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Metodi misti e questioni epistemologiche nello studio dei movimenti sociali

Nel documento ANIMALI  POLITICI. (pagine 75-81)

4   METODI, DATI E PERCORSO DELLA RICERCA

4.1   Metodi misti e questioni epistemologiche nello studio dei movimenti sociali

Precisate le coordinate teoriche, dapprima con riferimento alla questione animale nel capitolo 2 e successivamente inquadrandole nel più ampio dibattito riguardante i movimenti sociali nel capitolo 3, e prima di ritornare a occuparci in modo specifico del nostro tema di ricerca a partire dai seguenti capitoli, nelle prossime pagine accenneremo alle questioni epistemologiche, etiche e metodologiche che hanno caratterizzato il nostro lavoro.

4.1.1 Approccio pragmatico e centralità della domanda di ricerca

Nella nostra analisi abbiamo utilizzato una metodologia integrata quali-quantitativa. Abbiamo già fatto brevi cenni alle motivazioni generali di tale scelta; entreremo ora più nel dettaglio, sia approfondendo alcuni aspetti del presente lavoro sia soprattutto fornendo una discussione più generale sull’efficacia dell’utilizzo dei metodi misti nello studio delle advocacy coalitions contemporanee. In via preliminare, è bene tuttavia inquadrare la questione inerente i metodi misti in modo ancor più ampio, all’interno della dicotomia epistemologica fra approccio positivista e approccio interpretativista che attraversa le scienze sociali fin dai suoi albori.

Una certa reticenza e l'arroccamento su posizioni predefinite comporta ancora oggi qualche diffidenza nei confronti dei cosiddetti mixed methods: le tradizioni epistemologiche che hanno dominato il secolo scorso e che si sono battute a suon di diffidenza e campanilismo (Mahoney & Goertz, 2006), hanno lasciato poco spazio a zone grigie e sfumature che mettessero in discussione la natura stessa della contrapposizione fra positivismo e interpretativismo.79 Sono state avanzate anche proposte piuttosto azzardate a favore di un

79 Pur nella difficoltà di farsi strada in un panorama tradizionalmente dicotomico, va riconosciuto che qualcosa sta cambiando e che i metodi misti stanno acquistando maggior dignità: a conferma di ciò si considerino sia la

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approccio a-paradigmatico (Mertens, 2008; Tashakkori & Teddlie, 2010) volte ad argomentare l’inutilità a livello pratico dei paradigmi dominanti; altre proposte più condivisibili propendono invece per l’individuazione di un’ontologia realista e un’epistemologia costruttivista (Donati, 2012).

Più in generale i sostenitori di una “terza via” alla ricerca (quella dell’integrazione fra metodi e paradigmi) fanno, di norma, riferimento ad un approccio cross-paradigmatico (Onwuegbuzie & Johnson, 2006), che trova il suo principale referente epistemologico in John Dewey (1938). Il punto di partenza non è dunque costituito da una consolidata posizione di fondo incasellata in uno dei due paradigmi storicamente dominanti nelle scienze sociali (Sparti, 2002); si ritiene, piuttosto, necessario muovere dallo specifico problema di ricerca, per giungere all'individuazione delle tecniche più efficaci per risolverlo (Morgan, 2007; Sil & Katzenstein, 2010; Small, 2011). Come sintetizzano della Porta & Keating (2008, p. 21), l'approccio pragmatico assume che “there never can be one hegemonic approach and set of standards, but that the social world is to be understood in multiple ways, each of which may be valid for specific purposes; or even that is multiparadigmatic, with different paradigms either struggling against each other or ignoring each other”.

È d’altra parte evidente come un tale approccio possa condurre al relativismo tout court e all'abdicazione ai canoni di scientificità, se non addirittura al rischio di una deriva opportunistica.80 Al netto di tale puntualizzazione, ci sentiamo comunque di concordare con quanti propongono un ecclettismo metodologico (Tashakkori & Teddlie, 2010), in grado di oltrepassare la dictatorship of the research question (Tashakkori & Teddlie, 2008).

Quanto detto finora vale, a maggior ragione, per il settore di studi dei movimenti sociali. Come ricorda Daher (2012), le riflessioni metodologiche su come studiare i movimenti sono limitate, ma i più rilevanti manuali che hanno affrontato la questione (si vedano, quantomeno: Diani & Eyerman, 1992; Klandermans & Staggenborg, 2002; della Porta, 2014) evidenziano la necessità di un approccio integrato, l'unico in grado di rispondere a domande di ricerca di

qualità di recenti lavori che hanno adottato tale metodologia, sia la loro quantità; come riporta Ortalda (2013, p. 107), “da uno studio sui maggiori database (PubMed, ERIC, PsycINFO, Academic One File, Academic Search Premier) che esaminano gli articoli scientifici relativi a ricerche che, dal 2000 al 2008, contengono l'espressione 'metodi misti' nel titolo o nell'abstract, si osserva un incremento che va dai 10 articoli del 2000 ai 243 del 2008”. Va inoltre sottolineata la presenza di riviste “simpatizzanti” nei confronti dei metodi misti, come la European Political Science Review e Politics, Groups and Identities, oltre alla recente (2005) creazione di una rivista specificamente dedicata, il Journal of Mixed Methods Research.

80 Il concetto di pragmatismo ha una lunga storia e ha assunto connotazioni tanto positive quanto negative (Abbagnano 1971; Maxcy 2003; Harrits 2011).

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differente natura. Su quest’ultimo punto concordano Ayoub, Wallace, & Zepeda-Millán (2014, p. 71) in un recente saggio volto a sottolineare gli aspetti positivi dell’applicazione dei metodi misti allo studio dei movimenti sociali: “if the goal is to address interesting questions, then it is essential that no single method preclude a thorough study of an important problem”. A tale assunto di carattere epistemologico, se ne aggiunge uno maggiormente legato a condizioni di contingenza, ribadito da Tarrow (citato in Ayoub et al., 2014, p. 72), il quale ritiene non solo corretto ma necessario l’uso di metodi misti “in cases in which quantitative data are partial and qualitative investigation is obstructed by political conditions”.

4.1.2 Metodi integrati: una tipologia

Sotto l'etichetta di metodi integrati vanno una serie di disegni della ricerca piuttosto differenti fra loro. In tal senso è presente una certa confusione terminologica di carattere generale, che si esplicita in modo particolare intorno al concetto di “triangolazione”. A costo di risultare a nostra volta approssimativi, potremmo dire che il concetto di triangolazione consiste nella conferma dei risultati emersi in seguito a un'analisi condotta con un certo metodo, tramite l'adozione di una tecnica confermativa appartenente al paradigma opposto. Tuttavia, come ricordano diversi autori (Flick, 1992; Yeasmin & Rahman, 2012; Creswell, 2014), tale termine è spesso abusato: al di là delle differenti proposte, è bene mantenere una bussola di riferimento riguardante l'effettiva natura della triangolazione nel suo originario significato (Denzin, 1978).

Si può dire che i disegni misti integrati siano allo stesso tempo un'evoluzione storica e un'espansione teorica del concetto di triangolazione in sociologia (Denzin, 1978; Jick, 1979) e della “matrice multitratto-multimetodo” in psicologia (Campbell & Fiske, 1959). Quando invece ci si riferisce ad approcci che vadano al di là di una semplice “prova del nove” effettuata con differenti tecniche di ricerca, è bene utilizzare il concetto di “integrazione” (Fetters, Curry, & Creswell, 2013; Morgan, 2014), piuttosto che quello di triangolazione dei metodi. Non bisogna, dunque, confondere la triangolazione con il disegno della ricerca triangolare: esso rappresenta uno soltanto dei disegni della ricerca tipici degli approcci integrati.

Anche noi, nel presente lavoro, facciamo appello, pertanto, a qualcosa di più della semplice verifica multi-metodologica di simili risultati con tecniche differenti, e in particolare

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si propone l'uso dei metodi integrati come veri e propri strumenti d’indagine in grado di produrre conoscenza in modo indipendente. La nostra convinzione è che l’integrazione dei metodi ci permetta “to paint a more holistic picture of the complex phenomena that social movement scholars study. Beyond functioning as a validating strategy, we see it as an approach for sound explanation, enhanced theory-building capacity, and deeper understanding” (Ayoub et al., 2014, p. 68).

Fra le tante tipologie presenti in letteratura (si veda, per un quadro dettagliato, Ortalda, 2013), una delle più efficaci risulta essere quella proposta da Creswell, Plano Clark, Guttman, & Hanson (2003). Gli autori riducono la grande varietà di combinazioni e soluzioni possibili di disegni della ricerca integrati a quattro macro-categorie: disegni nidificati, esplorativi, esplicativi e, appunto, triangolari. Cercando di dare riassuntiva definizione di tale varietà, possiamo dire che il disegno nidificato (Ferree, Gamson, & Rutch, 2002) prevede l'utilizzo di dati sia qualitativi sia quantitativi per rispondere a domande di ricerca differenti, in un'ottica dunque integrativa e non confermativa, come invece nel caso del disegno triangolare. Di quest'ultimo, di cui abbiamo già in parte detto, aggiungiamo soltanto che, se condotto in modo corretto, può effettivamente contribuire in modo notevole alla produzione di interessanti risultati, riuscendo per sua natura a mantenere sia i pregi dell'approccio quantitativo (ampiezza del campione e generalizzabilità dei risultati) sia quelli dell'approccio qualitativo (profondità di analisi e circoscrizione dei focus). Se il disegno triangolare e quello nidificato sono caratterizzati dalla sincronia nella raccolta dei dati, nei restanti due disegni tale presupposto sparisce, per lasciare spazio a quello della sequenzialità: nel disegno esplicativo ha precedenza cronologica l'ottenimento di dati quantitativi, i quali servono per individuare un certo numero di soggetti su cui condurre una successiva analisi in profondità. Nel disegno esplorativo (Braun, 2013), invece, il criterio di sequenzialità viene invertito, e sono dunque i dati qualitativi a precedere quelli quantitativi: un caso piuttosto tipico è rappresentato da ricerche in cui la mancanza di letteratura sull'argomento induca alla conduzione di interviste (o altre tecniche di natura qualitativa) volte ad approfondire la conoscenza dell'argomento e propedeutiche ad una fase quantitativa di raccolta e analisi di dati. Risulta difficile dire quale sia l’opzione in assoluto migliore, in quanto ogni caso fa evidentemente storia a sé. Particolarmente efficace, in presenza di tempo e risorse sufficienti, può essere un disegno per così dire “circolare”, in grado di integrare esplorazione ed esplicazione: a una prima fase esplorativa fatta di osservazione del fenomeno, analisi della letteratura e interviste, dovrebbe

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dunque seguire una seconda di tipo quantitativo con cui ottenere dati consistenti sul fenomeno di interesse (o quantomeno di esaminarli, qualora si lavori su fonti secondarie), e successivamente un ultimo passaggio di tipo qualitativo, a sostegno e integrazione dei dati emersi tramite l'utilizzo di metodi standard (Marradi, 2007), utile anche a rispondere a domande più difficili da rilevare con una survey o un censimento.81

Alla luce di tale classificazione, e come avremo modo di esplicitare in modo dettagliato nei paragrafi 4.3. e 4.4., il nostro disegno della ricerca rientra nella terza categoria, quella del disegno esplicativo, pur conservando anche elementi del disegno esplorativo (la conduzione di interviste preliminari per “ricostruire” il campo, seppur nel nostro caso si sia trattato di interviste non strutturate), e proponendosi dunque di rispondere all’ideale di circolarità poc’anzi delineato. Il motivo di tale scelta si spiega in gran parte con la natura specifica della popolazione oggetto di studio, della quale non era presente un censimento nazionale e dunque una precisa lista di copertura, né a livello organizzativo, né tantomeno a livello individuale. Inoltre, si è ritenuta opportuna tale scelta alla luce del fatto, ricordato da Creswell & Plano Clark (2011, p. 82), che un tale disegno della ricerca consente “to assess trends and relationships with quantitative data but also be able to explain the mechanism or reasons behind the resultant trends”.

4.1.3 Popolazioni hard-to-reach o hard-to-sample

Le problematiche relative alla mancanza di un’esaustiva lista di copertura sono tipiche nello studio di tutte quelle popolazioni cosiddette hard-to-reach o hard-to-sample (Marpsat & Razafindratsima, 2010). Tuttavia, i movimenti sociali costituiscono un oggetto di studio sui generis: se è vero che riguardo ad essi non si dispone quasi mai di una lista completa della popolazione, allo stesso tempo non è nemmeno corretto definirli totalmente come popolazioni hard-to-reach. Non ci troviamo di fronte a soggetti rari (come potrebbero essere i pazienti affetti da una grave malattia) o “devianti” (come potrebbero essere individui tossicodipendenti). Anche l'utilizzo del termine “elusivo” andrebbe trattato con cautela; certamente si può dire dire invece che, di norma, almeno una certa parte di area di movimento possa rientrare sotto l'etichetta di “sommerso” o “poco diffuso” (Natale, 2004).

81 È importante aggiungere un’ulteriore precisazione, presente in letteratura e riferita alla “tempistica” con cui viene assunta la decisione di adottare un approccio integrato: tale scelta può essere presa prima della ricerca, ed in tal caso la triangolazione è definita fixed, oppure in corso d’opera, e viene chiamata emergent (Creswell & Plano Clark, 2011).

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Ciò che rende difficile, se non quasi sempre impossibile, giungere a un campionamento probabilistico delle advocacy coalitions è la loro particolare struttura organizzativa, reticolare, policefala e liquida (Knoke & Kuklinski, 1982), elemento che abbiamo abbondantemente approfondito nel precedente capitolo. Delle advocacy coalitions fanno parte, inoltre, soggettività individuali e collettive di natura estremamente variegata: al fianco di associazioni strutturate e regolarmente registrate delle quali si possono ottenere anche i nominativi dei membri, esistono gruppi più sfuggenti, che, per ideologia o necessità, hanno carattere extra-istituzionale, quando non addirittura anti-sistemico. Posta dunque tale distinzione, e ricordando inoltre come anche le liste riferite ad associazioni “formali” non sempre siano complete ed esaustive (come nel caso della presente ricerca), si noterà la necessità, qualora si decida di individuare come unità di rilevazione i membri individuali, di procedere a strategie di campionamento multiplo: da una parte, pur con tutti i biases del caso, si possono predisporre strategie sufficientemente strutturate per lo studio di aderenti ad associazioni formali o a realtà di cui si possiedano liste, dall'altra sarà necessario adottare altre tecniche per quanto concerne la parte più “informale” dell’advocacy coalition. Tale necessità è colta da un recente (2014, pp. 2-3) intervento di Donatella della Porta: “existing surveys on the entire population are of little help for investigations of active minorities, and social movement organizations rarely keep archives, or even lists of partecipants. Importing and adapting methods of data gathering and data analysis from other fields, as well as inventing new ones, appears therefore as a necessity for challenging empirical analysis”.82

Queste constatazioni non devono portare all'affrettata conclusione per cui l'utilizzo delle survey, tecnica solitamente collegata a censimenti e campioni probabilistici, sia da rifiutare nello studio dei movimenti sociali. Esse hanno specifica utilità, ad esempio, a livello comparativo, sia in confronti fra differenti aree di movimento (Klandermans, 1993), sia in confronti transnazionali all'interno della medesima area di movimento (Opp, Finkel, Muller, Wolsfleld, Dietz, & Green, 1995), sia in confronti longitudinali a livello nazionale (Oegema & Klandermans, 1994). Posta dunque questa puntualizzazione riguardante la plausibile utilità delle survey, non si può tuttavia soprassedere sui limiti che le caratterizzano: oltre alla già citata questione inerente la non rappresentatività del campione e la scelta di quali fonti

82 Non solamente studiosi di movimenti sociali giungono a tali constatazioni, ma anche metodologi solitamente catalogati come appartenenti al ramo quantitativo ammettono che “random selection might not be feasible because the universe of cases is not clearly specified”, e che questo vale in particolar modo nel caso di movimenti sociali per i quali “random sampling is, however, only one of the possible ways of selecting cases; it   has some obvious advantages, but difficult preconditions of applicability” (King, Keohan, & Verba, 1994, p. 125).

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utilizzare per individuare le unità di rilevazione, va poi considerato un ulteriore aspetto, quello della somministrazione del questionario (online, face-to-face, etc). In modo particolare, e con riferimento alla parte principale delle nostre fonti di dati, che come vedremo nei prossimi paragrafi sono costituite da una web survey, i suoi principali pro sono i seguenti: costi bassi, tempi rapidi, efficacia nel raggiungimento di popolazioni geograficamente disperse, eliminazione del problema della desiderabilità sociale (pur dovendo fare i conti con la comprensibile diffidenza di certe aree di movimento, relativa all’eventualità di poter essere “tracciati” e rintracciati), possibilità per il rispondente di compilare quando preferisce e di saltare le domande ritenute “scomode” (tale aspetto ovviamente rappresenta anche un contro). Fra i principali contro, invece, vanno annoverati: tasso di risposta basso, maggior facilità di rifiuti, limitata rappresentatività della popolazione e impossibilità di generalizzare i risultati, persistenza di differenze dovute al digital divide e alle disuguaglianze economiche (Couper, 2000; Couper, Traugott, & Lamias, 2001; Schonlau, Fricker Jr., & Elliott, 2002; Schonlau, Zapert, Simon, Sanstad, Marcus, Adams, Kan, Turner, & Berry, 2004; Sue & Ritter, 2007; Dever, Rafferty, & Valliant, 2008; Schonlau, van Soest, Kapteyn, & Couper, 2009).83

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