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1871-1954

«A me di non aver fiabe o libri da bambini importava poco – scrive la sorella Gina nella sua Autobiografia inedita – perché non mi piaceva affatto di leggere, ma altra cosa era per Paola. È nata con la penna e il libro in mano[…]. La stessa passione che aveva per scrivere aveva per leggere. La sua passione era tale che finiva per contentarsi anche delle

Avventure di Telemaco, dell’Asino d’oro, e delle Mie prigioni, che il papà le offriva, ma li

leggeva per disperazione, rodendosi di non poter leggere libri più divertenti.»

Non medico, come invece la sorella Gina e il fratello Ugo, e mai laureata, la primo- genita di casa Lombroso ama prevalentemente la letteratura, la pittura e la musica, ed è soprattutto attratta e incuriosita dal mondo mentale infantile: vero e proprio continente sconosciuto per la scienza del diciannovesimo secolo. A quel mondo rivolgerà i primi suoi studi scientifici; a quel mondo indirizzerà i suoi scritti letterari, a cui dopo la prima guerra mondiale si dedicherà definitivamente ed esclusivamente. Ha anche un’altra pas- sione: divulgare il sapere e l’amore per la lettura in un pubblico «minore» (classi inferiori, donne, bambini). È forse questa l’impronta più forte che il padre Cesare è riuscito a dare alla personalità di quella che è la sua figlia più indipendente, sia nel percorso formativo, sia nel contenuto delle proprie riflessioni. Perchè, «nata con la penna in mano», deside- rosa di autonomia, insofferente della disciplina scolastica, Paola riesce a sottrarsi lenta- mente anche a quella «scienza in famiglia» che aveva visto prima la madre, e poi le figlie, collaborare al lavoro scientifico e intellettuale di Cesare Lombroso (Dolza 1990, p. 96):

«La Paola in casa – scrive ancora la sorella Gina – era in una condizione falsa, i dissidi fra lei e la mamma, e il papà, e l’Arnaldo crescevano. La Paola aveva delle doti organizzative che in casa non si potevano in alcun modo espandere […] mentre io ero incastonata in modo perfetto […] la Paola aveva mille ragioni […] per desiderare di uscire di casa.»

Dalle pagine autobiografiche della sorella Gina apprendiamo che Paola ebbe tra gli insegnanti privati anche lo scienziato Michele Lessona. Divulgatore tra i più rappresen- tativi della cultura scientifica italiana (Govoni 2002), Lessona, che le impartì lezioni di storia naturale in cambio, per così dire, di un aiuto di segreteria, dovette senz’altro influire sulla intenzione della giovane di mettere la propria penna al servizio della diffusione del sapere scientifico e per il mondo infantile. Sappiamo anche che, ad un certo punto, Paola lasciò gli studi classici preferendo dedicarsi alla pittura sotto la guida di Calderini. Ma la troviamo però, già alla fine degli anni Ottanta, non ancora ventenne, tra le firme della “Gazzetta letteraria” di Vittorio Bersezio e del “Fanfulla della Domenica”. Sul periodico fondato da Ferdinando Martini, ha cominciato dal 1889 a pubblicare racconti e bozzetti. Collabora, inoltre, al “Giornale per i bambini”, fondato sempre dal Martini nel 1881 e poi assorbito nel 1889 nel “Giornale dei fanciulli”, che si fa carico anche di avvicinare l’in- fanzia al mondo affascinante della scienza e soprattutto della scoperta scientifica. A questa impresa formativa e insieme divulgativa partecipano, oltre alla Lombroso, firme illustri come Carlo Anfosso, Luigi De Marchi, Paolo Lioy e, non da ultimo, Michele Lessona.

Proprio mentre comincia a scrivere su giornali e riviste letterarie, Paola passa a poco a poco alla sorella Gina il proprio posto di collaboratrice, a fianco del padre, nel lavoro redazionale dell’“Archivio di psichiatria” su cui, ancora a metà degli anni Novanta, viene pubblicando qualche articolo: Il lavoro mentale negli uomini di genio (1895) e Le guari-

gioni con la preghiera (1896). Di fatto, nel 1893, ha incominciato una collaborazione, per

lei ben più soddisfacente, con l’appena fondata rivista di Luigi Capuana “Cenerentola”. Vi pubblica novelle, biografie di personaggi celebri per la serie Infanzia di grandi uomini (Francesco de Sanctis, Massimo D’Azeglio, Charles Darwin, Lev Tolstoj), nonché alcuni racconti a sfondo autobiografico in cui narra della sua predisposizione letteraria (La mia

vocazione) e del ruolo giocato da Anna Kuliscioff sulla propria formazione intellettuale

(La mia signora). Assidua del salotto Lombroso, la «signora del socialismo italiano» ha avvicinato Paola alla passione politica. Accanto a lei anche il futuro marito, Mario Car- rara, nutre simpatie socialiste: ha aderito al Partito dei lavoratori italiani fin dalla sua co- stituzione nel 1892 e ha contribuito alla fondazione di “Critica sociale”. Comunque sia, nel maggio del 1898 Paola Lombroso viene condannata per un articolo pubblicato su “Il grido del popolo”, il giornale dei socialisti piemontesi. L’accusa è «eccitamento all’odio tra le classi» (Turati, Kuliscioff 1949, p. 145):

«So della condanna di Paola – scrive Filippo Turati alla madre il 20 novembre. – Dille che si aiuti a furia di rinvii, tanto da arrivare a qualche amnistia. Sebbene anche lei non è degli sconsigliati ma dei consigliatori; tuttavia, trattandosi di donna, di pena lieve, di

reato di stampa, chi sa! E alla peggio pensi ai nostri dodici anni di galera e si consoli dei suoi tre mesi e pochi giorni.»

La condanna per reato di stampa – che peraltro le sarà commutata in pena pecunia- ria – non riesce certo a frenare la sua passione politica. Al contrario, Paola intensifica la sua collaborazione con le testate giornalistiche: scrive su “L’Avanti”, “Il Piccolo della sera” e “Il Secolo”, che è, alla fine dell’Ottocento, il giornale più venduto d’Italia. In un decennio pubblica circa 400 articoli, intervenendo sugli scioperi, sulla politica coloniale, sull’emigrazione, sulla condizione di vita delle famiglie operaie. È soprattutto lei che insieme alla sorella Gina ha animato il doposcuola per figli di operai del quartiere la Crocetta di Torino. In «Scuola e famiglia», istituito nel 1896 su suggerimento della Kuli- scioff e di cui il padre Cesare è il presidente, ha iniziato a osservare i bambini delle classi inferiori: li ascolta, li segue nei loro pensieri e soprattutto ne esamina i disegni. È già da alcuni anni che la primogenita di Lombroso si cimenta nella psicologia e, più in parti- colare, nella psicologia dell’infanzia. Quest’ultimo è un ambito di studi allora pressoché inesistente. «L’Italia, il paese dell’antropologia, doveva di buon ora applicarsi allo studio dell’infanzia»: avrebbe commentato, alcuni anni dopo, Edouard Claparède, intendendo dire che l’attenzione dell’antropologia all’«infanzia dell’umanità» aveva finito per portare i riflettori anche sull’infanzia dell’individuo. Ma certo è che, quando Paola Lombroso esordisce, nel 1892, con la sua prima osservazione su L’amore tra i bambini – la pubblica su “Il pensiero italiano”, la rivista organo culturale dei radicali – è davvero l’inizio in Italia di un modo del tutto nuovo di guardare all’infanzia. Pochissimo è stato pubblicato a livello specialistico, dove inoltre l’interesse per la mente infantile è stato suscitato, e poi sarà pressoché assorbito, dallo studio della infanzia psicologicamente ritardata (Babini 1996). Paola Lombroso invece si dedica all’infanzia normale, vuole conoscere la mente del bambino: è attratta, più che spaventata, dal terreno vergine in cui si trova a lavorare. Si tratta di guardare, descrivere, e poi raccontare, rivolgendosi a una platea vasta, preva- lentemente femminile: il pubblico delle madri. Il metodo è quello dell’osservazione, ma

ha come strumenti solamente gli occhi e l’intelligenza: l’osservazione diretta, «a occhio nudo piuttosto che della accurata e precisa indagine con la lente» (P. Lombroso 1894, p. vii ). È già un passo originale il suo, e tanto più se si pensa all’impostazione che il padre Cesare e la sua scuola hanno dato allo studio dell’uomo. Paola non segue la strada dell’antropometria, del resto non avrebbe neanche le competenze; raccoglie i propri dati osservando direttamente le manifestazioni esteriori della psiche infantile o intervistando mamme amiche e conoscenti. Nel 1894 ha già pronta una raccolta di Saggi di psicologia

del bambino (Roux, Torino) in cui ha affrontato le prime tappe del linguaggio, lo svilup-

po mentale, il senso morale, l’affettività, il gioco e l’espressione scritta dei bimbi della buona borghesia italiana. Nelle sue pagine non ci sono misure, il suo metodo dell’osser- vazione non le prevede (P. Lombroso 1894, p. vii):

«se in psicologia le statistiche, lo strumento e l’esperienza sono indispensabili per le ricerche sullo sviluppo e le funzioni dei sensi, per misurare la velocità delle percezioni […] – scrive il padre Cesare nella prefazione al libro della figlia, accettandone impostazione – anche l’osservazione dei gesti, lo studio della parola, degli scritti equivalgono all’esperimento fisiologico.»

Paola segue appunto la strada dell’osservazione e della storia personale: sono questi i «dati» che cerca poi di mettere a confronto con quel poco che la letteratura scientifi- ca internazionale ha prodotto al riguardo. Tra gli autori citati e ripresi ci sono Charles Darwin (The expression of the emotions in man and animals), Hippolyte Taine (L’intelli-

gence, 1870), Wilhelm Preyer (Die Seele des Kindes, 1882), ma il modello cui si riferisce

è piuttosto quello di tradizione filosofica della osservazione sui figli, in cui si sono ci- mentati Dietrich Tiedemann (1787), Hippolyte Taine (1876), Charles Darwin (1877), e l’italiano Luigi Ferri (1879). Unica differenza: nelle pagine della Lombroso, a fornire osservazioni e riflessioni sui propri bambini sono le mamme dell’Italia umbertina. In chiusura al volume, una serie di piccole monografie, veri e propri bozzetti dal vero che raffiguravano quanto sostenuto nella parte più teorica del testo. Pur originale nell’im- pianto, l’opera del 1894 era in qualche modo ancora sacrificata alle idee di Cesare Lom- broso. Attenta allo studio dell’affettività infantile, Paola vi riconfermava che il bambino era un piccolo primitivo e che, come tale, non conoscerebbe il sentimento dell’amore. Anomalo nell’infanzia normale, quel sentimento sarebbe piuttosto il segno di un eccesso di sensibilità, che si rivelerebbe appieno nella genialità artistica (e patologica) dell’adulto, come attesterebbero le fonti autobiografiche di scrittori e filosofi cui la Lombroso attinge (Jean Jacques Rousseau, George Sand, Ernest Renan, Lev Tolstoj).

Il 1904 è l’anno di svolta. Paola pubblica La vita dei bambini. Il libro, tradotto ap- pena un anno dopo in Germania, riprende e rielabora i materiali precedenti alla luce di nuove osservazioni, ma in più li modifica radicalmente ponendosi in una prospettiva sociologica. Il bambino «primitivo» di stampo lombrosiano, che era stato il filo rosso dell’opera precedente, lascia il posto al bambino «naturalmente egoista», espressione di un profondo quanto gioioso radicamento nella vita biologica, come già anticipato in un articolo apparso sulla “Nuova Antologia” (1903), cui la Lombroso ha iniziato a collabo- rare dal 1900. Determinante per il mutamento di prospettiva è stato il lavoro svolto in «Scuola e famiglia», dove la Lombroso si è trovata per così dire tra le mani un campione

di confronto di notevole consistenza e importanza. Vi scopre che il mondo mentale dei bambini delle classi meno agiate svela una complessità affettiva ancora sconosciuta. È quanto le basta per cambiar rotta e procedere lontano dal biologismo paterno (P. Lom- broso 1904, pp. 185-186):

«Mentre gli studi sui bambini appartenenti alle classi ricche occupano da soli intere biblioteche, assai scarse e parziali sono le notizie raccolte intorno ai bambini poveri. Si è creduto forse che in questo caso il fattore psicologico dovesse prevalere sul fattore sociale, e che tutti i bambini, per il sol fatto di essere tali, potessero essere accomunati in una stessa psicologia […]. Ci occorre uno sforzo per immaginare come diverse condizioni d’ambiente sociale imprimano alla personalità psichica caratteri diversi […]. Per questo lo studio dei bambini poveri è doppiamente interessante, dal punto di vista psicologico e dal punto di vista sociale.»

Anche le osservazioni sul disegno le riservano qualche sorpresa. La Lombroso con- sidera il disegno la manifestazione rivelatrice del mondo mentale dei bambini. Ma, ol- tre a contribuire a costituire un campione ampio e interclassista, i 500 disegni raccolti in «Scuola e famiglia» le rivelano un aspetto sfuggito nell’osservazione dei bimbi della borghesia: cioè l’attenzione rivolta all’azione, oltre che al dettaglio, e soprattutto il forte «senso drammatico» che caratterizza le rappresentazioni infantili (P. Lombroso 1904, p. 184):

«I disegni dei bambini non sono insomma tanto una riproduzione del vero, quanto i tentativi di illustrare le fantasie drammatiche della loro mente, a cui intrecciano poi per associazione verità rappresentate frammentariamente e variamente, a seconda dell’ardore e della vivacità con cui si presentano al loro spirito.»

La vita dei bambini è insieme un libro di psicologia dell’infanzia e di denuncia socia-

le. Orgoglio, fierezza, senso filosofico dell’esistenza, ingegnosità pratica sono i caratteri psichici più tipici della infanzia segnata dalla povertà, nelle cui pieghe Paola Lombroso scorge (e segnala) la reticenza nella ammissione e nella denuncia delle sevizie subite in famiglia.

Quando nel 1905 Giulio Cesare Ferrari fonda il primo periodico italiano di psico- logia – la “Rivista di psicologia applicata alla pedagogia e alla psicopatologia” – Paola Lombroso vi interviene in un dibattito sulla fiaba in cui non esita a confrontarsi con il direttore, che peraltro l’ha chiamata in causa. Di fatto si discute sul posto da attribuire al governo dell’immaginazione e della fantasia nell’educazione infantile: mentre per Ferrari, di formazione psichiatrica, le fiabe possono risultare pericolosi stimoli di fuga dal senso di realtà, Paola Lombroso scende in campo in loro «difesa» capovolgendo semplicemente i termini della questione. Forte della sua esperienza con i bambini normali, si sente di poter tranquillamente affermare che la ragione per cui le fiabe piacciono tanto ai bambini è che i fatti lì narrati appaiono ai loro occhi del tutto possibili e realizzabili (P. Lombroso 1904, pp. 144-145):

«Raccontando le fiabe noi crediamo di trasportarli in un mondo fantastico, inverosimile, in cui essi non vedano che una finzione poetica e immaginaria. Invece tutto quel mondo straordinario di castelli incantati, di colpi di bacchetta magica, di voci misteriose, di

provvidi animali ammaestrati è per il bambino molto più vicino alle cose reali che alle fantasticherie: la sua esperienza personale è tale che le fiabe più meravigliose non gli paiono molto più meravigliose delle cose e dei fatti che lo circondano.»

Naturale compagna della mente infantile, che si ciba di pensiero magico, la fiaba non può in alcun modo danneggiare il bambino. Anzi: per la figlia di Cesare Lombroso, educata rigidamente alla scuola positiva del vero e del reale, quel mondo magico infantile andava partecipato, sostenuto, arricchito dall’adulto. Ne è così convinta che a questo si dedicherà, negli anni seguenti, divenendo una nota e prolifica autrice di scritti per l’infanzia e l’adolescenza. Tra i molti, La vita è buona, che il padre Cesare definì libro di «gioia limpida»: una serie di riflessioni sulla vita a partire dai momenti più significativi della propria esistenza.

Nel corso di quei trent’anni a cavallo del secolo, Paola di fatto ha seguito un progetto pedagogico che mette insieme armonicamente le sue due passioni per la divulgazione e per l’infanzia. Ha pensato che per diffondere la cultura negli strati sociali che ne sono stati fi- nora esclusi, la mossa più radicale sia quella di rivolgersi all’infanzia: attraendola e appassio- nandola al mondo del pensiero e della lettura. In questa direzione s’adopra sia ad arricchire personalmente la scarsa letteratura infantile italiana, sia a farla circolare tra i ragazzi delle scuole di campagna. Due sono i risultati della sua infaticabile e ingegnosa attività: l’isti- tuzione delle «Bibliotechine rurali» e l’ideazione del “Corriere dei piccoli”. Questo vedrà luce nel 1908, dopo una lunga e anche spiacevole trattativa di tre anni con il direttore del “Corriere della Sera”, Albertini, conclusasi con l’assegnazione alla Lombroso di tre rubriche fisse, purché in forma anonima, e con il rifiuto della direzione (Dolza 1990, p. 119):

«perché con una signora – scrivono i fratelli Albertini nel settembre del 1908 – non potremmo avere quella libertà di rapporti che sono necessari con tutti coloro ai quali si affida una simile responsabilità e che invece si possono aver con un uomo.»

Anche se delusa, Paola Lombroso accetta. Ed è proprio da una rubrica del “Corriere dei piccoli”, la Corrispondenza di Zia Mariù, che partirà l’altra iniziativa. Paola vi pub- blica una lettera di una maestra di Riabella Balma (Biella) che le scrive chiedendo se ci sono bambini disposti a spedire libri di lettura alla sua scuola di campagna che ne è del tutto sprovvista. I ragazzi leggono e aderiscono alla richiesta inviando direttamente i libri al giornale: è nata la prima «Bibliotechina». Numero minimo di libri richiesto: dieci, tra cui tre irrinunciabili: Cuore, Pinocchio, e un volume di «fiabe a sfondo folcloristico» come Cenerentola, Cappuccetto rosso, La bella addormentata. Alcuni mesi dopo, nell’aprile del 1910, dalle pagine del “Corriere dei piccoli” Zia Mariù può annunciare il completa- mento della 125a «Bibliotechina». È un bel traguardo. Per raggiungerlo, ha lanciato un

appello chiedendo al lettore che, in occasione di un compleanno suo o di un parente, invii un francobollo da dieci centesimi come contributo per il finanziamento di una «Bi- bliotechina». È così che si è messa in moto la catena. Ma gli Albertini non hanno gradito; e sul finire del 1911 Paola Lombroso decide di interrompere la sua collaborazione con il “Corriere dei piccoli”.

Nell’ottobre del 1909 è morto il padre, Cesare Lombroso, autore tra l’altro del ce- leberrimo La donna delinquente, la prostituta, la donna normale (1893). In quello stesso

anno Paola pubblica da Bocca I caratteri della femminilità . È già intervenuta sulla stampa a favore delle leggi per la tutela del lavoro femminile, della proposta di legge sul divorzio e del voto alle donne: è una intellettuale democratica schierata nella battaglia per il mi- glioramento delle condizioni di vita femminili, ma non crede nel femminismo. O quanto meno non ci crede più (P. Lombroso 1909, p. vii):

«Il femminismo di cinquant’anni fa operò saggiamente quando invitò le donne a sviluppare la propria personalità anche al di fuori della sfera puramente domestica, ad occuparsi della propria coltura spirituale, a reclamare i propri diritti nell’agone sociale e politico […], ma questi che sarebbero stati reali vantaggi del femminismo non tardarono a degenerare in un danno gravissimo: lo sviluppo della propria personalità individuale diventò per la donna il supremo intento e la suprema ambizione senza che essa pensasse più a subordinarlo al destino essenziale della sua natura […].»

Di fatto, il libro del 1909 resta in una posizione di ambiguità circa la “natura femmi- nile”. Alla maternità, in quanto destino naturale, andrebbe subordinata ogni altra realiz- zazione personale: questa l’opinione di Paola Lombroso. Tuttavia, in altre parti del libro, l’autrice sembra allontanarsi da questo modello; per esempio, là dove presenta un elenco di difetti femminili (civetteria, maldicenza, debolezza, gelosia, avarizia) esattamente so- vrapponibile a quello illustrato dalla letteratura positivistica, ma riconducibili non alla “natura” della donna, bensì alla posizione di «soggezione e dipendenza» in cui è indotta a vivere nella società e nella famiglia (P. Lombroso 1909, pp. 107-108):

«La maggior parte dei difetti dell’uomo deriva da un eccesso di forza e dalla coscienza di poterne disporre impunemente, mentre al contrario i difetti della donna derivano dalla debolezza e dallo stato di dipendenza in cui ella si trova ancora rispetto all’uomo.»

Inoltre, indicando il potere di autodominio e di controllo di pensiero ed emozioni come qualità caratterizzante la femminilità, Paola Lombroso rompe senz’altro con lo stereotipo dominante, di cui il padre Cesare è stato uno dei più potenti costruttori.

Alcune osservazioni sulla natura femminile Paola Lombroso le aveva già espresse in un libro pubblicato del 1902, I segni rivelatori della personalità. Qui – spiegava nella prefazione (P. Lombroso 1902, p. v) – aveva cercato di raccogliere «sotto una forma popolare, spoglia di qualsiasi astrusa terminologia scientifica», i dati più comuni, forniti dalla fisionomia e da alcune manifestazioni esteriori della persona, utili per una rapida quanto approssimativa «diagnosi» della personalità. Una sorta di Baedecker psicologico per orientarsi nel nuovo mondo, il Novecento, in cui sarebbe diventato utile saper in- terpretare i tratti di un volto o di una calligrafia, o intuire velocemente la personalità dell’altro dietro un gesto irrilevante. Considerazioni interessanti, sempre sulla vita fem- minile, comparivano anche nel volume Il problema della felicità, uscito nel 1907 con una prefazione di Jean Finot e si chiudeva con una serie di biografie divise per gruppi: donne felici, semifelici, infelici. Tra le felici figurava «A.K. 47 anni»: era la sua «signora», Anna Kuliscioff (P. Lombroso 1907, p. 175):

«Un esempio di donna cha ha raggiunto lo sviluppo mirabile di tutte le sue potenzialità