Tabella cronologica
L E TIRANNIDI OCCIDENTAL
1. Anassilao di Reggio
3.2 I Dinomenidi nei frammenti degli allievi di Aristotele
Da un passo dei Deipnosofisti di Ateneo126 apprendiamo che i tiranni Gelone e Ierone inviarono doni a Delfi:
“Inoltre fu il re dei Lidi Gige il primo a portare a Delfi le offerte votive di argento e d’oro come ex voto; anteriormente al suo regno il dio pitico non aveva né argento né oro, come sostengono Fenia di Ereso (fr. 11 Wehrli) e Teopompo (FGrHist 115 F193) nel XI libro della Storia dell’età di Filippo. Entrambi questi scrittori riferiscono che il santuario pitico fu adornato da Gige e dopo di lui da Creso, e poi dai Greci di Sicilia Gelone e Ierone. Il primo dedicò un tripode e una Nike d’oro, nel tempo in cui Serse invadeva la Grecia; Ierone qualcosa di simile. Teopompo dice: “Nei tempi antichi il santuario era adorno di offerte votive di bronzo: non statue, ma lebeti e tripodi di bronzo. Dunque, gli Spartani, che volevano rivestire d’oro il volto dell’Apollo di Amicle, ma non trovavano oro in Grecia, mandarono a chiedere al dio da chi potessero acquistarne. Fu loro risposto di andare a comprarlo dal lidio Creso. Ed essi andarono da Creso e lo comprarono. Ierone di Siracusa, poi, voleva dedicare al dio il tripode e la Nike in oro puro. Per molto tempo non riuscì a trovarne, così in seguito inviò dei messi perché lo cercassero in Grecia. I messi a stento infine giunsero a Corinto, lo cercarono e lo trovarono dal corinzio Architele, che per molto tempo ne aveva acquistato un po’ per volta e ora era in possesso di un tesoro non da poco. Dunque Architele vendette ai messi di Ierone tutto l’oro che volevano; poi riempì la propria mano con quanto poteva tenerne e lo aggiunse come regalo per essi. In cambio Ierone inviò dalla Sicilia una nave carica di grano e molti altri doni.
Fenia, nella sua opera I tiranni di Sicilia, riferisce le stesse cose, cioè che anticamente le offerte votive erano di bronzo, si trattasse di tripodi, di lebeti o di pugnali. Aggiunge che su uno dei pugnali c’era questa iscrizione:
Guardami; in verità nella larga fortezza di Ilio io ero, quando per Elena dalla bella chioma lottammo;
mi possedeva il signore Elicaone, figlio di Antenore; ora mi ha il sacro suolo del figlio di Latona”.
125
Arist., Rhet., 1390b, 21-31.
Ateneo, dunque, riconduce la notizia delle offerte votive a Delfi sia a Fenia di Ereso che a Teopompo, il quale in diversi frammenti dei Philippika si era soffermato proprio sul santuario e sulle sue offerte votive127.
Gli studiosi, perciò, si sono chiesti se tra i due autori citati potesse esistere qualche rapporto. Secondo Wehrli128, Ateneo avrebbe citato Teopompo e Fenia per il tema della povertà d’oro e d’argento che caratterizzava anticamente le offerte votive dell’oracolo di Delfi. Fenia sarebbe stato interessato a questo tema solo per mettere in risalto, forse criticandole, la ricchezza e lo splendore che caratterizzavano, invece, la corte dei tiranni siciliani. Dunque, al peripatetico andrebbero attribuite, secondo Wehrli, la citazione iniziale, in cui appare insieme a Teopompo, e la parte finale che contiene anche l’iscrizione che era leggibile su uno dei pugnali; la parte rimanente del passo sarebbe una citazione da Teopompo. Wehrli, inoltre, pensava che Fenia avesse parlato solo delle offerte di Gelone e dubitava, perciò, che egli avesse raccontato sia delle offerte di Ierone, in quanto riteneva l’espressione τοῦδ’ Ἱέρωνος τὰ ὅµοια un’aggiunta di Ateneo, sia di quelle di Gige e di Creso, in quanto le loro offerte votive non rientravano nel reale soggetto del suo racconto. Zecchini, invece, ha avanzato l’ipotesi che Ateneo possa aver citato Teopompo attraverso Fenia129. In effetti, questa ipotesi non è da escludere totalmente perché è noto che l’opera di Teopompo doveva essere conosciuta da Aristotele e, di conseguenza, anche dagli altri membri della scuola130.
La notizia dell’invio di doni a Delfi da parte di Gelone è presente anche in Diodoro Siculo: l’autore della Biblioteca storica racconta che, dopo la vittoria di Imera sui Cartaginesi, Gelone costruì con il bottino di guerra due templi in onore di Demetra e Kore e un tripode d’oro del valore di sedici talenti che fece portare nel temenos di Apollo a Delfi131. Anche Diodoro, dunque, ricorda il tripode d’oro offerto da Gelone ad Apollo e colloca l’avvenimento durante le guerre persiane. Diodoro, in particolare, lo pone, forse seguendo Timeo132, subito dopo la battaglia di Imera133, avvenuta contemporaneamente a
127 Theop., FGrHist 115 F 336, 334, oltre al F 193 riportato da Ateneo. A Teopompo, inoltre, viene attribuita
un’opera relativa ai tesori sottratti al santuario di Delfi (FF247-249). Cfr. FLOWER 1997,pp. 36-37.
128 Wehrli, IX p. 30. 129
ZECCHINI 1989,pp. 53 e 202.
130 O
CCHIPINTI 2011,pp. 291-307.
131 D.S., XI 26,7. All’invio di chremata a Delfi da parte di Gelone allude anche Erodoto in due passi (VII
163, 165) che si ritiene derivino da due diverse tradizioni, la prima ostile e la seconda favorevole al tiranno siracusano. Su questi passi cfr. MILLINO 2001b, pp. 141-155.
132 MEISTER 1967,pp. 82ss.; PEARSON 1987,pp. 128ss. 133
ADORNATO 2005,pp. 395-420, sostiene che l’offerta di Gelone andrebbe connessa con la conquista di Megara Iblea nel 485 a.C e che la datazione di Diodoro, connessa alla vittoria ad Imera, sarebbe frutto di un
quella delle Termopili134. Da un passo della Poetica di Aristotele sappiamo, però, che lo Stagirita aveva accolto la tradizione, riscontrabile in Erodoto135, secondo cui la battaglia di
Imera fu contemporanea a quella di Salamina136. Dal momento che il passo di Ateneo data l’episodio genericamente al “tempo in cui Serse invadeva la Grecia” è difficile stabilire quale delle due versioni seguisse.
Per quanto riguarda, invece, l’offerta di Ierone, alcuni studiosi hanno ipotizzato che essa potesse rappresentare un charisterion per la vittoria della battaglia di Cuma nel 474 a.C., evento di fama simile a quella della battaglia di Imera137. Secondo Privitera138, invece, l’offerta del tripode a Delfi da parte di Ierone potrebbe essere collegata alla vittoria dei giochi pitici del 470 a.C., di cui conservano memoria i versi di Pindaro e Bacchilide139.
Pertanto, “gli anathemata d’oro dedicati dai Dinomenidi nel santuario di Apollo a Delfi erano destinati a perpetuare nel tempo e nello spazio il successo dei tiranni tanto in battaglia, quanto nelle gare di corsa nei grandi santuari della Grecia”140.
Ad un momento successivo alla battaglia di Imera fa riferimento anche un frammento del Περὶ Τυρρηνῶν di Teofrasto che è trasmesso da uno scolio alla seconda Pitica di Pindaro. In esso si racconta, appunto, che dopo la battaglia di Imera, Gelone impose ai Cartaginesi di smettere di praticare sacrifici umani141; lo stesso scolio aggiunge, poi, la
testimonianza di Timeo, secondo il quale il tiranno di Siracusa impose ai Cartaginesi di pagare un tributo142.
Le due fonti principali relative alla battaglia di Imera sono Erodoto143 e Diodoro Siculo144. Ma nessuno dei due, al termine della battaglia fa riferimento a particolari
richieste imposte ai Cartaginesi da Gelone. Secondo Maddoli, l’imposizione di mettere fine ai sacrifici umani troverebbe riscontro in una richiesta simile che Giustino attribuisce al re
suo fraintendimento. È, però, proprio il passo di Ateneo, che, come si è visto, colloca pure l’evento durante le guerre persiane, a far escludere una datazione più alta al 485 a.C. Cfr. PRIVITERA 2014,p. 183.
134
D.S., XI 24, 1. Sulla contemporaneità delle battaglie di Imera e delle Termopili, come tentativo di rivendicazione della precedenza dei Greci d’Occidente nella lotta contro i barbari, cfr. VATTUONE 1991,pp.
75ss, che la attribuisce a Timeo.
135 Hdt., VII 166.
136 Arist., Poet., 1459a 25: ὥσπερ γὰρ κατὰ τοὺς αὐτοὺς χρόνους ἥ τ' ἐν Σαλαµῖνι ἐγένετο ναυµαχία καὶ ἡ ἐν
Σικελίᾳ Καρχηδονίων µάχη …
137
PRIVITERA 2003,p. 402 n. 8.
138 P
RIVITERA 2014,p. 179.
139 Pind., Pyt., I; Bacch., IV. 140 PRIVITERA 2014,p. 185. 141 Theophr., fr. 586 Fortenbaugh. 142 Tim., FGrHist 566 F20. 143 Hdt., VII 165-167. 144 D.S., XI 20,1-22,6.
Dario145; se la testimonianza di Teofrasto fosse attendibile, essa andrebbe interpretata, secondo lo studioso, alla luce di un motivo propagandistico portato avanti per rappresentare Gelone, agli occhi dei Sicelioti, come colui che tutelava i diritti umani contro le degenerazioni dei barbari. Tale motivo, inoltre, ben si adeguerebbe alla politica religiosa perseguita dal tiranno146.
Champion, nel suo commento ai frammenti di Timeo raccolti nella New Jacoby, ricorda un passo delle Storie di Erodoto in cui si racconta che, in seguito ad una battaglia navale vinta contro i Focesi, gli Etruschi di Cere sacrificarono i prigionieri di guerra147. Pertanto, forse era nel contesto di una discussione sui sacrifici umani etruschi che Teofrasto menzionava il divieto di Gelone contro la pratica cartaginese. Poco si può dire su quest’opera di Teofrasto; non compare, infatti, nella lista di opere di Diogene Laerzio148. Forse era collegata agli Historika Hypomnemata citati dallo scoliasta a Apollonio Rodio149. In ogni caso l’ingiunzione di Gelone ai Cartaginesi contro i sacrifici umani sarebbe stata congeniale a Timeo, che era sempre desideroso di rappresentare i Greci di Sicilia come promotori dell’ellenismo150.
4. Dionisio I
Dionisio I occupa una posizione di rilievo sia all’interno delle riflessioni di Aristotele, che nelle opere di altri membri del Liceo. In realtà, fu più in generale l’Atene del IV sec. a.C. a mostrare un particolare interesse per la figura del tiranno siracusano: al primo decennio del IV secolo risalgono alcuni tentativi ateniesi di avvicinarsi a Siracusa soprattutto in funzione antispartana151, e nel 388 a.C. Platone compie il suo primo viaggio
in Sicilia; nelle opere dei comici ateniesi si trovano varie allusioni a Dionisio I152, così
come a lui si riferiscono più di una volta anche oratori, quali Lisia e Isocrate153.
Tutto ciò ha avuto come conseguenza l’affluenza ad Atene di cospicuo e variegato materiale relativo al tiranno di Siracusa e alla sua famiglia, parte del quale è confluito nelle opere della scuola di Aristotele: accenni a Dionisio I si trovano nella Politica e nella 145 Iust., XIX 1, 10-12. 146M ADDOLI 1979,p. 47. 147 Hdt., I 166-167. 148 D.L., V 42-50.
149 Schol. ad Apoll. Rod., IV 834.
150 CHAMPION 2016,F20.Sulla connotazione molto positiva che presenta la figura di Gelone in Timeo cfr.
soprattutto VATTUONE 1991,pp. 159-177.
151Z
OEPFEL 1993,p. 51 s.; GIULIANI 1994,pp. 149-166; CULASSO GASTALDI 1995, pp. 155-157; ANELLO
1996, p. 383 s.; EAD.1997, pp. 111-130.
152
ZOEPFEL 1993,p. 52.
153V
Retorica, nelle Politeiai e negli Oeconomica, entrambe opere pseudoaristoteliche; di lui si
occupò senz’altro anche Fenia di Ereso ne I tiranni di Sicilia, opera che ci è pervenuta tramite pochi frammenti, di cui peraltro uno relativo a Dionisio I154; non è, invece, possibile, data l’esiguità dei frammenti, stabilire se ci fossero riferimenti al tiranno siracusano anche nell’altra sua opera, L’uccisione dei tiranni per vendetta.
Riferimenti al successore Dionisio II si trovano sempre nella Politica di Aristotele, soprattutto in relazione agli anni dello scontro con Dione, in un frammento di Clearco, incentrato sulla permanenza locrese del tiranno155 e in Teofrasto156; Demetrio Falereo, inoltre, secondo la tradizione, scrisse un’opera su di lui che non ci è pervenuta157.
Le fonti peripatetiche ci hanno trasmesso una serie di notizie molto eterogenee, che spaziano da riferimenti storici o economici a dati aneddotici. In realtà, sono proprio questi ultimi ad occupare un peso di rilievo all’interno della tradizione sui due tiranni siracusani158. Per quanto riguarda le notizie inerenti alla politica economica del tiranno siracusano, il maggior numero di queste deriva soprattutto dagli Oeconomica attribuiti ad Aristotele e da alcuni frammenti dell’Onomasticon di Giulio Polluce.