra, motivazioni maggiormente legate al network individuale (Cherry, 2006, 2010; Maurer, 2002).

In termini più specifici, si possono individuare tre diverse caratteristiche nel coinvolgimento dei membri. L’area antispecista è caratterizzata da dinamiche maggiormente politiche, dirompenti e innovative, che si riflettono nell’indicazione di una rivoluzione quale

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principale ragione di adesione alla causa e nella minor esperienza (sia in termini prettamente anagrafici, sia in riferimento alla “carriera” animalista) degli attivisti: siamo dunque in questo caso di fronte a una precisa scelta politica. Coloro che fanno parte dell’area della cura sono invece maggiormente indirizzati da motivazioni personali e da ragioni storicamente connotate da un approccio caritatevole, in linea, seppur con tutti gli aggiornamenti del caso, con la zoofilia classica, che si caratterizzava come forma di assistenzialismo di forte ascendenza aristocratico/borghese, spesso nata da iniziative di singoli filantropi e che andava a sostituire carenze del settore pubblico. Se oggi paiono in buona parte scomparse così nette fratture nell’appartenenza di classe sociale, ciò che si è conservato è un approccio dovuto al cosiddetto shock morale e alla particolare sensibilità nei confronti della specifica questione animale. Infine, l’area protezionista risulta composta da membri di più lungo corso, oggi particolarmente interessati al perseguimento di obiettivi legislativi e al miglioramento delle condizioni di vita degli animali non-umani (soprattutto di alcune specie), e pertanto caratterizzati da un forte riferimento all’identità animalista. Tale identità ha avuto modo di sedimentarsi, in quanto numerosi fra questi soggetti fanno parte dell’animal advocacy da diverso tempo, e devono dunque in buona parte la loro attuale esperienza animalista a legami precedentemente esistenti.

Nel documento ANIMALI  POLITICI. (pagine 135-140)