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FRASI ESCLAMATIVE

Nel documento La sintassi del Convivio (pagine 93-97)

4. TRATTAZIONE DELLE FRASI PRINCIPALI

4.4 FRASI ESCLAMATIVE

In questo tipo sintattico Vallone individua uno degli stili caratterizzanti del

Convivio, quello esclamativo appunto, allato di quello metaforico, ragionativo, espositivo-narrativo, sentenzioso-preverbioso ecc : «Un posto a sé può assegnarsi

all’exclamatio, una novità del Cv rispetto alla Vn, sia per la frequenza di casi, sia per tensione spirituale» [VALLONE 1967 : 37].

Oltre al valore retorico dell’esclamazione, occorre sottolinearne il valore extralinguistico che sottrae questa struttura sintattica ai discorsi apofantici. La natura pragmatica di enunciato della frase esclamativa è evidente nella definizione riportata da Mario Medici nell’Appendice dell’Enciclopedia dantesca: «…l’espressione verbale di un sentimento, di una condizione spirituale o psicologica, caratterizzata da un tono della voce e affidata anche ad altri mezzi espressivi non puramente linguistici.» [MEDICI

1978b : 366]. In altre parole, sono i tratti paralinguistici e sovrasegmentali (in particolare la curva prosodica) a individuare la distinzione fra una dichiarativa e la corrispondente frase esclamativa, laddove non si trovino degli introduttori specificamente esclamativi come le interiezioni131.

E non siano li miseri volgari anche di questo vocabulo ingannati, che credono che cortesia non sia altro che larghezza; e larghezza è una speziale, e non generale, cortesia! (Cv II X 7)

Per topicalizzazione contrastiva132, l’enunciato realizza il suo picco prosodico più alto sull’aggettivo speziale, il costituente più marcato della tone-unit: ‘e la larghezza è una SPEZIALE, e non generale cortesia!’.

Io dicea ben: nelli occhi di costei de’ star colui che le mie pari ancide!' (Cv II Voi che ‘ntendendo, 36-7)

Tale esempio è pragmaticamente pregnante: a parte l’uso epistemico di dovere (de’ star), rileviamo che il soggetto è in posizione apparentemente rematica. In realtà ci troviamo anche qui di fronte a una caso di topicalizzazione contrastiva: 'NELLI OCCHI

131 Mario Medici ripropone la definizione di interposto in Buonmattei: «Parte indeclinabile dell’orazione che si intromette per entro il parlare, per accennare i subiti fatti dell’animo» […]» e quella del Ruscelli: «Intergezzione, che è una delle otto parti del parlamento, è voce che significa gettare in mezo. E perché queste tali paroli vanno come interposte e gettate nel mezo del corso della sentenza, è loro dai grammatici stato attribuito questo nome» [MEDICI 1978b : 366].

132

«Le frasi con topicalizzazione contrastiva e le frasi scisse sono normalmente anche frasi esclamative» [BENINCÁ 1988 : 128].

DI COSTEI de’ star colui che le mie pari ancide!'. Il rema è il costituente marcato dal rilievo prosodico, mentre il soggetto rimane il tema anche se dislocato a destra.

Nè la sola presenza di un punto esclamativo (tanto più che, evidentemente, la sua collocazione varia con le scelte editoriali) è in grado di per sé di contraddistinguere univocamente un’esclamativa. Abbiamo marcato come frase esclamativa casi in cui il punto esclamativo non c’era:

Amor, segnor verace,/ecco l’ancella tua: fa che ti piace… (Cv II Voi che ‘ntendendo 52)

Figlio, vertù mia, figlio del sommo padre, che li dardi di Tifeo non curi (Cv II V 14)

Figlio, armi mie, potenzia mia. (ibidem)

Sono tutti casi di apostrophatio nei quali abbiamo ravvisato una intonazione costantemente alta e culminante nel costituente finale, a differenza dell’intonazione della frase dichiarativa «che decresce regolarmente e nettamente a partire dal picco coincidente con l’accento tonico del primo costituente» [BENINCÁ 1988 : 127]. Del resto i vocativi rappresentano marche tipiche di un enunciato esclamativo: «La

exclamatio (ekfonesis) consiste nella trasformazione di una frase affermativa in

un’esclamazione (per mezzo di una rafforzata pronuntiatio) che per lo più è accompagnata da vocativi…» [LAUSBERG 1967: 246].

Viceversa non abbiamo considerato questo segno interpuntivo indicatore di forza illocutoria esclamativa (cioè idoneo a esprimere meraviglia) in casi come:

Mira quant'ell'è pïetosa e umìle, saggia e cortese nella sua grandezza,

e pensa di chiamarla donna, omai! 133

(Cv II Voi che ‘ntendendo 46-8)

Spesso le esclamative hanno forma nominale:

Figlio, vertù mia, figlio del sommo padre, che li dardi di Tifeo non curi (Cv II V 14)

Figlio, armi mie, potenzia mia (idem)

Oh beati quelli pochi che seggiono a quella beata mensa dove lo pane delli angeli si manuca! e miseri quelli che con le pecore hanno comune cibo! (Cv I I 7)

L’ultimo esempio citato palesa come le esclamative nominali sostituiscano spesso al verbo «un predicato anteposto esclusivamente aggettivale» [BENINCÀ 1988 :

145]. In particolare i predicativi beati (voce questa individuata da Medici come prototipo di struttura frasica esclamativa), e miseri, con copula normalmente sottintesa, hanno un forte valore perlocutorio: «è come se l’atto linguistico stesso avesse la capacità di rendere felici (sfortunati ecc..) i soggetti indicati» [idem : 146].

La pregnanza pragmatica di questo enunciato non si esaurisce nella sua natura

semantica piuttosto che apofantica134, ma si realizza in un tratto ancora più vistoso: una triplice indessicalità. Il contenuto frasale autonomo scatterà soltanto al momento dell’attribuzione di un referente alle variabili deittiche, nell’aggiunta di un indice al SF (significato frasale) attraverso le informazioni contestuali indicate dal significato

enunciativo SE [BERTUCCELLI 1993 : 194]. Tanto dietro il determinante quelli (beati

quelli pochi che…) quanto dietro le due espressioni definite «alla beata mensa ove…» e

«lo pane delli angeli» non vi è un’anafora lessicale, ossia un referente da individuare risalendo lungo la catena anaforica del testo, ma un forte tratto di indessicalità che il lettore è chiamato a colmare esoforicamente in virtù della cosiddetta presupposizione

pragmatica. «L’articolo determinativo, giusta la propria funzione intrinseca, rinvia

l’ascoltatore alla preinformazione, laddove per opposizione l’articolo indeterminativo gli annuncia una postinformazione» [WEINRICH 2004 : 46], o per dirla con Prisciano «Articulus [quello determinativo] secundam notitiam … demonstrat. Si enim dicam άνθρωπος ήλθεν primam notitiam ostendo; sin ο άνθρωπος ήλθεν, secundam» [KEIL

1961 : 124]. L’esempio citato prenderebbe così le mosse dalla postinformazione, poiché la preinformazione è data per nota, avendo il referente un alto grado di salienza

all’interno della situazione comunicativa [BERTUCCELLI 1993 : 152]: D. sta additando dei precisi beati, una precisa mensa e un preciso pane di scritturale memoria, con un’ostensione pragmatica che presuppone la condivisione con il lettore dell’enciclopedia, ovvero delle fonti mnemoniche, dello sfondo cognitivo sul quale è

proiettato il discorso [ibidem]. Il rinvio deittico in questo caso è rappresentato da uno

spazio intertestuale (Giovanni 6, 9) che si colloca idealmente nel mezzo tra emittente e destinatario, in un centro deittico, teoricamente accessibile a entrambi.

All’evocazione di questo common ground e alla corretta individuazione dei punti di attacco extrasintagmatici contribuiscono il genitivo (delli angeli) e le relative

restrittive ricorsive135: si tratta di risorse di cui la lingua dispone per modificare le espressioni deittiche, circoscrivendone il contenuto (beati quelli pochi che seggono alla

beata mensa ove lo pane delli angeli si manuca). Per dirla con Laura Vanelli: tale

relativa restrittiva «permette all’ascoltatore di ridurre l’insieme dei referenti candidati all’individuazione al solo, cui fa riferimento il parlante…poiché non è possibile favorire l’identificazione con mezzi paralinguistici [mediante l’ostensione vera e propria ad esempio], l’uso della relativa serve a ridurre eventuali ambiguità.» [VANELLI-RENZI

1988 : 335-6].

L’identica struttura sintattica (espressione deittica con intrinseca ostensione e presupposizione pragmatica + relativa restrittiva volta a selezionare, ‘additandolo’, il contenuto referenziale dell’antecedente) ricorre nella ieraticamente solenne chiusa del I trattato, un analogo passo di sapore scritturale:

Questo sarà quello pane orzato del quale si satolleranno migliaia, e a me ne soverchieranno le sporte piene. Questo sarà luce nuova, sole nuovo, lo quale surgerà là dove l'usato tramonterà, e darà lume a coloro che sono in tenebre ed in oscuritade, per lo usato sole che a loro non luce. (Cv I XIII 12).

4.4.1 Esclamative dipendenti

Per economia e praticità riportiamo di seguito i casi di esclamativa dipendente (‘esclam’) individuati136, tutti in poesia:

Mira quant'ell'è pïetosa e umìle (Cv II, Voi che ‘ntendendo, 46)

«Ponete mente almen com'io son bella!» (idem, 61)

135 La ricorsività «…consiste nel poter includere una frase nell’altra, iterando, in linea teorica un tale procedimento all’infinito; ovviamente una tale possibilità non potrà mai realizzarsi in concreto, se non altro perché non è possibile disporre di un tempo infinito o di una memoria infinita: si tratta quindi di una possibilità riservata alla competenza, che non può essere realizzata nell’esecuzione» [GRAFFI 1994 : 29]. «Una regola che si possa applicare al risultato di una precedente applicazione di se stessa si dice (con un termine preso in prestito dalla matematica) ricorsiva; e rocorsività si chiama il fenomeno per il quale, in un codice, possono esistere regole ricorsive.» [SIMONE 1990 : 79]. Per la ricorsività come meccanismo di espansione sintattica: idem : 220-2.

Tali relative restrittive applicate a un’espressione deittica dimostrano che «la sintassi ha probabilmente anche la funzione di operare come mezzo per la riduzione dell’ambiguità, perché permette di collocare parole in ambienti sintagmatici che ne limitano la molteplicità di significati. Questa proprietà discende dal carattere di con testualità … L’ambiente sintagmatico determina il significato delle parole che en fanno parte, favorendo la selezione dei soli valori pertinenti» [idem : 185].

Per la trattazione delle relative restrittive v. 6.2.1.

136 Uno degli esempi riportati nella Grande grammatica è “Hai visto quanto è grande la sua casa!” [BENINCÀ 1988 : 147].

Nel documento La sintassi del Convivio (pagine 93-97)