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1872-1944

Lo scarso entusiasmo per quella iscrizione pilotata si riflette nella mediocrità dei ri- sultati: Gina si laurea il 13 luglio 1895 con un punteggio tra i più bassi attribuiti ai 22 laureati in Lettere di quell’anno: 74/110. Le lezioni che ha dovuto seguire le sono parse francamente noiose: ma le ha per così dire vitalizzate con i corsi liberi di Medicina le- gale e di Antropologia criminale (tenuti entrambi dal padre) e con quello di Fisiologia svolto da Angelo Mosso. Forse ha in mente un progetto. Di fatto, è proprio grazie al conseguimento di quella laurea in Lettere che Gina, dopo l’iscrizione del fratello Ugo a Medicina, riesce a spuntarla in famiglia e può accedere direttamente al secondo anno. Alla Facoltà medica di Torino, che annovera tra i suoi professori i nomi più illustri della medicina italiana, Gina segue i corsi di Angelo Mosso per la fisiologia, Giulio Bizzozzero per l’Istologia, Luigi Pagliani per l’Igiene sperimentale, Camillo Bozzolo per la Clinica speciale medica, Luigi Roncoroni per la Psichiatria, Bonaventura Graziadei per la Patolo- gia speciale medica, nonché Cesare Lombroso per la Medicina legale e l’Antropologia cri- minale. Mentre ancora frequenta Medicina, inizia a collaborare attivamente all’“Archivio di psichiatria” dove pubblica anche il suo primo lavoro scientifico, L’atavismo nel delitto

e l’origine della specie, oltre che numerose recensioni. La conoscenza delle lingue straniere

(legge correntemente il tedesco, l’inglese, il francese e lo spagnolo) la mette a diretto contatto con il dibattito scientifico internazionale (Dolza 1990, p. 50):

«Mi piacevano enormemente i corsi di medicina […] – leggiamo nell’autobiografia – perché con questi studi potevo essere utile al papà, parlarne, discuterne […]. Se il papà fosse stato commerciante, industriale, agricoltore, io colla stessa foga mi sarei dedicata allo sport, all’agricoltura, all’industria, al commercio.»

Anche se finalmente approdata a quegli studi che più desiderava e che le consentivano di affiancarsi a pieno titolo al lavoro scientifico del padre, Gina si appassiona di politica e si dedica alla ricerca sociologica e all’impegno sociale. Nel 1896 fonda con la sorella Paola una istituzione di pubblica assistenza, «Scuola e famiglia»: è una sorta di doposcuola che consente alle famiglie operaie di non lasciare soli i figli al termine della giornata scolasti- ca. Oltre a questa attività, intraprende ricerche di carattere sociologico: si occupa delle condizioni di vita del quartiere operaio della Crocetta, dell’analfabetismo e dei fattori di successo degli scioperi. Ne pubblica i risultati su “Riforma sociale”, “Critica sociale” e, dal 1902, su “Il Socialismo”. Sono gli anni della stretta autoritaria del governo Pelloux e proprio in quel periodo, insieme alla sorella Paola, Gina si è avvicinata al socialismo. È una parentesi breve ma significativa nella sua formazione. Determinante è stata l’influen- za di Anna Kuliscioff, abituale frequentatrice del salotto di casa Lombroso verso la fine degli anni Ottanta, quando la Kuliscioff si trova a Torino per specializzarsi in ostetricia.

Dopo il padre Cesare, la Kuliscioff è la persona che più incide sulla personalità delle «Lombrosine», come le appella confidenzialmente nelle lettere a Filippo Turati:

«Aveva un fascino personale indicibile […] – scrivono Gina e Paola Lombroso nella biografia dedicata al padre Cesare – Noi c’infervorammo allora per le questioni sociali e politiche, e con noi il papà.» (Paola e Gina Lombroso 1906, p. 91)

È lei che si preoccupa di consigliare letture, studi e anche stili di vita; è lei che ha suggerito loro di impegnarsi nel doposcuola, riferendo di una esperienza già attiva a

Milano; è lei che ha regalato l’edizione italiana dell’opera di J.S. Mill, The Subjection of

Women, uscita a cura di Annamaria Mozzoni nel 1870. E si deve sempre al suo intervento

sul padre Cesare se il matrimonio di Gina con Guglielmo Ferrero, officiato alle otto del mattino con rito civile e in forma strettamente privata, non ripeterà le tradizioni nuziali del matrimonio della sorella Paola con Mario Carrara.

Il 1901 è un anno importante. Gina Lombroso si laurea in Medicina: ancora una vol- ta il 13 di luglio, ma questa volta a pieni voti. Il suo lavoro di tesi (di cui non c’è rimasta copia) porta lo stesso titolo del volume che uscirà, pochi anni dopo, presso la casa editrice Bocca, I vantaggi della degenerazione. Sempre nel 1901 ha finalmente acconsentito a spo- sare, dopo un fidanzamento decennale, Guglielmo Ferrero.

«Ricordi quella sera dell’aprile del 1889, in cui venni per la prima volta nella casa dei tuoi, in Corso Oporto, a Torino? Vedo ancora, come poche settimane fossero passate, nella penombra di un crepuscolo piovoso, tutta la famiglia seduta intorno alla tavola, nella sala da pranzo. Eravamo allora poco più che due ragazzi. Quasi mezzo secolo è passato. Dalle vette della vecchiaia a cui siamo giunti camminando insieme, mi volto oggi e guardo laggiù, nella valle del tempo, a quel momento lontano, in cui il nostro destino fu deciso dalla affinità dei presentimenti che orientavano già i nostri spiriti adolescenti. Presentimenti ancora confusi; ma già covavano sotto la fronte pura della fanciulla che, quella sera, sedeva quetamente, le lunghe trecce pendenti sulle spalle, al desco familiare accanto a suo padre […].» (Ferrero 1936, p. i)

Laureato in Giurisprudenza e poi in Lettere a Bologna, Guglielmo Ferrero, che era stato attratto e affascinato, ancora studente, dalla figura di Cesare Lombroso, ne era dive- nuto nel tempo uno dei suoi allievi più cari. Quando nel 1901 sposa Gina è già l’autore de L’Europa giovane (Milano, Treves, 1897), opera dedicata al futuro suocero, insieme a cui ha pubblicato nel 1893 La donna delinquente, la prostituta e la donna normale (Tori- no, Roux), vero e proprio manifesto della misoginia scientifica ottocentesca (cfr. Babini, Minuz, Tagliavini 1989). Dal 1897 ha iniziato la collaborazione con il quotidiano mila- nese radicale “Il Secolo”.

Anno importante, il 1901, ma non ancora anno della svolta: per Gina, l’autonomia intellettuale sarà un cammino lento, al passo tra due figure, il padre e il marito, che entrano anche in conflitto in quella che lei sente come vocazione alla collaborazione professionale: ruolo in qualche modo ancillare che vedrà il proprio compimento solo con la morte del padre nel 1909 e il successo internazionale del marito, decretato dall’opera

Grandezza e decadenza di Roma (Milano, Treves, 1902-1906).

Dopo la laurea, Gina ha proseguito la sua attività di ricerca, svolgendo studi sulla pazzia morale, l’epilessia e la criminalità: lavori scientifici costruiti su casi clinici (non solo femminili) che ha potuto osservare nella clinica psichiatrica dell’Università di Torino dove per alcuni anni è «assistente onorario». È una delle pochissime donne che nei primi anni del Novecento frequenta le corsie degli ospedali: la clinica medica del Bozzolo, il reparto di patologia speciale medica diretto da Graziadei, e, come già si è detto, la clini- ca psichiatrica. Continua, ovviamente, la sua intensa collaborazione con l’“Archivio di psichiatria”; del resto, ha accettato di sposare Ferrero ponendo come condizione quella di non lasciare gli studi di medicina e di abitare nella stessa casa dei genitori, nonché di continuare il rapporto di collaborazione con il padre. In effetti è dall’“Archivio di psichia-

tria” che Cesare Lombroso dirige i movimenti della sua scuola «come il pilota dal timone della sua nave», e in quest’impresa Gina lo aiuta concretamente nella redazione. Ma non solo: facendosi insieme filtro e interprete della prassi scientifica e intellettuale del pa- dre scienziato (di cui cura personalmente anche la corrispondenza), viene guadagnando progressivamente la propria autonomia scientifica e insieme un’identità di tutto rispetto anche agli occhi dei colleghi del padre.

I lavori scientifici pubblicati in quei primi anni del Novecento sono ancora, per così dire, lavori di scuola: dove la «dottoressa Gina» – così la chiamavano gli amici colleghi di Cesare Lombroso – dà prova, oltre che della sua competenza e delle sue capacità cliniche, dell’appartenenza alla «équipe Lombroso». Ma è con l’opera I vantaggi della

degenerazione, edito da Bocca nel 1904, che entra finalmente e a pieno titolo, come “au-

tore”, nel dibattito scientifico contemporaneo, affrontando il proprio padre-maestro nel suo stesso campo specifico. In particolare, Cesare Lombroso aveva utilizzato il concetto di degenerazione nello studio del fenomeno del genio, connotandolo però in senso op- posto a quello ormai diffuso nella letteratura psichiatrica dell’epoca e centrando la sua riflessione sul legame tra genio e degenerazione, dove il genio veniva a rappresentare una «devianza positiva» che si poneva agli antipodi di quella dell’uomo delinquente, costruita sul concetto di atavismo. In tal modo Lombroso suggeriva un’idea di degenerazione che si associava per così dire a una funzione sociale: i «giganti del genio» sono «degenerati» che, in anticipo sui tempi, camminano sulle strade del futuro e pagano in follia la loro originalità intellettuale.

Considerata in rapporto agli studi sul genio di Cesare Lombroso, la monografia di Gina, che fin nel titolo annunciava un rovesciamento di segno nella trattazione della de- generazione, era insieme uno sviluppo e un superamento delle concezioni del padre. Ma evidente è l’ispirazione del tutto nuova dell’opera, lontana da quella positivistica che mar- ca il dibattito ottocentesco sulla degenerazione, nonché gli studi di Cesare Lombroso:

«Forse è la prima volta – avverte anche “Civiltà Cattolica” (1905), che teme uno stuolo di amazzoni della scienza antropologica al seguito della figlia di Lombroso – che la penna di una donna gentile […] tratta con tanta disinvoltura dottrine, oltreché assurde, così fredde e così funeste agli infelici.» (Civiltà cattolica, Rivista della stampa 1905, p. 699)

Di fatto, ne I vantaggi della degenerazione l’argomento veniva affrontato sposando l’ottica biologica con una prospettiva sociologica; per Gina Lombroso, non si tratta tanto di «rigenerare la razza» o di contrastarne la degenerazione attraverso una medicina sociale e preventiva, bensì di guardare al fenomeno della degenerazione fisica e antropologi- ca dell’uomo moderno in relazione alle richieste e ai bisogni della vita contemporanea. Dopo aver illustrato che l’evoluzione non si compie in natura unicamente tramite varia- zioni progressive – come avevano pensato i teorici della degenerazione – ma che, al con- trario, i regressi e persino le patologie possono concorrere, attraverso una trasformazione utile, a rendere l’organismo più adatto all’ambiente in cui deve vivere, Gina richiamava l’attenzione sulla relazione uomo-ambiente. I locali «mefitici» delle fabbriche e delle case dell’uomo moderno – precisava – hanno preso il posto delle «lande deserte»; nuove con- dizioni di vita hanno richiesto dunque nuovi strumenti di lotta: è così che al «torace

potente» dell’antico progenitore si è sostituita la «resistenza passiva» ai microbi dell’uomo contemporaneo. Il busto asimmetrico, il volto pallido e scarno, il «corpo infrollito», il torace ridotto del cittadino del secolo nuovo non era il risultato della degenerazione, ma al contrario l’utile risposta adattiva a nuove condizioni di vita sociale e lavorativa. Insom- ma, industria, macchine, vita cittadina richiedono un nuovo tipo d’organismo: ciò che è stato considerato degenerato è piuttosto la risposta più idonea per la sopravvivenza nella vita industriale moderna. Questo il messaggio del libro del 1904.

Il successo dell’opera di Guglielmo Ferrero sulla Grandezza e decadenza di Roma por- ta la Lombroso a intraprendere con il marito un viaggio prima a Parigi (1906), poi in Sudamerica (Argentina, Uruguay, Brasile) e negli Stati Uniti. Gina approfitta dell’occa- sione per far visita a carceri, scuole, manicomi; ne sortirà un volume, edito nel 1908, in cui renderà conto di quel viaggio e di quelle visite, Nell’America Meridionale (Brasile-

Uruguay-Argentina), e il cui capitolo di chiusura è dedicato alla questione della donna e

al femminismo in Argentina. Ma mentre è in viaggio e visita le sopra citate istituzioni, Gina ha anzitutto il piacere di constatare che le idee di Cesare Lombroso hanno avuto là larga diffusione e applicazione, e non manca di segnalarlo al padre (G. Lombroso 1907, p. 648):

«Carissimo papà – scrive all’inizio di una lettera del 29 luglio 1907 che Cesare Lombroso pubblica così com’è nella rubrica Varietà della sua rivista – torno ora dall’aver fatto una visita con Ingegneros al “Penitenziario Nacional” e per la seconda volta (la prima fu alla Plata) rammarico che tu papà non sii qui. Se ti avessero cavato dalla testa quello che volevi fare per i delinquenti, per eseguirlo non avrebbero potuto far meglio di qui.»

Nei suoi testi, e persino negli interventi ai convegni, la dizione «mio padre» spes- so si sovrappone a quella più accademica che lo vuole citato per nome; qui invece, e in occasione della morte di Cesare Lombroso, la dizione più domestica e affettuosa di «papà» sembra imporsi con naturalezza. Del resto quella tra Gina e Cesare Lombroso è una relazione del tutto particolare: famigliare e insieme pubblica, per la quale Gina non sembra provare disagio; costituisce inoltre la radice personale ed esistenziale della sua concezione dell’alterocentrismo: perno del libro L’anima della donna che grazie alla sua diffusione – verrà tradotto in francese, tedesco, inglese, svedese, danese, olandese, rume- no, ungherese, spagnolo, polacco, giapponese – decreterà la sua fama mondiale e la sua autonoma fisionomia di intellettuale. L’alterocentrismo: una sorta di altruismo indotto dalla centralità dell’altro nella vita della donna.

Cesare Lombroso muore nell’ottobre del 1909. Da quel momento Gina trasferisce la sua collaborazione concreta nell’opera di diffusione e riedizione degli scritti del padre: di fatto ne è l’erede intellettuale e, da allieva qual è, s’adopra a mantenerne vivo il suo pensiero nell’ambiente scientifico contemporaneo. Nel 1910 esce l’edizione riassunti- va de L’Uomo delinquente, che di fatto è la versione italiana dell’edizione americana,

The criminal Man according to the classification of Cesare Lombroso (New York-London,

Putnam, 1910). Si tratta ancora di un lavoro prodotto in collaborazione con il padre. Sarà infatti attorno agli anni Venti che Gina si dedicherà particolarmente alla riedizione delle opere di Cesare Lombroso. Nel frattempo ha lasciato Torino e si è trasferita con la

famiglia a Firenze: siamo nel 1916, il marito Ferrero codirige a Firenze con J. Luchaire la “Rivista delle nazioni latine”. Qui, alla fredda accoglienza dei fiorentini Gina ha risposto impegnandosi per il mondo femminile: ha fondato una associazione, l’ADDI, Associa- zione Divulgatrice Donne Italiane, in cui presta la sua attività anche pubblicando scritti su problematiche femminili e sul tema della guerra.

Poco prima della cura delle riedizioni de La donna delinquente e de L’uomo delinquen-

te, che escono rispettivamente nel 1923 e nel 1924 – lavoro delicato e complesso per cui

ha dovuto intervenire sul testo del padre riassumendone parti, alleggerendone lo stile, aggiornandone i dati – Gina ha messo a punto i due libri che costituiscono L’anima della

donna e che, pubblicati in prima edizione nel 1917-1918 come opuscoli della ADDI,

approderanno nel 1920 alla casa editrice Zanichelli di Bologna, e di lì raggiungeranno il successo internazionale.

La stesura del libro è del tutto particolare: ha più propriamente una vita. Il volume infatti è venuto crescendo nel corso di cinque anni nella mente dell’autrice che ne ha condiviso e discusso le idee privatamente e pubblicamente, tra uomini e donne di di- versi ceti, culture, con le donne dell’ADDI: richiedendo di farle giungere per iscritto le proprie opinioni e le proprie riflessioni. Inoltre, grazie al confronto e al dibattito che ha fatto seguito alla prima edizione (decisamente meno consistente di quella del 1920), il libro si è andato di nuovo arricchendo e precisando. Opera già corale nella sua costru- zione, L’anima della donna viene offerta alle lettrici come «mezzo» per aiutare la donna a renderla consapevole della sua «tragica» situazione esistenziale (piuttosto e prima che sociale). Ma è anche presentata come «punto di partenza», libro aperto dunque, per una più completa investigazione dell’animo femminile. Di fatto, è un’opera complessa con cui Gina Lombroso, al di là della tesi della complementarità dei sessi e delle rispettive qualità, si cimenta a illustrare la contraddizione, per lei costitutiva dell’animo femminile, tra ideali femministi e «alterocentrismo»: «la donna ondeggia continuamente come il bi- lanciere di un orologio, fra i suoi interessi, rappresentati generalmente dal femminismo, e le sue passioni, rappresentate dall’istinto altruistico materno, dall’amore.» Questa la radice della sua ineluttabile tragicità.

A seguito delle persecuzioni politiche da parte del regime, Gina, che si rifiutò sempre di scrivere sotto pseudonimo, riesce a espatriare, grazie all’intervento del re del Belgio, e a raggiungere nel 1930 il marito che già si trova a Ginevra. L’anno precedente, il Fer- rero, nominato professore di Storia contemporanea a Ginevra, era riuscito a ottenere il passaporto dopo un ripensamento di Mussolini (28 ottobre 1929), che, seguendo la sua consueta politica degli ostaggi, l’aveva negato alla restante famiglia. La casa di rue de l’Hôtel de Ville, nel cuore della vecchia Ginevra, divenne un vero e proprio rifugio per l’antifascismo italiano.

Negli anni dell’esilio Gina si dedica all’approfondimento degli studi sul «macchi- nismo»: in Le tragedie del progresso (1930) e Le retour a la prosperité (1933) affronta gli sviluppi della nuova epoca industriale in una prospettiva sociologica. Ma gli anni di Ginevra sono anche gli anni che segnano tragicamente la sua vita. Il 26 agosto del 1933 muore il figlio in un incidente automobilistico nel Nuovo Messico. Giovane poeta e intellettuale, Leo non ha ancora trent’anni. Da quel momento Gina Lombroso diventa la «mamma di Leo», come già si era firmata nelle novelle per l’infanzia scritte negli anni

Dieci. Gina si impegna dunque nell’opera di raccolta e cura degli scritti del figlio, per la cui memoria fonda anche la associazione «Amici di Leo». Muore nel 1944 a Ginevra, dove nel 1942, alla morte del marito Guglielmo, l’aveva raggiunta la sorella Paola. Le sue spoglie, come quelle di Guglielmo Ferrero, riposano nel cimitero di Plainpalais, nel Nuovo Messico, accanto a quelle dell’amato figlio Leo.

ELENCODELLEPRINCIPALIPUBBLICAZIONI1

• Sulle condizioni sociali ed economiche degli operai di un sobborgo di Torino, Riforma sociale,

4, 1896, pp. 310-330.

• I coefficienti della vittoria negli scioperi, Critica sociale, 7, 1897, pp. 3-21.

• Sulle cause e i rimedi dell’analfabetismo in Italia, Riforma sociale, 8, 1898, pp. 3-10. • L’atavismo nel delitto e l’origine della specie, Archivio di psichiatria, antropologia criminale,

scienze penali, 20, 1899, pp. 579-580.

• Sull’origine della separazione dei sessi in natura, Rivista di scienze biologiche, 1, 1899, pp.

1-4.

• I vantaggi della degenerazione, Rivista di scienze biologiche, 2, 1900, pp. 848-874. • Il lavoro delle donne e le leggi protettive, Socialismo, 1, 1902, pp. 4-6.

• I vantaggi della degenerazione, Torino, Bocca, 1904, 230 p.

• Le rôle de la pitié dans la justice, Archivio di psichiatria, antropologia criminale, scienze

penali, 27, 1906, pp. 636-541.

• L’invasione degli uomini nel regno delle donne, La lettura, rivista mensile del Corriere della

Sera, 6, 1906, 3, pp. 801-806.

• (con Paola Lombroso), Cesare Lombroso. Appunti sulla vita. Le opere, Torino, Bocca, 1906, 269 p.

• Embriologia delle forme pazzesche, Archivio di psichiatria, antropologia criminale, scienze

penali, 28, 1907, pp. 53-59.

• Nell’America meridionale (Brasile, Uruguay, Argentina): Note e impressioni, Milano, Treves,

1908, 356 p.

• La vita del papà, Archivio di psichiatria, antropologia criminale, scienze penali, 30, 1909,

pp. 607-632.

• L’uomo alienato. Trattato clinico sperimentale delle malattie mentali. Riordinato dalla dott.ssa Gina Lombroso, Torino, Bocca, 1913, 413 p.

• Le commedie di Leo e Nina, Torino, Paravia, 1915.

• Cesare Lombroso. Storia della vita e delle opere narrata dalla figlia, Torino, Bocca, 1915. • La questione della donna e le sue difficoltà, Nuova antologia, 191, 1917, pp. 85-89.

• Riflessione sulla vita. L’anima della donna, Libro I: La tragica posizione della donna, Firenze,

ADDI, 1917, 26 p.

• Riflessione sulla vita. L’anima della donna, Libro II: Conseguenze dell’altruismo, Firenze,

ADDI, 1918, 51 p.

• L’anima della donna, Bologna, Zanichelli, 1920, 239 p.

• Anime di donne. Vite vere, Bologna, Zanichelli, 1925, 153 p. • La donna nella società attuale, Bologna, Zanichelli, 1927, 198 p.

• Nuove vite di donna (Autobiografie raccolte da Gina Lombroso), Bologna, Zanichelli, 1929,

161 p.

• Le tragedie del progresso meccanico. Origine - ostacoli - trionfi - sconquassi del macchinismo,

Torino, Bocca, 1930, 312 p.

• Le retour à la prospérité. Les erreurs du passé et le tâches de l’avenir, Paris, Payot, 1933, 280 p. • Lo sboccio di una vita. Note su Leo Ferrero-Lombroso dalla nascita ai vent’anni, Torino, Tipo-

grafia Frassinelli, 1936, 341 p.

• L’oeuvre de Leo Ferrero à travers la critique, Génève, P.E. Grivet, 1943.

FONTIARCHIVISTICHE

Archivio storico dell’Università di Torino: IX A 64, Registro della carriera scolastica, Facoltà di

Lettere e Filosofia 1891-92, n. matr. 88, p. 88; IX A 334, Registro della carriera scolastica, Facoltà di Medicina, dal 1004 al 1634 bis, n. matr. 1145, p. 1145; X.F.128, Registro degli esami di laurea in Lettere e Filosofia dal 5 novembre 1890 al 21 dicembre 1899, p. 134; X

A 109, Registro degli esami di laurea dal 1900 al 1901, Facoltà di Medicina e Chirurgia, p. 147.

FONTIBIBLIOGRAFICHE

Geni e degenerati. Saggio di nuovi studii d’antropologia, Civiltà cattolica, Rivista della stampa,

4, 1905, pp. 692-700.

Valeria P. BABINI, Fernanda MINUZ, Annamaria TAGLIAVINI, La donna nelle scienze dell’uomo.