Capitolo 2: Gli strumenti della conquista
2.6 Gli abitati rurali: il sistema vicus-pagus
Alla luce di quanto brevemente analizzato finora, emerge l'importanza dell'analisi dell'organizzazione territoriale romana per la comprensione della nascita e dello sviluppo delle prime fasi dei centri urbani. Come è stato evidenziato in precedenza, l'impatto delle forme di insediamento rurale durante le prime fasi della colonizzazione permettono di definire meglio le
193 Laffi 1973; Humbert 1978: 401 e ss.; Paci 2008: 205-226. 194 Fest. 338-339 L.; Sisani 2012: 22-23; Sisani 2010: 175-181. 195 Laffi 2001.
196 Sisani 2012: 582-583. 197 Sisani 2012: 585-587.
tappe dello sviluppo urbano anche nel caso delle colonie latine198. Allo stesso tempo le recenti
ricerche condotte da T. Stek, tra i differenti aspetti analizzati, hanno evidenziato lo stretto rapporto tra centro urbano, insediamenti rurali ed elemento cultuale, a partire dall'analisi dei tituli picti sui cosiddetti pocola rinvenuti negli scavi di Palazzo Battaglini a Rimini199. Indipendentemente
dall'interpretazione grammaticale dei testi, la menzione di vici e pagi rappresenta chiaramente differenti parti del territorio della colonia che dedicano gli oggetti in “one central place” del centro urbano. Vici e pagi sembrano quindi ritualmente uniti nel centro urbano.
Sotto un punto di vista leggermente differente S. Sisani ha evidenziato come l'esempio della realtà coloniale di Ariminum rappresenta un modello che “andrà inteso come cosciente riproposizione,
ideologicamente marcata, della struttura urbana, e che dovette caratterizzare, nell'età della conquista romana della penisola, soprattutto i distretti non urbanizzati dell'ager Romanus”200.
Lo stesso passo di Livio richiamato in precedenza relativo alle leve militari del 212 a.C.201,
attraverso l'utilizzo dell'espressione in pagis forisque et conciliabulis, mette in luce un elemento di fondamentale importanza per la comprensione della struttura organizzativa dei distretti rurali in età romana: il pagus. Nello specifico, fora e conciliabula rappresentano i luoghi di riunione materiali delle operazioni, ma il dilectus sembra propriamente strutturato per pagi, come suggerito anche da altre fonti202.
Il sistema dei vici e pagi risulta dunque essere la struttura portante dell'Italia rurale romana. Capisaldi nello studio di queste realtà sono i lavori di L. Capogrossi Colognesi e M. Tarpin, i quali, seppur con alcune differenze, attraverso un'analisi globale delle testimonianze letterarie ed epigrafiche destrutturano il concetto della categoria “paganico-vicana” come struttura territoriale preromana, per sottolineare il carattere pienamente romano soprattutto per quanto riguarda il
pagus203.
Il pagus è dunque una categoria tutta romana come evidenziano anche i contributi di C. Letta, prendendo in considerazione in particolare i dati epigrafici, e di E. Todisco, dedicati principalmente all'immaginario romano del mondo rurale desumibile dalle fonti letterarie204. In particolare le
ricerche di quest'ultima hanno evidenziato come sulla base delle fonti letterarie “il vicus si afferma
nel contesto rurale per la sua discontinuità: discontinuità rispetto alla distesa dei campi;
198 Pelgrom 2008; Sewell 2010.
199 Stek 2009: 123-145. Per lo scavo si veda Franchi De Bellis 1995; per le caratteristiche della produzione Harari 2006; per l'inquadramento storico Ortallli 2007.
200 Sisani 2012: 606-607. 201 Liv. XXV, 5, 5-9. 202 Sisani 2012: 600-601.
203 Capogrossi Colognesi 2002; Tarpin 2002.
discontinuità rispetto alle fattorie, ai casolari che puntellano, isolati, la campagna”205. Il vicus è
rappresentato dagli aedificia raggruppati compattamente, quasi a evocare la città, e dalle strade, dal momento che deve essere in comunicazione con la città e con gli agri, però è privo di mura rispetto alla città e quindi è parte della campagna.
Il pagus come è stato ampiamente sottolineato rappresenta non una specifica categoria di insediamento ma una unità territoriale206, strutturata “sul piano ideologico e istituzionale come un contenitore”207. La sua funzione è quella di inquadrare territorialmente e istituzionalmente le diverse
realtà materiali sulle quali si articola la vita economica e sociale dei pagani: campi (agri, praedia, fundi), abitazioni (villae, aedificia), villaggi (vici, castella), luoghi di riunione (fora, conciliabula), santuari (fana, delubra, compita). Tutte queste realtà sono infatti “accomunate dalla distribuzione a
carattere sparso all'interno di contesti territoriali non urbanizzati”208. Si tratta dunque di distretti
amministrativi alternativi alla città, formati da diverse realtà insediative prive di autonomia politica e funzionali alla ripartizione della popolazione rurale per le operazioni di controllo dei funzionari in occasione delle leve militari o della riscossione dei tributi e di riunione per le festività comuni209.
La definizione dell'estensione di questi comparti territoriali può essere ipotizzata solamente sulla base di poche informazioni trasmette dal catasto epigrafico di Volcei, dove la superficie media dei
pagi è di circa 20/25 kmq, come sembrano confermare il numero dei pagi attestati all'interno di
singole realtà municipali o coloniali, come i quattordici pagi nel territorio di Piacenza e i diciassette in quello di Veleia ricavabili dagli elenchi contenuti nella tabula alimentaria veleiate210.
La documentazione epigrafica attesta la diffusione dei pagi già a partire dal III sec. a.C., confermando il legame tra questi distretti inclusi nell'ager Romanus e aree oggetto di interventi di colonizzazione a carattere viritano, come nei territori sabino, pretuzio e piceno dove le attestazioni di magistri pagi e di pagi testimoniano la struttura amministrativa di questi distretti oggetto delle iniziative coloniarie promosse da M. Curio Dentato in Sabina e nell'ager Praetutianus, e da G. Flaminio nel Piceno211.
Sotto il profilo archeologico-topografico l'individuazione di queste realtà risulta particolarmente complessa non solo per quanto riguarda i pagi, che ovviamente sulla base di quanto detto finora
205 Todisco 2011: 220.
206 Capogrossi Colognesi 2002; Tarpin 2002: 183-229; Todisco 2011. 207 Sisani 2012: 601.
208 Sisani 2012: 601.
209 Sisani 2012: 606. Sul rapporto tra pagi e le attività religiose legate ai paganalia e alla lustratio pagi si veda Stek 2009: 171-185.
210 A questi vanno aggiunti i cinque pagi a Concordia, sei/sette a Nola, nove nel territorio della res publica dei Ligures
Baebiani e undici a Beneventum. Per le fonti si veda Sisani 2012: 603-604. Per quanto riguarda la ricostruzione
territoriale dei territori di Piacenza e Veleia sulla base della tabula alimentaria si vedano Criniti 2003; Di Cocco, Viaggi 2003; Capogrossi Colognesi 2002: 148-151; Santangelo 2006.
risultano dei contenitori di altri indicatori e di per sé non riconoscibili materialmente in assenza di qualche riferimento epigrafico, ma anche nel caso dei vici, ai quali si oppone la struttura monocellulare della villa.
La villa, infatti, è stata definita come la cellula base dell’economia agraria romana212. Gli
insediamenti rurali individuati nella ricerca archeologica, sono rappresentati per la maggior parte da ville che si caratterizzano per la forte vocazione produttiva, legate alle attività di gestione del
fundus, con planimetrie composte da ambienti disposti in maniera paratattica distribuiti a blocchi o
ali incentrati su aree aperte destinate a lavorazioni o colture specializzate213. La villa, avendo
importanti scopi commerciali, si può porre inoltre in stretto rapporto con la viabilità per facilitare il commercio con anche locande e officine artigianali214. Come scriveva G. A. Mansuelli “la villa è divenuta (…) essa stessa, con i suoi impianti, infrastruttura del territorio”215. Purtroppo sono pochi
i casi in cui l'impianto di una villa è stato riportato in luce. Nel territorio delle Marche gli esempi riconducibili a ville, rinvenuti per la maggior parte nel Piceno, devono la loro identificazione in massima parte a ricognizioni di superficie216, mentre impianti riferibili a ville di grandi estensioni
con funzioni miste non sono mai emersi dalle ricerche217. Sulla base dei dati archeologici a
disposizione sembra che il modello di produzione economica e sfruttamento agricolo si incentri specialmente su villae rusticae di medie e piccole dimensioni legate a una capillare distribuzione dell’insediamento rurale218. Interessante a questo proposito la differente interpretazione proposta per
i rinvenimenti attorno alla pieve di S. Angelo di Gaifa, ubicata lungo la strada che staccandosi dalla Flaminia all’altezza di Calmazzo giunge ad Urbino. I rinvenimenti di mosaici e di numerosi elementi architettonici, la presenza del toponimo Pagino e di un monastero esistente già nel IX secolo, hanno fatto ipotizzare ad alcuni studiosi la presenza di un vicus219. Altri ritengono il sito più
212 Un’esaustiva sintesi sulle possibilità economiche raggiunte dalle ville dell’Etruria, del Lazio e della Campania e quindi sull’organizzazione spaziale e funzionale degli ambienti condotta a partire da un’ampia disamina delle fonti letterarie si trova in Carandini 1989. Si veda anche Venditti 2011 sulla villae del Latium adiectum.
213 Per un’attenta indagine sulle numerose soluzioni costruttive adottate in questi impianti, in particolare sulle peculiarità architettoniche di pregio realizzate negli ambienti residenziali, in Ortalli 2006.
214 Scagliarini Corlaita 1989: 11. 215 Mansuelli 1971: 19.
216 In proposito si vedano i lavori nell'agro fermano dell’Università di Pisa Pasquinucci, Menchelli, Ciuccarelli 2007, e nella valle del Potenza dell’Università di Gent, Percossi, Pignocchi, Vermeulen 2006.
217 Alcuni studiosi ipotizzano che questa l’assenza sia dovuta alla capillare urbanizzazione del territorio, ad esempio de Marinis 2006: 117, nota 3.
218 Va ovviamente tenuta in considerazione l’oggettiva difficoltà di riconoscere, nel caso in cui il popolamento antico viene ricostruito con l’ausilio delle ricognizioni di superficie, come sia impossibile distinguere i resti di un gruppo di case da quelli di una grossa azienda agraria munita di più pertinenze. Calzolari 1986, p. 82. Lo studioso nella ricostruzione del popolamento della bassa pianura padana evidenzia l’oggettiva difficoltà di riconoscere sul campo la presenza di centri minori rurali anche se ritiene che oltre a quelli noti dalle fonti storiche “ non mancassero altri
centri minori dei quali non ci è giunta notizia, veri e propri punti di servizio e coordinamento della popolazione sparsa nelle campagne”.
semplicemente una probabile villa220.
Gli insediamenti rurali minori sono invece spesso individuati in base alle testimonianza delle fonti scritte, soprattutto per le stazioni poste lungo le arterie stradali citate dagli itinerari, al rinvenimento di iscrizioni, talvolta decontestualizzate221, e a rinvenimenti particolari, come quello di necropoli
prediali con una numerosa presenza di sepolture222. In alcuni casi la presenza di un vicus viene
definita senza individuare edifici veri e propri, ma solamente sulla base di qualche lacerto di mosaico di un certo pregio o impianti artigianali di notevole estensione legati alla viabilità, anche fluviale.
Le ricerche territoriali condotte in area transalpina dalle scuole francesi e inglesi hanno proposto griglie tipologiche per la definizione degli insediamenti minori sulla base del riconoscimento di singole specificità riscontrate nei siti223 e hanno portato alla definizione di “agglomération secondaire” per gli raggruppamenti intermedi tra le città e il sistema delle villae224. Non esiste un
corrispettivo italiano di questo termine e nei differenti studi sono utilizzate in vario modo diverse definizioni come piccoli centri o centri minori, piccoli nuclei sparsi, agglomerato, nucleo di stanziamento compatto, insediamento, villaggio o centro minore di aggregazione del popolamento rustico225, luoghi di fiere e mercati226 o, più semplicemente, punti di incontro per forme embrionali
di commercio227, centri religiosi di notevole importanza228. Ma l’approccio alla reale comprensione
di tali agglomerati risente del fatto che sono ben poco noti archeologicamente229. Per arrivare a
definire una precisa tipologia di questi abitati secondari è necessario stabilirne prima la natura,
220 Mercando, Brecciaroli Taborelli, Paci 1981: 327, n. 6.
221 “Anche i nomi antichi conservati da epigrafi e da fonti letterarie possono lasciare incertezze: spesso non si è in
grado di decidere se un nome di tipo etnico designi la comunità degli abitanti di un pagus o quella degli abitanti d un vicus”, Letta 1992: 109-110
222 Sebbene in questo caso bisognerebbe definire il numero esatto di sepolture che definiscono un insediamento rurale rispetto per esempio una villa di grande estensione. Casci Ceccacci 2008: 17 nota 27.
223 Ovviamente tale classificazione deve essere basata su un gran numero di scavi estensivi per la definizione delle singole specificità e deve tenere in considerazione delle peculiarità dei singoli contesti e delle trasformazioni avvenute nel tempo. Come sottolineato da J. P. Morel in Italia manca un dibattito in tal senso anche per via di un mancato numero di campioni noti da confrontare, cfr. Morel 1994. Per un'ulteriore conferma che la carenza di dati utili alla conoscenza topografica, morfologica e tipologica degli agglomerati minori derivi dalla mancanza di scavi sistematici ed estensivi si veda Maggi, Zaccaria 1994: 166.
224 Sottolineando come anche il termine vicus, può risultare qualificante solo nel caso di iscrizioni o citazioni nelle fonti. Una sintesi delle problematiche riguardanti il problema terminologico si trova in Chrzanovski, David 2000. J- P. Morel ha però rilevato come in alcuni casi questa terminologia non descrive pienamente le differenti realtà, chiedendosi inizialmente quale sia il limite quantitativo di una tale definizione, e cioè quanti edifici giustapposti definiscono il termine di “agglomération”, poi quale sia il limite qualitativo, proponendo il caso del santuario con più specificità di Pietrabbondante, cfr. Morel 1994: 153.
225 Casci Ceccacci 2008: 18. 226 Sabattini 1974
227 In questo senso si veda la tesi di M. Hartmann, che ritiene le pratiche agricole di stretta competenza delle villae e non dei vici; al contrario, C. R. Whittaker (Whittaker 1990) ritiene che gli agglomerati secondari evidenzino caratteristiche legate ad attività prevalentemente rurali. Ambedue le opinioni vengono riportate e discusse in Mangin, Petit 1994: 12.
228 Zaccaria 1991: 61. 229 Mangin, Petit 1994: 8.
l’organizzazione le funzioni e il ruolo, dovendo fare i conti con la loro marcata eterogeneità, cosa che li rende difficilmente riconducibili a tipi ben contraddistinti230. La maggior parte di questi centri
nasce all’incrocio tra strade o in prossimità di confluenze fluviali. Spesso la realizzazione urbanistica che caratterizza il sito mostra un unico asse viario centrale, attorno al quale si concentrano le abitazioni domestiche a stretto contatto con i laboratori artigianali o le attività economiche231. Allo stato attuale, risulta dunque difficile stabilire una tipologia che comprenda tutti
i casi individuati e che ne sia pienamente rappresentativa, come risulta altrettanto difficile la subitanea identificazione con un vicus sulla base di un toponimo o di resti archeologici di difficile interpretazione232.
Solo in occasione del rinvenimento di una precisa attestazione epigrafica si può essere certi dello statuto giuridico di una comunità. Ad esempio, per il riconoscimento della presenza di un vicus nel territoriodella Colonia Iulia Fanum Fortunae, è stato fondamentale il rinvenimento in località Forcole233, di un’iscrizione sepolcrale, CIL XI 6237234, in cui si attesta che L. Statorius Auctus ha
ricoperto due volte la carica di magister vici235. Spesso questi centri si insediano in particolari punti
della viabilità antica, e frequentemente alla confluenza di una viabilità minore con uno dei grandi assi viari. In territorio marchigiano vi sono alcuni esempi noti anche archeologicamente, come la
mansio di Prolaqueum236, citata nell’Itinerarium Antonini, ubicata a ridosso dell’attraversamento del
fiume Potenza e all’imbocco dell’omonima gola, il vicus di Pian della Pieve, situato lungo la direttrice stradale che univa Auximum al diverticolo della via Flaminia237, e Ad Calem, ricordato
nell’Itinearium Antonini come stazione sulla via Flaminia posta al 151° miglio238.
Interessante è il caso di un piccolo vicus rinvenuto presso Passo di Treia. Si tratta di un insediamento centralizzato di circa 12000 m² che si raccoglie intorno a un incrocio stradale 239.
Presso Calmazzo, posto lungo la valle del Metauro sull’incrocio tra la via Flaminia e la strada che saliva ad Urbino, si sono susseguiti numerosi rinvenimenti archeologici che hanno permesso di
230 Studi importanti in questo settore sono: per l’Italia peninsulare J-P. Morel 1994; per l’Italia settentrionale Maggi, Zaccaria 1994.
231 Casci Ceccacci 2008: 18.
232 Esaustivo a tale proposito è lo studio di C. Zaccaria sul territorio dei municipi e delle colonie condotto su base epigrafica, in cui a p. 323 si precisa che “non tutti i villaggi hanno lo statuto giuridico-amministrativo di vicus”, cfr. Zaccaria 1994. Ovviamente ancora più complesso è il caso dell'identificazione di un pagus.
233 Vullo 1992: 404.
234 In fr(onte) p(edes) XIII / L(ucius) Statorius C(aiae) l(ibertus) Auctus, mag(ister) vici bis / Fundania C(ai) f(ilia)
Maxima, uxor / vivi fecerunt sibi / In ag(ro) p(edes) XIII.
235 Bernardelli Calavalle 1983: 98-101. L’area ha restituito nel tempo numerosi rinvenimenti, tra cui particolare rilievo per la definizione del vicus stesso acquistano un tratto di battuto stradale, alcuni resti di strutture edilizie e un sepolcreto. Per questi rinvenimenti vedi Gori 1992: 44. Per l’importanza assunta dal toponimo Forcole, derivazione da forculum (biforcazione), come luogo ideale per lo sviluppo di insediamento rurale minore, vedi Vullo 1992: 395. 236 Fabrini, Paci, Perna 2004:103-105 con bibliografia precedente.
237 Fabrini, Paci, Perna 2004: 167-168. 238 Archeologia nelle Marche 2003: 117-118.
ipotizzare la presenza di “un insediamento di un certo rilievo, probabilmente un vicus”240. Tra i
ritrovamenti si distinguono due distinte aree sepolcrali, una a Ponterotto, l’altra a Calmazzo stessa. In quest’ultima, nel 1989, è stato posto in luce il recinto sepolcrale della famiglia Cissonia 241.
Un ulteriore esempio è costituito da un complesso artigianale composto da cinque fornaci, affiancate da alcuni ambienti, scoperto a Canavaccio di Urbino, in località Ca’ La Betta, pochi chilometri a monte di Canavaccio. L'insediamento artigianale della prima età imperiale, installato su un terrazzo lievemente digradante verso il fiume Metauro, si trova a poca distanza da importanti vie di comunicazione242. Le ricerche condotte hanno anche permesso di individuare nei pressi una zona
d’abitato243 e una necropoli244.