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Capitolo 4: La colonia di Fanum Fortunae

4.1 Storia delle ricerche

La città di Fanum Fortunae viene ricordata nelle fonti per la prima volta in un passo del Bellum

civile di Cesare “Itaque ab Arimino M.Antonium cun cohortibus V Arretium mittit; ipse Arimini cum duabus [legionibus] subsistit, ibique dilectum habere instituit; Pisaurum, Fanum, Anconam singulis cohortibus occupat”1. Variamente menzionata nelle fonti letterarie2, come noto il suo

eponimo richiama esplicitamente un santuario della Fortuna, lo “hieròn tês tyches” ricordato da Strabone quando descrive le località che appartengono al territorio degli Umbri3, e costituisce il

principale indizio della presenza di un nucleo insediativo d'età repubblicana nel sito della successiva

Colonia Iulia Fanestris, deduzione coloniale augustea avvenuta tra il 31 a.C. e il 27 a.C.

Sulla base dei dati disponibili non è possibile stabilire se tale santuario abbia avuto un'origine preromana, come le testimonianze archeologiche di una frequentazione del sito potrebbero anche suggerire4, e se la dedica a Fortuna sia l'interpretatio romana di un culto preesistente oppure si tratti

di un culto ex novo a seguito dell'occupazione romana del III sec. a.C.5. Gli studiosi concordano

tuttavia sull'interpretazione coloniaria di tale culto, da collegare non tanto alla colonizzazione conseguente alla lex Flaminia, quanto piuttosto all'iniziale occupazione del territorio da parte di imprenditori e mercanti interessati allo sfruttamento di nuove terre all'indomani della battaglia di

Sentinum e dell'intervento militare di Manio Curio Dentato. Tale ricostruzione sembra suggerita

anche dalla famosa sors, su ciottolo, della Fortuna di Servio Tullio, databile a questo periodo, conservata nel Museo di Fiesole ma data come proveniente dalla Marche e in particolare, secondo alcuni studiosi, da Fano6 o da Pesaro7.

Il valore di questo santuario è stato recentemente sottolineato da D. Musti8, il quale ha indicato il

ruolo strutturale che il santuario della Fortuna avrebbe svolto lungo la via commerciale tra Spina e regioni adriatiche settentrionali con il Mar Ionio e la Grecia, attraverso il parallelismo con Antium e il culto di Fortuna/Venere9. Come per la città sul Tirreno, anche a Fano, il culto della dea assumeva 1 Caes. b.c. I, 14, 4.

2 Per una raccolta completa delle fonti letterarie relative a Fanum Fortunae si veda Trevisiol 1999: 129-138. 3 Strab., V, 227.

4 Per la frequantazione antropica già a partire dal Neolitico e in particolare per la presenza di ceramica attica probabilmente da mettere in relazione alla frequentazione commerciale dell'approdo fluviale si veda Cardinali, Luni 2006 e bibliografia citata.

5 Paci 2004: 32-33. 6 Baldelli 1992: 27-28.

7 Coarelli 2000: 202; Sisani 2007: 202.

8 E recentemente ripreso da T. Gnoli, Gnoli 2012: 74-81. 9 Musti 2002.

una duplice valenza legata alla navigazione e alla prosperità dei raccolti. Il santuario avrà quindi costituito un centro di coagulo per l'approdo dei naviganti e i commercianti greci e lo scambio con i contadini sparsi nel territorio, portando alla creazione di un “conglomerato abitativo che, se non

aveva certo nessuno dei caratteri tipici di una città, ne avrà certamente avuto la consistenza antropica.”10.

Se così fosse resta tuttavia da definire il rapporto tra il santuario e il relativo nucleo insediativo con la via Flaminia, che dal 220 a.C. percorreva la valle del fiume Metauro e giunta a 2 km da Fano piegava in direzione di Pisaurum, anziché raggiungere direttamente il centro costiero come farà in età successiva11. Secondo Musti quindi “resta incerto se e quanto sia stata la creazione della Flaminia a favorire la nascita di Fano, o se, invece sia stata Fano a definire il percorso della Flaminia e, semmai, la Flaminia abbia potuto valorizzare Fano della Fortuna che ne rappresenta lo sbocco sull'Adriatico, se per ipotesi il santuario fosse preesistente alla costruzione della strada”12.

É dunque possibile ricostruire per gli studiosi la presenza a Fanum Fortunae di una struttura insediativa di tipo vicano, ubicata alla foce dell'Arzilla13, “che si appoggiava a un importante santuario e si avvaleva di un più o meno attrezzato approdo marittimo”14, che da un certo momento,

indicativamente dalla seconda metà o dalla fine del III sec. a.C., forse in riferimento alle distribuzioni viritane del 232 a.C., assunse il carattere di conciliabulum civium Romanorum15. In

qualità di conciliabulum poteva inoltre costituire la sede di una praefectura. Questo il momento in cui i coloni, cittadini romani, vennero iscritti nella tribù Pollia, come documentato da diverse epigrafi16. É stata avanzata anche l'ipotesi che “il nucleo abitativo in età repubblicana doveva essere molto modesto e subordinato all'amministrazione del vicino municipium di Pisaurum”17, ma

alla luce del sistema di organizzazione degli insediamenti vicani descritto nella prima parte della ricerca e della dinamica storica alla base dello sviluppo dei centri dell'agro Gallico nella fase municipale, sembra chiaramente di poter escludere tale ipotesi.

Come già a suo tempo rilevato da N. Alfieri, in epoca cesariana, Fanum Fortunae si doveva quindi configurare come “un aggregato con caratteri di urbanistica spontanea di modeste dimensioni e

10 Gnoli 2012: 76.

11 Luni 2000: 31-36. L'abitato dovrà essere stato allora collegato da un raccordo, in questa fase più antica, alla via consolare.

12 Musti 2002.

13 Motivo per cui giustamente già Nereo Alfieri aveva definito Fano “centro di sbocco vallivo” piuttosto che centro di foce, data la lontananza del fiume Metauro, cfr. Alfieri 1976-1977: 150.

14 Paci 2004: 36.

15 Paci 2004: 36; Alfieri 1976-1977: 154.

16 Paci 2010: 15-20; Antolini, Marengo 2010: 211. 17 Ermeti 1992: 63; Luni 1984: 146.

importanza”18. Sulla base della menzione cesariana e dell'assenza in un passo di Cicerone relativo

agli stessi fatti19, Alfieri nel medesimo contributo traeva la conclusione che “la chiara natura di

Fanum Fortunae” era “precisamente quella di municipium”, e attribuiva il silenzio di Cicerone alla “minore sensibilità dell'oratore per le cose militari che lo portava a nominare i centri più noti ed

importanti dal punto di vista civile”20. Sebbene nel 49 a.C. quando Cesare occupava Fano, tale

centro non poteva avere lo status di municipium, dal momento che il provvedimento che aprì la strada alla municipalizzazione dell'agro Gallico dovrebbe essere stato varato un po' più tardi21,

all'Alfieri va il merito di aver spiegato la lacuna presente in Cicerone sottolineando come “il centro

fanestre, prima della colonizzazione di Augusto, era effettivamente di scarsa importanza. Ma tale non era per Cesare al quale premeva di presidiare il “gomito” della via Flaminia e perciò vi destinò una corte”22.

L'innalzamento di Fanum Fortunae a municipio romano è testimoniato da due epigrafi23. La prima è

un frammento di epigrafe presente su un grosso blocco di arenaria incompleto superiormente e ritrovato reimpiegato in uno dei pilastri che sostengono le volte di un grande edificio posto sotto il convento di S. Agostino, e nel quale è stato proposto di riconoscere il tempio della Fortuna24. Il

particolare interesse di questa epigrafe risiede nella menzione del quattuorvirato in cui va riconosciuta una carica cittadina rivestita dai personaggi probabilmente menzionati in riferimento alla costruzione/collaudo di un'opera pubblica, dei quali di uno conosciamo il nome P(ublius)

Scantius25. La seconda epigrafe è incisa su una lastra in marmo grigio e riporta il testo di un epitafio predisposto da Lucio Curtio Piramo per la moglie e i tre figli avuti da lei, dei quali il più grande ricoprì la carica del quattuorvirato. Queste due attestazioni se da un lato testimoniano la presenza di uno fase municipale di Fanum Fortunae, dall'altra come già ricordato, costituiscono un'anomalia nel quadro delle costituzioni duovirali tipiche dei municipi di formazione successiva al 49 a.C. dell'agro Gallico. Per questo G. Paci, che ha studiato i due documenti, ha ipotizzato che la menzione di quattuorviri vada ricondotta alla colonia augustea e si spieghi con l'utilizzo di una forma impropria per designare degli edili, dove quindi i magistrati della colonia fanestre dovevano essere regolarmente i duoviri iure dicundo26.

18 Alfieri 1976-1977: 156.

19 Cic. Ad fam. XVI, 12, 2. “cum Caesar (…) Ariminum, Pisaurum, Anconam occupavisset, urbem reliquimus”. 20 Alfieri 1976-1977: 155-156.

21 Paci 2004: 45. 22 Alfieri 1983: 260.

23 Per quanto riguarda il corpus epigrafico di Fanum Fortunae si veda Trevisol 1999: 138-168; Paci 2004: 29-67; Lani 2007: 245-255.

24 Sensi 1984-1985: 221-240; Paci 2004: 40; Giorgi 2003: 89-90. 25 Paci 2004: 50.

26Paci 2004: 48-61. Lo stesso autore tuttavia non è del tutto convinto della spiegazione data e comunemente accettata sulla base di altri casi simili.

Indipendentemente dalla soluzione proposta, questa fase municipale ora documentata ebbe una durate relativamente breve. Stando al passo di Cesare, il provvedimento che portò alla creazione dei municipi nell'agro Gallico, pur essendo atteso come dimostra la rapidità con la quale fu attuato27,

dovette essere varato dopo il 49 a.C., mentre la deduzione della colonia augustea si data tra il 31 e il 27 a.C.

Questo elemento pone il problema dello sviluppo urbano del centro di Fanum Fortunae tra II e I sec. a.C. per il quale pochissimi sono i dati desumibili sia dalle fonti letterarie sia archeologiche. In area urbana infatti la testimonianza più importante è costituita da un tratto di muro in opus quasi

reticulatum interpretato come l'esistenza di una cinta muraria antecedente alla colonia augustea e

messa in relazione con un abitato repubblicano e una cronologia da fissare almeno in epoca cesariana28. L'esistenza di un'opera di difesa in questo periodo è sicuramente possibile, sebbene alla

luce di alcune recenti riletture, tale tratto di muro non sembra riferirsi a una cinta muraria antecedente alla colonia augustea29. Pochi i dati che si aggiungono a questo ritrovamento databili tra

II e I sec. a.C. e provenienti dall'area urbana30: un mosaico in opus signinum, individuato durante i

lavori di restauro della chiesa di S. Agostino e databile agli ultimi decenni del I a.C., e una ventina di lucerne databili tra la seconda metà del II sec. a.C. e il I sec. a.C., ma di provenienza ignota31.

Gli unici altri dati riferibili a questo periodo provengono dal territorio e trovano nel cippo di San Cesareo, come si dirà in seguito, pressoché l'unico documento per ipotizzare la presenza di un nucleo insediativo di metà II sec a.C. di una certa consistenza a Fanum Fortunae.

La maggior parte dei ritrovamenti archeologici in area urbana si data infatti a partire dall'età augustea, i quali ci permettono in parte di definire il tessuto urbano della Colonia Iulia Fanestris32.