Capitolo 2: Gli strumenti della conquista
2.4 La fase proto-urbana: fora e conciliabula
L'analisi fin qui condotta sulle fondazioni coloniali ha sottolineato l'importanza di un approccio territoriale per la comprensione delle prime fasi dello sviluppo urbano delle colonie. Le ricerche già ricordate di J. Pelgrom per la definizione della densità abitativa delle colonie latine tra IV e III sec. a.C. hanno evidenziato come non contenessero più del 20-30% della popolazione e la maggior parte dei coloni doveva essere distribuita nelle campagne. Occorre però aggiungere che l'autore, procedendo nella sua analisi di dettaglio, rileva una discrepanza tra fonti letterarie e dati archeologici, notando come le testimonianze archeologiche della presenza di coloni di III sec. a.C. nei territori di alcuni centri latini esaminati costituisca solamente una frazione della densità stimata sulla base delle assegnazioni riportate dalle fonti161. Questa considerazione viene tradizionalmente
spiegata o con la difficoltà intrinseca nell'individuazione di resti archeologici legati a queste fasi o con l'assunto che la maggior parte dei coloni vivesse nel centro urbano di riferimento. Sulla base di quanto dimostrato, questa seconda spiegazione non può dunque essere presa in considerazione per Pelgrom, che allo stesso tempo ritiene che l'utilizzo della ricostruzione rurale tardo-repubblicana, maggiormente documentata archeologicamente, come segno dell'organizzazione precedente sia riduttivo. L'autore propone di uscire dal presupposto che già nei primi anni dalla deduzione le colonie latine siano organizzate come “city-state model” con un centro urbano di riferimento e un
157 Gros, Torelli 2010: 183. 158 Vedi infra capitolo 5.
159 Per le recenti ricerche volte alla ricostruzione dell'impianto urbano e dell'organizzazione del territorio della colonia di Potentia si veda Vermeulen, Hay, Verhoeven 2006; Vermeulen, Mlekuz 2012; Corsi, Vermeulen 2010.
160 Bandelli 2008: 196-197. Liv. XXXIX, 44, 10. “Eodem anno coloniae duae Potetia in Picenum, Pisaurum in
Gallicum agrum deductae sunt; sena iugera in singulos data; diviserunt agrum coloniasque deduxerunt iidem tresviri Q. Fabius Labeo et M. et Q. Fulvii Flaccus et Nobilior”. Ai coloni vennero assegnati sei iugera a testa, una
cifra certo superiore ai bina iugera costituivano il lotto-tipo per le colonie di cittadini romani, in linea con le assegnazioni di età post-annibalica. Livio non fornisce l'ammontare del contingente dedotto che quindi potrebbe ammontare al tradizionale numero di 300 famiglie come no, sebbene lo faccia per le fondazioni del 183 a.C. di
Mutina e Parma sottolineando l'eccezionale numero di coloni come una novità (Liv. XXXIX, 55, 7). Non vi sono
dunque dati per condividere l'opinione di E. T. Salmon che vuole l'ammontare del contingente a duemila coloni (l'ammontare dei lotti non costituisce un dato per la consistenza del corpo civico).
territorio di pertinenza strutturato, e di prendere in considerazione altre forme di organizzazione dell'insediamento. Sebbene lo stesso Pelgrom sottolinei l'esiguità delle evidenze archeologiche, i dati attualmente disponibili sembrano indicare “that a multiple-core nucleated settlement system
was the norm in most mid-republican colonial landscapes”162. A sostanziare ulteriormente questa
ricostruzione viene evidenziato il vantaggio di un simile modello di insediamento in rapporto alle modalità di difesa in un territorio di recente conquista e quindi ancora occupato da genti indigene con possibili intenzioni ostili. Sarebbe stato più facile difendere questi nuclei coltivando le terre limitrofe, piuttosto che vivere in fattorie sparse nel territorio o lasciare l'intera area non protetta e risiedere in un unico grande centro urbano. Dal punto di vista archeologico, conclude Pelgrom, solamente dal tardo III sec. a.C. e dall'inizio del II sec. a.C. questi territori coloniali si organizzano come “city-state model”, con una netta divisione tra città e campagna, quando gli oppida diventano dei veri centri urbani e inizia il programma di divisioni agrarie, come riportato dalle fonti163.
Questa proposta ricostruttiva sebbene necessiti di ulteriori ricerche e dati, come viene sottolineato dallo stesso autore, ha il merito di spostare l'attenzione dai centri urbani agli agglomerati rurali che caratterizzavano il loro territorio e che nelle prime fasi sembrano aver contribuito alla formazione delle stesse realtà urbane. Come è stato evidenziato nel primo paragrafo, con gli esempi di Rimini e Cattolica, i dati archeologici ci permettono di individuare alcuni precoci nuclei di frequentazione che si installano già prima della definizione della realtà coloniale e dell'organizzazione del territorio, sia essa a seguito della fondazione della stessa colonia o di distribuzioni viritane di terre. Molto spesso questi iniziali insediamenti non urbani vengono definiti conciliabula, come nel caso di Rimini appena ricordato. Per quanto riguarda l'ager Gallicus, le differenti ricerche condotte in questi anni hanno ricostruito la presenza di conciliabula o fora in pressoché tutti i centri:
Pisaurum164, Fanum Fortunae165, Forum Sempronii166, Suasa167, Ostra168 e Aesis169.
É dunque necessario analizzare sulla base delle fonti scritte ed epigrafiche come possono essere definite queste strutture insediative dei comparti rurali dell'Italia romana e delineare i loro caratteri istituzionali, nonché la loro evoluzione, per comprendere il rapporto con le realtà urbane. Ovviamente esula da questa ricerca l'analisi dettagliata di tutte le testimonianze disponibili, e ci si limiterà a richiamare i principali aspetti desumibili dalle fonti a disposizione. Recenti contributi di sintesi sull'argomento sono stati realizzati da S. Sisani e E. Todisco, ai quali si farà dunque
162 Pelgrom 2008: 368. 163 Pelgrom 2008: 368. 164 Campagnoli 2004: 31-36. 165 Alfieri 1992: 77-86. 166 Luni, Mei 2012: 25-81.
167 Giorgi 2010: 40-41; De Maria, Giorgi 2014 c.s. 168 Dall'Aglio, Silani, Tassinari 2012: 11-12.
riferimento170.
La prima distinzione che si intende affrontare è quella relativa alla categoria dei fora e conciliabula. Essi rientrano nella più ampia tipologia dei vici la cui opposizione alla natura monocellulare delle
villae e alla complessa articolazione del pagus, verrà analizzata più ampiamente nei paragrafi
seguenti171. Nello specifico, sulla base dell'interpretazione del lemma <Vici> del De verborum significatu di Valerio Flacco nell'epitome di Festo, si possono distinguere due tipologie di vici: i vici
dotati di res publica e sedi dell'attività giudiziaria e i vici privi di res publica che ospitano anch'essi le nundinae e che annualmente eleggono sia magistri vici sia magistri pagi. La distinzione è data dall'autonomia sul piano amministrativo e delle istituzioni (leges, iurisdictio). Se i vici privi di res
publica sono facilmente riconoscibili in quei centri privi di amministrazione autonoma incorporati
nei territori di municipia o coloniae, da essi dipendenti e ricordati nelle leges municipali, i vici con assetto istituzionale autonomo analogo a quello delle praefecturae sembrano non comparire nelle
leges municipali. In queste infatti, come nella lex Repetundarum d'età graccana, compare una
categoria di comunità distinta dalle coloniae, municipia e praefecturae ma dotata di identità istituzionale: i fora e conciliabula. Questi presentano un carattere non urbano e hanno la prerogativa di ospitare l'attività giurisdizionale. É dunque plausibile riconoscere nei fora e
conciliabula i vici dotati di res publica ricordati da Flacco172. Tali centri non sono infatti delle vere e
proprie città ma dei centri minori dotati, almeno nel I sec. a.C., di una struttura istituzionale confacente a delle res publicae con magistrati e senati locali, come attesta la tabula Heracleensis, e di un proprio territorio di pertinenza, come assicura per il I sec. a.C. la lex Iulia Agraria. Allo stesso tempo la natura vicana di tali centri è presupposta da un lato dalla già citata lex Repetundarum, dall'altro dallo stesso lemma verriano, dove fora e conciliabula sono definiti non come oppida ma come loca a sottolineare il carattere non urbano di questi centri.
Se fora e conciliabula, rappresentano quindi denominazioni giuridiche, la differenza tra i due centri non sembra sussistere sulle funzioni. Entrambi risultano essere comunità di cives romani, sedi di mercato e più in generale delle vita pubblica dei distretti rurali nei quali sono inseriti173. Diversi
studi hanno sottolineato che la distinzione è da ricercarsi sul piano formale, dove i fora rappresentano centri fondati ufficialmente da un magistrato romano, di norma lungo il percorso di
viae publicae, in connessione con deduzioni coloniali a carattere viritano174, mentre i conciliabula
“sarebbero piuttosto dei 'capoluoghi distrettuali', dei semplici luoghi di riunione di mercato non
170 Sisani 2012; Todisco 2011. 171 Cfr. infra paragrafo 2.6. 172 Sisani 2012: 562-563. 173 Sisani 2012: 568. 174 Ruoff Väänänen 1978.
necessariamente strutturati in forma di abitato ed eventualmente localizzati in contesti santuariali”175. Nel caso dei fora, l'atto fondativo viene suggerito dallo stesso particolare criterio di
denominazione legato al magistrato responsabile della constitutio176 e dal mantenimento di denominazione al momento della loro trasformazione in municipia, prova dell'esistenza di un atto formale con la concessione della titolatura forum, probabilmente secondo una prassi analoga a quella della deduzione delle coloniae177.
Per quanto riguarda i conciliabula, le fonti letterarie non mantengono il ricordo di questa identità istituzionale e li definiscono più genericamente come luoghi di riunione. Tra i numerosi
conciliabula che dovevano caratterizzare il territorio della penisola solo il caso di Interamnia Praetuttiorum (Teramo) viene esplicitamente ricordato dalle fonti, in un passo di Frontino178.
Nel corso del I sec. a.C., con il processo di municipalizzazione, tali centri subiranno una progressiva elevazione al rango di municipia, come suggeriscono le costituzioni duovirali dei fora di cui è noto l'assetto istituzionale in età municipale. Seppure tardiva e non anteriore all'età cesariana questa tendenza è certa per quanto riguarda i fora179, mentre per i conciliabula il passaggio di rango doveva
configurasi come una eventualità meno scontata ma possibile, come testimonia il caso di Teramo e un passo di Frontino, dove la definizione dei conciliabula come loca publica coloniarum sottolinea non tanto il carattere insediativo, ma piuttosto “l'insieme di infrastrutture di natura pubblica
funzionali alle esigenza amministrative e socio-economiche di distretti dell'ager Romanus popolati da coloni”180. L'esempio di Auximum, inoltre, sembra testimoniare la possibilità di passaggio da forum a colonia, sulla base dell'interpretazione del passo di Livio relativo all'attività dei censori del
174 a.C., dove a fianco delle coloniae di Pisaurum, Potentia, Sinuessa e del municipium di Fundi vengono citati i centri di Calatia e Auximum di cui non è noto lo status, e del passo di Velleio, che attesta come Auximum verrà elevata a colonia civium Romanorum nel 157 a.C. o 128 a.C.181.
Sulla base di quanto esaminato finora, l'attestazione di magistrati, senati locali e di un territorio di pertinenza per i fora e i conciliabula deriva principalmente da due testimonianze, la tabula
Heracleensis e la lex Iulia Agraria, che sottolineano come molto probabilmente queste categorie
abbiano acquisito lo status di vere e proprie res publicae solo dopo il 90 a.C., situazione a cui allude con ogni probabilità anche Verrio Flacco quando descrive i vici di primo tipo.
175 Sisani 2012: 568-569.
176 Anche nei casi in cui il toponimo è novum, dove si può presupporre una rifondazione del centro, Sisani 2012: 570- 571.
177 Sisani 2012: 573. 178 Frontin. 18-19 Lach.
179 Solo due sono i casi noti di una mancata elevazione a municipio già decaduti nella prima metà del I sec. a.C., Sisani 2012: 576-577.
180 Sisani 2012: 578-579.
181 Vell. I, 15, 3. Sisani 2012: 581-581, per la proposta di datazione al 128 a.C. si veda Salmon 1969 e da ultimo Paci 2014: 423.
Tale condizione fa dunque riferimento alla nuova strutturazione data ai comparti prefettizi dopo la guerra sociale, all'interno dei quali dovevano in origine ricadere anche fora e conciabula182.
Infatti, se nel corso del I sec. a.C. tali realtà risultano dotate di una propria dignità territoriale e istituzionale, le origini di questi insediamenti risalgono all'età precedente. Già tra III e II sec. a.C. le fonti letterarie testimoniano la presenza di forme insediative che si sviluppano in stretto rapporto alla conquista romana della penisola e in particolare al fenomeno della colonizzazione viritana, uno dei modi di occupazione dell'ager publicus utilizzato da Roma tra IV e III sec. a.C.183.
Diverse sono le testimonianze di Livio dove menzionati fora e conciliabula, tutte relative ad avvenimenti accaduti tra gli ultimi decenni del III sec. a.C. e il II sec. a.C.184. Di particolare
interesse sono due episodi relativi alle leve militari del 212 a.C. e del 169 a.C.185. In questi due casi
il dilectus viene gestito direttamente da Roma attraverso due commissioni triumvirali e deve aver riguardato esclusivamente i distretti dell'ager Romanus, dal momento che nelle colonie latine e nei centri federati la leva faceva parte delle competenze dei magistrati locali. Trattandosi di provvedimenti varati in condizioni di emergenza - nel 212 a.C. per le operazioni militari contro Annibale e nel 169 a.C. per l'intervento in Macedonia - è verosimile che le conquisitiones e i procedimenti di verifica avvenissero appoggiandosi alle autorità locali, come anche nel caso dei
municipia. Ovviamente questo non poteva avvenire nei distretti rurali dell'ager Romanus privi di
strutture istituzionali centralizzate, nel qual caso le operazioni per il completamento del dilectus gestite direttamente dai magistrati di Roma utilizzarono gli unici nuclei aggregativi disponibili in tali distretti ovvero i fora e i conciliabula menzionati da Livio, sedi materiali delle inchieste del 212 a.C. e luoghi di riunione per la pubblicazione e diffusione dell'edictum del 169 a.C.186
La presenza di queste strutture dovrà dunque essere stata utilizzata anche in occasione delle leve condotte nel 216 a.C. e nel 215 a.C. proprio nell'ager Gallicus e nell'ager Picenus, ricordate da un altro passo di Livio187.