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Teorie classiche e questione animale

Nel documento ANIMALI  POLITICI. (pagine 30-34)

2   ANIMALI E ANIMAL ADVOCATES IN LETTERATURA

2.2   Human-Animal Studies

2.2.3   Sociologia  e  HAS

2.2.3.1   Teorie classiche e questione animale

Privilegiando un approccio maggiormente sociologico, non ci soffermeremo in questa sede sulle motivazioni del vulnus che almeno fino a 25 anni fa ha contraddistinto la nostra disciplina riguardo l’argomento, vulnus che, in sintesi, è solitamente ascritto all’anti-comportamentismo meadiano, all’assunzione cartesiana dell’animale-macchina (Strauss, 1964; Irvine, 2008) e alla conseguente permanenza di una prospettiva acriticamente antropocentrica

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delle scienze sociali.45 Oltre alla classica discendenza meadiano/cartesiana, altri importanti autori che hanno posto con fermezza tale confine sono quantomeno Weber e Parsons: entrambi, pur da prospettive differenti, hanno riaffermato la centralità e la peculiarità dell’intenzionalità delle capacità umane. Diverse acquisizioni scientifiche, a partire dai principali lavori di Darwin (1859, 1871) e successivamente anche basate su casi paradigmatici di singoli animali46, hanno messo in discussione la correttezza di alcuni fra tali assunti (Gould, 1989; Fouts & Tukel, 1997).

In modo forse inaspettato, l’antropologia (disciplina che già nel nome tradisce un forte antropocentrismo, e che in nome di tradizionalismo e culturalismo, ha spesso volontariamente omesso l’animale quale soggetto, relegandolo alla funzione di referente simbolico dell’umano), pare aver affrontato maggiormente rispetto alla sociologia il tema del rapporto uomo-animale (Mullin, 1999). Questo vale sia in riferimento alla letteratura italiana, sia in riferimento ad alcuni “grandi nomi” dell’antropologia internazionale: gli esempi sarebbero differenti, ma preme citare quantomeno Mary Midgley (1985) e la sua analisi del posizionamento dell’uomo rispetto alle altre specie, e Mondher Kilani (2000) nella sua approfondita analisi della violenza sacrificale come progenitrice delle guerre contemporanee, cui la legherebbe un rapporto di assoluta continuità.

Come noto, il padre di tali autorevoli interventi va considerato Claude Lévi-Strauss (1962), che, criticando l’antropologia degli albori di Malinowski (1948), propose di riconsiderare gli animali come “buoni da pensare” piuttosto che semplicemente come “buoni da mangiare”, evidenziando il ruolo strumentalmente simbolico e costruttivamente funzionale che essi occupano nelle società umane. Secondo il grande antropologo francese, infatti, vengono scelti gli animali più spesso dei vegetali come simbolo totemico in quanto questi, al pari degli umani, hanno atteggiamenti individuali e soprattutto un’organizzazione sociale vicina a quella umana, ed è dunque più facile immedesimarsi con essi e visualizzare come nemico un totem animale di un’altra tribù. Dal tabù alimentare dell’interpretazione di Malinowski si passa dunque alla costruzione di relazioni sociali, basate sulla conoscenza e anche sulla vicinanza alle altre specie.47

45 Per un approfondimento sulle ragioni di un mancato trattamento, soprattutto fino a qualche decenio fa, di tale argomento in ambito sociologico, si veda Cerulo (2009). Per una difesa della prospettiva antropocentrica, si veda Donati (2005).

46 Alcuni di tali casi sono ormai particolarmente celebri nella letteratura di riferimento: il pappagallo Alex, il bonobo Kanzi, il gorilla Koko, solo per citarne alcuni. Per una contestualizzazione, si veda Caffo (2014).

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Anche per quanto concerne la sociologia, tuttavia, la situazione è cambiata nel corso degli ultimi decenni, e numerose sono ormai le ricerche empiriche che includono gli animali non-umani nell’orizzonte dello studiabile sociologico: in modo particolare, è riconosciuta l’importanza dei seminali articoli The zoological connection di Bryant (1979) e In the

company of animals di Serpell (1986) per l’inizio degli studi sociologici sugli animali, sul

loro ruolo in società e sul loro rapporto con gli umani. Da un punto di vista più “strutturato”, la Actor-Network Theory (Callon, 1986, 1987; Latour, 1987) ha rappresentato un punto di svolta: in essa la categoria di attore sociale (o meglio attante) è assegnata non solo agli individui umani ma anche ai non-umani (spazi, tecnologie, animali non-umani). Va inoltre aggiunto che negli ultimi anni la questione animale ha attratto l’attenzione di dibattiti di più ampio respiro nell’ambito delle scienze sociali, a partire da lavori di teoria sociale (Latimer & Miele, 2013), teoria politica (Kymlicka & Donaldson, 2014) e teoria economica (Harvey & Hubbard, 2013), fino alla nascita di vere e proprie sotto-discipline, come ad esempio le cosiddette geografie animali (Miele, 2011; Buller, 2014).

Posti tali endorsement disciplinari, si è sviluppata una notevole mole di studi empirici sui più disparati argomenti che interessano la relazione essere umano-animale e il collocamento di tale relazione all’interno delle strutture sociali. Pur non essendo questo il luogo deputato a una puntuale review di tale letteratura, pare corretto citare alcuni sociologi, genericamente riconducibili all’approccio dell’interazionismo simbolico, che emersero come le prime figure a occuparsi dell’interazione fra animali umani e non-umani, dando vita alla parte più consistente dell’attuale branca sociologica degli HAS. In modo particolare vanno ricordati i lavori di Arluke (1987, 1988) nei laboratori scientifici e di Sanders (1993) sugli animali da compagnia, oltre alle analisi sulla violenza nei confronti degli animali non-umani quale predittore della violenza nei confronti degli esseri umani (Tingle, Barnard, Robbins, Newman, & Hutchinson, 1986; Arluke & Luke, 1997; Ascione, 1999; Flynn, 2001; Sorcinelli, Manganaro, & Tettamanti, 2012).48

Parecchie sono state, inoltre, le teorie sociologiche classiche riadattate da autori/attivisti animalisti, anche al fine di proporre nuovi spunti per l’advocacy coalition di nostro interesse. proprio applicata ad un caso-simbolo della questione animale e dell’animalismo italiani (il Palio di Siena), si veda il saggio di Cristiana Franco (2008).

48 Dettagliate review sullo studio del rapporto esseri umani/esseri animali e animali/società da un punto di vista sociologico si trovano in Irvine (2007, 2008, 2012), Cerulo (2009) e Hobson-West (2007): è una letteratura in fortissima espansione e tuttavia, come già detto, soltanto limitrofa al nostro fenomeno di interesse, che è certamente antropo-centrato, trattandosi di una ricerca su umani che si occupano di animal advocacy.  

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Per esempio, Mennell (1991) ha tracciato una correlazione fra processo di civilizzazione, soglia della ripugnanza, evoluzione delle buone maniere (Elias, 1939) e affermazione della dieta vegetariana.

Ted Benton (1995), invece, ha applicato un approccio marxista allo sfruttamento degli animali non-umani, proseguendo una tradizione che vede illustri pionieri negli autori della Scuola di Francoforte e in particolar modo, come già ricordato, in Horkheimer e Adorno. Una prospettiva marxista, in particolare basata sul processo di mercificazione degli animali non-umani ma applicata al nuovo scenario globale, è anche quella di autori come Lee Wrenn (2011), Perlo (2002), Torres (2007), Bellamy Foster (1999), e Barbara Noske (1989) la quale parla degli animali non-umani come esempi di lavoratori alienati.49 Oltre a tali contributi accademici, si registrano altre pubblicazioni dal taglio maggiormente militante, come il noto

pamphlet anonimo Beasts of burden (2004), o il volume Animal capital di Nicole Shukin, in

cui lo sfruttamento animale viene legato a doppio filo allo sviluppo capitalista, sottolineando che “disruptions in animal capital have the potential to percuss through the biopolitical chains of market life” (Shukin, 2009, p. 24).

Il concetto di biopolitica ci conduce a un’altra prospettiva classica delle scienze sociali, quella foucaultiana, che è stata applicata alla questione animale da numerosi autori: in particolare Cole (2011) ha tracciato un parallelismo fra l’approccio foucaultiano e il passaggio da farmed animals a happy meat tramite dispositivi volti a costruire “corpi docili”, “occultamento” delle pratiche più cruente presso istituzioni totali (Goffman, 1961) e utilizzo di una forma di potere pastorale. Oltre a Cole, il cui contributo si distingue per la sistematizzazione delle applicazioni del vocabolario foucaultiano alla questione animale, diversi altri autori e autrici hanno applicato categorie e prospettive del filosofo francese all’analisi della condizione animale (Holloway, 2007; Holloway & Morris, 2007; Novek, 2008). Si segnalano in modo particolare il lavoro di Taylor (2010) riferito al rapporto fra “tecniche del sé”, “autodisciplina” e dieta vegetariana; quello di Thierman (2010) inerente la relazione fra i concetti di “apparato”, “tecnologie” e “potere” e il loro utilizzo all’interno dei macelli; e il recente saggio di Piazzesi (2015) sulla genealogia e archeologia dello sfruttamento animale con particolare focus sull’istituzione zootecnica.50

Esiste poi una tradizione riferibile a Carol Adams (1990) e ad altre autrici (Haraway, 1991; Peek, Bell, & Dunham, 1996; Donovan & Adams, 1996; Battaglia, 1997; Manton, 1999;

49 Per quanto concerne una disamina dei testi marxisti nelle loro parti inerenti gli animali non-umani, si veda Gunderson (2011).

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Rivera, 2010; Gaarder, 2011a, 2001b) che hanno applicato un approccio di natura femminista alla questione animale, per evidenziare le interconnessioni fra le due forme di sfruttamento. A tale letteratura di classica discendenza femminista, se ne è affiancata un’altra, in anni recenti, maggiormente legata al mondo transgender, in cui l’effetto dirompente dell’antispecismo e la sua sovversione delle tradizionali categorie di “naturalità” viene letta in chiave queer (Simonsen, 2012).

Secondo Munro (2005, 2012), oltre alle teorie sociologiche applicate all’animalismo precedentemente esaminate (eliasiana, marxista, foucaultiana, femminista), andrebbe aggiunto il socio-costruzionismo; tale approccio è utilizzato anche da altri autori su specifici argomenti, come il consumo di carne (Maurer, 1995) e gli allevamenti intensivi (Kunkel, 1995). Il concetto di diritti animali non sarebbe pertanto un concetto “naturale” ma costruito dagli

animal advocates per proporre un differente frame rispetto a quello antropocentrico e

dominante. In questa prospettiva gli individui diventerebbero animal advocates tramite un

social problem work (Holstein & Miller, 1993): grazie alla classica tripla operazione di

diagnosi, prognosi, motivazione (Snow & Benford, 1988), costruirebbero il problema e cercherebbero di “normalizzarlo” per renderlo familiare presso una più ampia audience (Munro, 2012). Altri autori (Birkeland, 1993; Nibert, 2003) sottolineano piuttosto il carattere socio-costruito dello specismo: se infatti tutti i socio-costruzionismi consistono nella definizione di una questione e nella volontà di problematizzarla fino a rendere “naturali” le proprie istanze (Berger & Luckmann, 1966), tale etichetta pare più consona ai presupposti specisti in senso stretto che non a quelli antispecisti, i quali si trovano agli inizi del loro lavoro di (de)costruzione sociale del problema.

Nel documento ANIMALI  POLITICI. (pagine 30-34)