• Non ci sono risultati.

Lo sfruttamento animale in Italia

Nel documento ANIMALI  POLITICI. (pagine 120-127)

5   L’ANIMAL ADVOCACY IN ITALIA

5.3   Lo sfruttamento animale in Italia

In quest’ultimo paragrafo ricorderemo alcune cifre inerenti l’utilizzo degli animali non-umani. Come abbiamo più volte precisato, il nostro non vuole essere un lavoro partigiano in senso proprio, pur tale dimensione essendo in buona parte imprescindibile nella ricerca sociologica. Non si tratta nemmeno di una ricerca volta a denunciare il carattere specista delle società contemporanee e la grande quantità di animali uccisi per interessi umani; tuttavia, pare opportuno riportare alcune cifre, proprio prima di passare all’analisi dei dati vera e propria, per inquadrare la realtà sociale rispetto alla quale i nostri rispondenti si oppongono e dedicano parte delle loro biografie personali e delle attività dei loro gruppi.

5.3.1 Consumo di carne

Sembra corretto partire dal consumo di carne, ad oggi indiscutibilmente il settore che comporta il maggior numero di uccisioni animali a livello mondiale. Come risaputo, non in tutte le regioni del mondo si registrano i medesimi consumi di proteine animali, e di carne in modo particolare: secondo il Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione, nel 2007 si andava dai 31 grammi giornalieri di alcune regioni africane ai 240 dei Paesi più ricchi del globo.124

Riferendoci all’Italia e stando ai dati forniti da Assocarni e inerenti l’anno 2014, il consumo di carni animali pro capite sarebbe pari a 37,3 kg di suino (salumi compresi), 20 kg di bovino, 19 kg di pollame, ogni anno. Considerando invece una prospettiva diacronica,

123 L’atteggiamento del Coordinamento FGH nei confronti di Michela Vittoria Brambilla è stato, per certi versi, ondivago: al fianco di prese di distanza pubbliche, è stato prodotto anche un comunicato stampa in cui se ne accettava la presenza in corteo, e vi sono state occasioni pubbliche (quali conferenze stampa) in cui alcuni rappresentanti del Coordinamento e la Brambilla medesima hanno presenziato in modo congiunto.

124 In termini più specifici, un cittadino statunitense mangia in media 120 chili di carne all'anno, quasi il triplo della media mondiale e il quadruplo della media dei Paesi in via di sviluppo, fermi a 32 chili: negli USA, dal 1961 al 2009, si è passati da 89 a 120 chili annui per abitante. Quasi ovunque i consumi continuano a crescere, seppur con differente intensità: in Francia si è passati da 77 a 87 chili, anche se attualmente il fenomeno risulta in calo, essendo il picco massimo stato raggiunto negli anni passati. In Cina, invece, la crescita del consumo di carne è imponente: nel 1961 i chili pro capite annui erano meno di 4, oggi sono più di 58. Al contrario, in un Paese come l’India, grazie a tabù religiosi, vegetarianesimo dei ceti alti e povertà di quelli bassi, il consumo è pressochè stazionario, essendo passato da 3,8 a 4,4 chili a testa all'anno nell’arco di mezzo secolo.

121  

nonostante l’aumento di vegetariani e vegani nel nostro Paese, tale mercato pare in crescita rispetto ai decenni precedenti. Secondo dati FAO, nel 1961 gli Italiani consumavano 27 kg pro capite ogni anno fra suini, bovini e pollame; successivamente, grazie al periodo di boom economico, è aumentato in modo particolare il consumo di carni bovine (specie negli anni Ottanta), per poi lasciare spazio in anni recenti a un aumento, sempre legato ai cicli economici, del consumo di pollame.125

Nella figura 5.2. si può consultare l’evoluzione del consumo pro capite di carne in Italia nel periodo 2000-2014.

Fig. 5.2. - Consumo pro capite di carni (Kg) in Italia, 2000-2014

Fonte: Assocarni, http://www.assocarni.it/archivio3_comunicati-ed-eventi_0_310_173.html.

5.3.2 Caccia

Se aumenta il consumo di carne pro capite, con importanti conseguenze anche per l’equilibrio ambientale e l’approvvigionamento alimentare dei Paesi più poveri126, al

125 Nonostante la crescita del mercato, in tempi recenti, anche a seguito dell’allarme per la salute umana lanciato nell’ottobre 2015 dall’OMS in riferimento al consumo di carni rosse e insaccati, i produttori di carne hanno “rassicurato” riguardo al fatto che in Italia il consumo di carni pro capite sarebbe al di sotto della soglia-rischio per la salute: http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2015-10-26/-coldiretti-consumo-carni-italia-e-di-sotto-soglia-rischio-la-salute-163359.shtml?uuid=ACmDmYNB&refresh_ce=1.

126 Si calcola infatti, in modo a dire il vero piuttosto approssimativo, che per la produzione di un chilo di carne siano necessari 15.000 litri d’acqua e 15 chili di cereali, risorse che, se usate per sfamare direttamente gli umani,

122  

medesimo tempo diminuisce, quantomeno in Italia, il numero di cacciatori. Dai dati riportati dall’UNAVI (Unione Nazionale Associazioni Venatorie Italiane), nell’anno 2009 i cacciatori nella penisola risultavano essere 707.359, il che significa un calo di un milione di unità negli ultimi 30 anni.

Tab. 5.2. - Evoluzione storica del numero di cacciatori in Italia

Anno Numero cacciatori in Italia

1980 1.701.853

1990 1.446.935

2000 801.835

2006 765.404

2009 707.359

Fonte: UNAVI (Unione Nazionale Associazioni Venatorie Italiane)

Il tema della caccia, pur numericamente non così rilevante come altri, è tuttavia paradigmatico sotto vari punti di vista, in modo particolare per quanto riguarda il suo rapporto con la politica. È noto come il mondo venatorio abbia saputo storicamente instaurare buoni rapporti a livello istituzionale, servendosi anche di efficaci reti di lobby (Malossini, 2007). Per non citare che un esempio relativamente recente, si ricorderà la formazione nel 2007 del nutrito Intergruppo Parlamentare “Amici del Tiro, della Caccia e della Pesca”, promosso dall’onorevole Luciano Rossi (PdL) e composto da 111 membri dell’intero arco parlamentare (85 PdL, 9 Pd, 8 Lega, 5 Idv, 3 Udc, 1 Gruppo misto). Si deve probabilmente anche a tali ragioni la permanenza di un fenomeno, quello della caccia, che è stato al centro di battaglie per la sua abolizione, non da ultimo il referendum promosso da Verdi e Radicali nel 1990. Pur non raggiungendo il quorum, in quella sede, tuttavia, 19.447.610 cittadini su 21.070.000 (il 92,3% dei votanti, che si attestarono al 43,3% degli aventi diritto) si espressero per l’abolizione della caccia.

Nonostante i numeri in costante calo, tuttora gli animali che vengono uccisi nella pratica venatoria continuano a rappresentare una quantità particolarmente difficile da calcolare. Secondo uno studio della LAV, consistente in una stima del dato nazionale a partire dai calendari venatori di Lombardia, Veneto, Toscana e Sicilia, il numero di animali che garantirebbero una maggior equidistribuzione delle risorse alimentari e una diminuzione della fame nel mondo.

123  

potrebbero essere legittimamente uccisi in questo settore ammonterebbe a 464.597.479.127

Più facile, invece, risulta calcolare le vittime umane accidentali: nel 2015 si sono contati 22 morti e 66 feriti umani, dovuti ai “danni collaterali” della caccia.128

5.3.3 Vivisezione

Passando a un altro tema di grande rilevanza per gli animal advocates, specie nel nostro Paese, va ricordato come i laboratori che utilizzano animali a fine di sperimentazione medico/scientifica sul territorio nazionale italiano siano attualmente 609: in essi, secondo dati LAV, dal 2007 al 2009 sono stati utilizzati 2.603.671 animali. Tali laboratori, distribuiti su tutta la penisola, si concentrano in particolar modo in Lombardia, Emilia Romagna, Lazio, Toscana e Veneto, come si evince dalla figura 5.3..

Fig. 5.3. - Presenza di laboratori che effettuano sperimentazione animale sul territorio italiano

Fonte: LAV, http://www.lav.it/news/la-vivisezione-in-italia-regione-per-regione129

127 Per maggiori dettagli su caccia, bracconaggio, trappole, etc, si può consultare il seguente link: http://www.agireora.org/caccia/.

128 Ancor più complicati risultano i calcoli riferiti al settore della pesca, sia per l’enormità degli animali coinvolti in tale pratica, sia per le specificità del contesto giuridico nazionale (Sobbrio, 2008). Secondo un rapporto realizzato dall’Europarlamento nel 2008, la produzione italiana ammonterebbe a 516.465 tonnellate, di cui il 55% attribuibile alla pesca marittima e il 45% all’acquacoltura.

124  

L’utilizzo di animali nei laboratori di vivisezione è tuttavia in diminuzione, sia in Italia sia nel resto d’Europa: nel nostro Paese, infatti, gli animali utilizzati nel 2011 sarebbero stati all’incirca 782.000, mentre nel continente, durante lo stesso anno, si sarebbero attestati su 11,5 milioni, 500.000 in meno rispetto all’anno precedente (dati Commissione Europea). Se questo è il panorama generale, i dati disaggregati per specie confermano, per quanto concerne il nostro Paese, che gli animali più utilizzati restano i topi (1/3 del totale), il cui impiego è in forte crescita rispetto ad altre specie, seguiti da ratti (19,8%), pesci (6,6%) e uccelli (3,7%).

5.3.4 Circhi

Un ulteriore ambito in cui tuttora viene esercitato un notevole utilizzo di animali non-umani è quello inerente i circhi.130

Una certa vulgata e una generale disinformazione potrebbero far apparire tale tipo di sfruttamento meno rilevante rispetto a quelli precedentemente citati (alimentazione, caccia, vivisezione). Tuttavia va sottolineato come tale settore dimostri ancor più la natura tuttora specista della modernità: siamo infatti di fronte a una forma di sfruttamento totalmente ricreativa e ludica, nemmeno giustificabile da presunti vantaggi materiali per la nostra specie. A ciò si aggiunga che, come ricordato nel capitolo introduttivo, gli Italiani si dichiarano in gran maggioranza contrari rispetto, ad esempio, alla presenza di circhi con animali. Nonostante ciò, secondo un’inchiesta condotta da LAV nel 2015, nel nostro Paese sarebbero presenti circa 100 circhi che utilizzano all’incirca 2000 animali.131

Senza sottovalutare la portata di questi numeri, va precisato per correttezza come anche in Italia siano in aumento i circhi senza animali. Ciò che risulta tuttavia carente, soprattutto in questo settore, è un impianto legislativo efficace e aggiornato. Le iniziative vengono lasciate alle amministrazioni locali, mentre la legge in vigore risale al 1968132

e sostiene “la funzione sociale dei circhi equestri e dello spettacolo viaggiante”, senza alcuna precisazione nemmeno riguardo al benessere animale. Inoltre, nonostante l’approvazione nel 2013 di un ODG

130 Alla questione relativa ai circhi, si aggiungono inoltre quelle inerenti acquari e zoo, sulle quali non ci soffermiamo per motivi di spazio, ma le cui dimensioni sono ancor più rilevanti.

131 Il rapporto precisa anche il numero indicativo di individui appartenenti alle varie specie: 400 equidi (per la maggioranza cavalli, ma anche pony e asini e circa 50 zebre), 80 bovidi vari tra cui una decina di bisonti, 140 tra cammelli e dromedari, 60 lama, 9 giraffe, 6 rinoceronti, 20 ippopotami, 50 elefanti, 160 tigri, 60 tra leoni ed altri felini, 40 tra struzzi, emù, ecc., 350 volatili (di cui la maggioranza pappagalli, ma anche rapaci, notturni, avvoltoi), dai 70 agli 80 mammiferi di vario genere che comprendono anche animali tipicamente da fattoria, 100 cani, 20 mammiferi marini (otarie, etc.), 60 pinguini, 400 rettili (tra cui 250 serpenti – prevalentemente pitoni, boa e anaconda – e 50 tra coccodrilli e alligatori), 200 pesci stimati (in gran numero piranha).

125  

relativo al “Decreto Legge sulla tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo” in cui lo Stato si impegnava a una progressiva diminuzione del finanziamento pubblico alle attività circensi che utilizzassero animali, tale provvedimento risulta attualmente inadempiuto.133

Negli ultimi anni, lo Stato italiano ha erogato dai circa 4,5 milioni di euro del 2014 ai 6.635.019 del 2011 per il finanziamento delle attività circensi.134

5.3.5 Pellicce

Pur rappresentando in parte un “residuo” di tempi andati e non costituendo più uno status symbol come alcuni decenni fa, tuttavia nel mercato delle pellicce sono coinvolti nel nostro Paese circa 200.000 animali, distribuiti in circa 20 allevamenti presenti in Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Abruzzo. Va sottolineato come storicamente l’Italia non sia mai stato un importante centro per questo tipo di industria, ben più rilevante in altri Stati europei (dove si concentra il 60% della produzione mondiale), e in contesti extra-comunitari, come Cina (25% della produzione mondiale), USA (5%), Canada (4%) e Russia (3%), per un totale di circa 70 milioni di animali coinvolti nel pianeta.

Diverse sono state le iniziative recenti (sia di natura movimentista sia istituzionale) volte all’abolizione di tale mercato, anche sull’onda della disapprovazione dell’opinione pubblica nazionale riguardo l’utilizzo di animali per la produzione di pellicce. Questa specifica issue, inoltre, riesce spesso ad aggregare istanze antispeciste e istanze ambientaliste, anche alla luce dei notevoli danni ecologici rappresentati da questo settore industriale.

Prima di passare all’ultimo tema di questa breve rassegna, quello del randagismo, si precisa che già nel 2002 il Ministero della Salute vietava l’utilizzo di cani e gatti per il confezionamento di pelli, pellicce e capi d’abbigliamento. Tale norma, utile per la salvaguardia di numerose vite animali, risulta tuttavia evidentemente specista nella sua logica di fondo.

133 Non risulta infatti applicato nel Decreto Ministeriale del 2014 relativo ai “Nuovi criteri per l’erogazione e modalità per la liquidazione e l’anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163.”

134 Per dati più completi, e per un resoconto di singole situazioni riferite ai differenti circhi operanti in Italia, si

veda il Rapporto LAV 2015 “I circhi in Italia”:

http://www.lav.it/cpanelav/js/ckeditor/kcfinder/upload/files/files/IMPRONTE%20MARZO%202015%20-%20CIRCHI%20low.pdf.

126  

5.3.6 Randagismo

Fino al 1991 in Italia un cane o un gatto che venissero rinvenuti per strada senza accompagnatore, venivano catturati (o meglio accalappiati, da cui il noto termine “accalappiacani”) e dopo tre giorni soppressi. Con la legge 281/91 si pose fine a tale pratica, riconoscendo a queste specie il diritto alla vita e dunque a un’eventuale duratura detenzione in apposite strutture. Nonostante l’importanza di tale avvenimento, è corretto precisare come le difficoltà reali trascendano le acquisizioni legislative, e come tuttora numerosi fra questi individui animali vivano in condizioni fatiscenti, ospitati in strutture private che si dimostrano spesso una semplice copertura per l’ottenimento di finanziamenti pubblici.

Anche in questo caso risulta difficile fornire numeri precisi, proprio per le caratteristiche “sommerse” del fenomeno e per la sua causa principale, ossia quella dell’abbandono degli animali, che configura un reato punibile con l’arresto fino a un anno e con multe pari a un massimo di 10.000 euro. Tuttavia, si stima che ogni anno vengano abbandonati circa 80.000 gatti e 50.000 cani, e che attualmente nel nostro Paese i randagi siano pari a 600.000 cani e oltre 2.000.000 di gatti,135 con una maggior incidenza del fenomeno soprattutto nelle regioni meridionali (si stimano 45 randagi ogni 1000 abitanti in Molise, e circa 20 ogni 1000 abitanti in Puglia e Campania).

In conclusione, sebben al di là degli obiettivi della presente ricostruzione e della ricerca più in generale, va precisato come esistano anche visioni che non vedono nel randagismo (o, ancor meglio: nei cani liberi) soltanto un problema da eradicare, ma una questione più complessa e strettamente collegata all’approccio liberazionista e alla natura dei rifugi per animali, che viene affrontata sia in ambito antispecista sia in ambito più strettamente cinofilo (Majocchi, 2014; Morettini, 2016). In questo senso si invita a guardare ai cani liberi non solo come individui da proteggere in ottica protezionista, bensí come a soggetti con volontà e desideri propri, non vincolabili al fatto di essere curati e ospitati presso apposite strutture.136

135 La legge 281/1991 cerca almeno in parte di disciplinare il fenomeno, legiferando riguardo al maltrattamento, alla limitazione delle nascite e alla gestione delle colonie feline. Oltre a tale legge e al suo richiamo nella Finanziaria 2007, vanno poi segnalate le numerose sentenze di Cassazione rispetto a questo tema.

136 Il materiale disponibile riguardo questi temi è soprattutto costituito da conferenze di cui si possono trovare

online audio e video. Anche la personalità più “tecnica” che affronta l’argomento, Michele Minunno, non ha una

produzione scritta di riferimento, predilegendo piuttosto seminari e conferenze. Per un’efficace introduzione e problematizzazione, si rimanda dunque a Majocchi (2014), consultabile al seguente link: https://musiemuse.wordpress.com/2014/03/03/i-sensi-nei-rifugi-per-animali/.

127  

PARTE TERZA – ANALISI

EMPIRICA

6 UNA PANORAMICA SU ASSOCIATI,

Nel documento ANIMALI  POLITICI. (pagine 120-127)