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Orientamenti teorici di riferimento

Nel documento ANIMALI  POLITICI. (pagine 72-75)

3   MOVIMENTI SOCIALI: I PRINCIPALI NODI TEMATICI

3.5   Orientamenti teorici di riferimento

Pare infine corretto, a mo’ di conclusione, specificare l’orientamento teorico di fondo che muove la presente ricerca, e che caratterizzerà sia i capitoli (6, 7, 8) di analisi dei dati, sia la più ampia questione inerente la “natura” del fenomeno dell’animal advocacy italiana. Come emerso più volte in questo capitolo, non si ritiene efficace una prospettiva ancorata alle classiche suddivisioni manualistiche, e tantomeno contrapposizioni poco utili in questa sede fra epistemologia ermeneutica ed epistemologia positivista o ancora fra metodi qualitativi e metodi quantitativi.75 Se ciò configuri anche la formulazione di un paradigma unitario, è difficile da dirsi: certamente, come già accennato, alcuni contributi empirici e teorici hanno consentito un avvicinamento fra le correnti classiche dei Social Movement Studies.

Dal nostro punto di vista, facciamo particolare riferimento a due proposte di recente formulazione, già menzionate nelle pagine precedenti, e i cui caratteri peculiari ricorderemo brevemente. La prima, quella legata alla logic of connective action di Bennett & Segerberg (2011, 2012, 2013), nasce nello specifico settore di studi dei movimenti sociali, e si propone come un’evoluzione della classica “logica dell’azione collettiva” di olsoniana memoria. L’altra proposta che consideriamo come cornice del nostro lavoro, quella degli strategic action fields (Fligstein & McAdam, 2011, 2012), ha un respiro più ampio e si propone come una vera e propria meso-teoria con l’intento di spiegare differenti forme di organizzazione, fra cui quelle dei movimenti sociali: essa, infatti, è stata formulata da un autore afferente al campo disciplinare dei Social Movement Studies, Doug McAdam, e da un altro autore più vicino alla sociologia dell’organizzazione, Neil Fligstein.76

75 Si ritiene, al contrario, utile perseguire un approccio cross-paradigmatico e multi-metodologico, in grado di fornire una migliore comprensione del nostro oggetto di ricerca. Tali aspetti verranno abbondantemente trattati nel prossimo capitolo.

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Partendo da quest’ultimo riferimento, precisiamo come per Fligstein e McAdam un “campo” in senso generico sia composto da tutti quegli attori che si percepiscono come appartenenti a esso, mentre uno strategic action field sia un meso-level social order nel quale “actors (who can be individual or collective) are attuned to and interact with one another on the basis of shared (which is not to say consensual) understandings” (Fligstein & McAdam, 2012, p. 9). Proprio per tale loro natura si dimostra di fondamentale importanza costruire e negoziare i frames fra attori collettivi, e il principale problema per i cosiddetti skilled social actors diviene quello di costruire frames che inducano gli individui a cooperare facendo leva su argomenti legati a identità, credenze e interessi, e che al medesimo tempo usino gli stessi argomenti per mettere a tema azioni contro i differenti “rivali”. Sempre in questo senso, gli autori introducono il concetto di “mobilitazioni emergenti”, come quelle situazioni in cui attori collettivi formano nuove linee di interazione basate sulla diversa comprensione “of the opportunities or threats to group interests that they perceive” (ibidem, p. 91). In una simile condizione, precisano Fligstein & McAdam, l’assenza di regole e letture condivise provoca una situazione intrinsecamente instabile. Secondo i due autori statunitensi, infatti, un campo non nasce da interessi condivisi, bensì da un “creative cultural process that binds field members together through a constructed narrative account of the new collective identity that units them and the shared mission that is at the heart of the field” (ibidem, p. 110). Quest’ultimo aspetto spiega in maniera puntuale l’effetto matrioska al centro delle loro riflessioni e che, come vedremo, pare caratterizzare anche la dinamica intra-animalista e il rapporto dell’animal advocacy italiana con il “mondo fuori”. La posizione di Fligstein & McAdam è dunque, in buona sostanza, critica nei confronti di marxismo e strutturalismo; ancor più nello specifico, le strutture avrebbero una loro importanza, ma verrebbero agite strategicamente dai soggetti e dalle relazioni fra essi, tanto che individui e gruppi sarebbero in costante azione e alla ricerca di nuovi confini.77 La natura costruita dei campi è riassunta dalla frase seguente: “they turn on a set of understandings fashioned over time by members of the field” (ibidem, p. 10), a dimostrazione del fatto che gli attori individuali e collettivi “agiscono” le strutture in cui si trovano in essere, spesso anche in maniera conflittuale.78

77 Il carattere strategico è, inoltre, al centro delle proposte teoriche anche di altri importanti autori contemporanei, in modo particolare Jasper (Jasper, 2015; Jasper & Duyvendak, 2015).

78 Pur ritenendo particolarmente utile e strutturato (oltre che adatto per il nostro lavoro empirico) l’approccio di Fligstein & Mc Adam, va precisato come anche altri autori abbiano utilizzato categorie simili a quella dei “campi d’azione strategica”, definendoli tuttavia in altri modi, fra cui: “settori” (Scott & Meyer, 1983), “industria di movimento sociale” (McCarthy & Zald, 1973), “campi organizzativi” (Di Maggio & Powell, 1983), “campi” (Bourdieu & Waquant, 1992), “domini politici” (Laumann & Knoke, 1987), “sistema e sottosistemi politici” (Sabatier, 2007).

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La seconda prospettiva teorica di sfondo che consideriamo particolarmente utile ai fini del nostro lavoro è quella avanzata da Lance Bennett e Alexandra Segerberg, e più puntualmente riferita allo studio dei movimenti sociali. Anche in questo caso siamo in presenza di una forte insistenza sull’agentività dei soggetti, i quali non sarebbero più coinvolti in modo principale seguendo le classiche dinamiche dell’azione collettiva, ma tenderebbero alla costruzione di reti decentralizzate e auto-organizzate, particolarmente favorite da un massiccio uso della Rete, che consentirebbe dunque di sviluppare forme di coinvolgimento e mobilitazione personalizzate. L’elemento connettivo è al centro dell’analisi di Bennett e Segerberg, e in questo senso la dimensione online è fondamentale nei cambiamenti da essi individuati. Tuttavia sarebbe scorretto limitare le loro considerazioni a tale aspetto: il vero portato di novità è, invece, costituito dalla volontà e dall’aumentata capacità dei soggetti individuali di appropriarsi ed eventualmente adottare in maniera critica le opportunità di dissenso e coinvolgimento offerte. Vi sarebbe stato un vero e proprio cambio di paradigma, rispetto a quello legato alle identità e soprattutto alle organizzazioni collettive che caratterizzavano i decenni passati: le organizzazioni sarebbero passate dall’essere il fulcro in grado di raccogliere il dissenso e trasformarlo in mobilitazione, a divenire esse stesse un “semplice” attore all’interno di un network atomistico e pluralizzato. In estrema sintesi, il ruolo dell’organizzazione sarebbe stato assunto dalla comunicazione. D’altra parte, gli autori precisano come il fenomeno non sia monolitico, ma vi siano tuttora tre differenti tipologie di network basati sull’azione connettiva: crowd-enabled, organizationally-enabled, e organizationally-brokered. Il primo di tali tipi sarebbe quello più innovativo e rappresenterebbe la forma “pura” di azione connettiva; i network organizationally-brokered rappresenterebbero invece una sorta di continuità rispetto alle mobilitazioni più classiche, mentre con il termine organizationally-enabled ci si riferisce a quelle situazioni in cui le organizzazioni continuano a esistere ma non costituiscono nulla di più di un singolo nodo (seed) del network complessivo, perdendo dunque la loro funzione di mobilitatrici di risorse.

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4 METODI, DATI E PERCORSO DELLA

Nel documento ANIMALI  POLITICI. (pagine 72-75)