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Zaleuco e Caronda discepoli di Pitagora

Tabella cronologica

C APITOLO III I LEGISLATORI ANTICH

3. Zaleuco e Caronda discepoli di Pitagora

Mentre le testimonianze fin qui citate legavano i due legislatori, Zaleuco in particolare, all’ambiente cretese e spartano, nella stessa scuola aristotelica esiste un altro ramo della tradizione, che faceva di Zaleuco e di Caronda due discepoli di Pitagora e che fa capo soprattutto ad Aristosseno66, autore di diverse opere legate a Pitagora e al pitagorismo67.

La stessa tradizione si trova anche in Diodoro Siculo, il quale, all'interno del racconto della fondazione di Thuri, inserisce una digressione sulle leggi in cui fa riferimento sia a Caronda che a Zaleuco. Riguardo al legislatore locrese, l’autore della Biblioteca storica racconta appunto che egli “uomo di nobile famiglia, e particolarmente ammirato per la sua cultura, era stato discepolo del filosofo Pitagora”68. Diodoro prosegue, poi, passando in rassegna alcuni aspetti del codice di Zaleuco, al quale il legislatore aveva anteposto un proemio nel quale “sosteneva la necessità che gli abitanti della sua città credessero intimamente e pienamente all’esistenza degli dei”, i quali dovevano essere venerati in quanto “causa prima di tutto ciò che di bello e di buono vi è nella vita umana”, e che mantenessero una condotta “sempre conforme ai principi della giustizia e dell’onestà”69. Il

proemio proseguiva con altre indicazioni per i suoi concittadini, i quali non dovevano escludere la possibilità di riconciliarsi con persone verso le quali provavano sentimenti di odio, e con l’imposizione ai magistrati di giudicare evitando l’imparzialità70. A questo punto, nel capitolo 21, lo storico ricorda una serie di provvedimenti di Zaleuco, di cui alcuni avevano l’obiettivo di limitare il lusso o gli atteggiamenti immorali sia delle donne che degli uomini, altri regolamentavano ogni aspetto che poteva diventare oggetto di controversia71.

Come si può constatare, il racconto di Diodoro Siculo raccoglie informazioni su Zaleuco e sul suo codice che non rientrano tra quelle che abbiamo esaminato finora, a partire dall’estrazione sociale di Zaleuco che, come abbiamo visto precedentemente, era ricondotta da Aristotele ad uno status servile. Anche il proemio e il suo contenuto

65

ANDRIOLO 2008,pp. 14-15.

66 Aristox., fr. 43 Wehrli.

67 Ad Aristosseno sono attribuite una Vita di Pitagora (frr.11-25 Wehrli), una Vita di Archita (frr.47-50

Wehrli), Massime pitagoriche (frr.33-41 Wehrli) e Sulla vita pitagorica (frr.26-32 Wehrli).

68 D.S., XII 20,1. 69 D.S., XII 20, 2. 70

D.S., XII 20,3.

costituiscono una novità rispetto alle fonti ricordate in precedenza. Come ha mostrato puntualmente Mele, tutti i concetti che rientrano nel proemio riportato da Diodoro si ritrovano anche nelle Pythagorikài apophàseis di Aristosseno. Pertanto lo studioso ritiene che questa tradizione che fa di Zaleuco un discepolo di Pitagora risalirebbe ad una tradizione pitagorica di V secolo che era pervenuta ad Aristosseno attraverso i contatti che ebbe con il pitagorismo fliasio e con la Taranto di Archita72. La seconda parte del passo

diodoreo, invece, fa riferimento a norme apprezzate dai pitagorici ma che risalivano all’ambiente spartano; pertanto esse richiamano la legislazione di Locri che presentava legami con Sparta e che abbiamo visto far parte della tradizione locrese nota ad Eforo e ad Aristotele. Dunque, l’interpretazione finale dell’intero passo proposta da Mele è che “il rigetto della tradizione aristotelica del servo pastore ispirato da Atena è totale; quello della tradizione locrese ed eforea parziale: si salva il collegamento con Sparta, ma si contraddice in pieno l’idea di un legislatore primo a dare leggi scritte, visto che si trattava invece di un allievo di Pitagora, che non attinge quindi alle leggi di Creta e Sparta direttamente, ma attraverso Pitagora”73.

Sempre Diodoro, nei paragrafi immediatamente precedenti a quelli incentrati su Zaleuco, fa riferimento a Caronda, del quale afferma che fu il legislatore di Turi74 e al quale attribuisce una serie di leggi, quali la punizione dei vedovi che imponevano una matrigna ai loro figli e non permettevano loro di esercitare funzioni politiche, la punizione consistente nell’andare in giro cinti di tamarisco che colpiva gli accusati di calunnia, il divieto di cattive frequentazioni o di presentarsi armati in assemblea, l’obbligo per i disertori di rimanere per tre giorni nell’agorà indossando vesti femminili, la famosa legge del cappio che si utilizzava nel caso in cui qualcuno fosse intenzionato e riformare qualche legge, ecc…

Secondo Eraclide Pontico, però, il legislatore della polis panellenica era Protagora75. Per questo sulla notizia relativa al Caronda turino riportata da Diodoro Siculo sono state avanzate diverse ipotesi. Mele prima di tutto ritiene che si tratti di un altro Caronda differente rispetto al legislatore arcaico; inoltre, attribuisce a Timeo il fatto che Caronda abbia sostituito la figura di Protagora76. A Timeo ha pensato anche la Andriolo, la quale sostiene, in maniera forse non troppo convincente, che durante la sua permanenza ad Atene

72MELE 2013,pp. XX-XXI. 73

MELE 2016,p. 246.

74 D.S., XII 12,3 – 19,2. Riferiscono di un legame tra il legislatore e Turi anche [Plut.], curios., VIII 519 b-c;

Schol. Plat., Resp., X 599e; Theophr., F 97 Wimmer; Val. Max., VI 5 ext. 4; Themist., orat., II 31b.

75

Heraclid. Pont., fr. 150 Wehrli.

76 M

lo storico di Tauromenio potrebbe essere venuto a conoscenza della fama del legislatore catanese e aver, quindi, attribuito falsamente a lui il merito di aver dato una legislazione a Turi per motivi patriottici77.

Questa ipotesi è stata confutata dalla De Sensi Sestito, la quale non ritiene verosimile identificare in Timeo la fonte di queste notizie; semmai ritiene più probabile pensare che Diodoro abbia utilizzato Aristosseno come sua fonte per la sezione relativa a Zaleuco, e forse anche per quella su Caronda sostituito a Protagora, perché negava l’esistenza degli dei e riteneva che la legge avesse un fondamento umano e non divino. La studiosa, però, non esclude che questa tradizione abbia avuta un’elaborazione più tarda, da ricondurre all’ambiente stoico, se non alla figura di Posidonio78.

Certamente ad Aristosseno, però, risalgono le notizie secondo cui Pitagora e i suoi seguaci intervennero in diverse poleis della Magna Grecia e della Sicilia (Crotone, Sibari, Catania, Reggio, Imera, Agrigento e Tauromenio) liberandole dalle tirannidi e instaurandovi un nuovo ordine attraverso le legislazioni di Zaleuco di Locri e di Caronda di Catania79, che secondo questa tradizione, come abbiamo visto, erano considerati appunto discepoli di Pitagora. Questa testimonianza è chiaramente caratterizzata da anacronismi e imprecisioni80; la presenza di Tauromenio tra le città liberate da Pitagora, ne è un esempio (alcuni vi hanno voluto vedere l’influsso di Timeo, originario di quella città81). Per quanto

riguarda la citazione dei due legislatori in riferimento alle vicende appena raccontate, Mele ha giustamente evidenziato come non si tratti di un vero e proprio intervento di Zaleuco e Caronda, quanto di una riscrittura o revisione pitagorica delle loro legislazioni82. In effetti in alcuni passi di Giamblico Zaleuco e Caronda sono ricordati insieme ad altri legislatori (Timares o Timaratos operò a Locri con Zaleuco; a Reggio, che fa parte delle poleis liberate dai Pitagorici, risultano autori della sua costituzione, ovvero revisori della lesiglazione di Caronda, che secondo Eraclide Lembo era stata adottata dalla polis già da molto tempo, Teocle o Teeteto, Phitio, Elicaone, Aristocrate)83. Pertanto la notizia del discepolato pitagorico di Zaleuco e Caronda andrebbe interpretato supponendo che tali legislatori pitagorici abbiano utilizzato nelle poleis nelle quali erano intervenuti non le

77 A

NDRIOLO 1998,pp. 45-60.

78 DE SENSI SESTITO 1988,pp. 415-420; DE SENSI SESTITO 2016,pp. 280-282. 79

Aristox. FF17-18; Iamb., VP, 33-34; Porph., VP, 21.

80 M UCCIOLI 2002,p. 384. 81 GIANGIULIO 1991,p. 153. 82 MELE 2013,p. XIX. 83 Iambl., VP, 130; 172.

leggi originarie attribuite a Zaleuco e Caronda, ma “la riformulazione di quelle norme alla luce del magistero di Pitagora”84.

Per quanto riguarda il rapporto tra Zaleuco e Pitagora, Dicearco di Messina, un altro membro della scuola di Aristotele e contemporaneo di Aristosseno, sembra seguire, però, una diversa tradizione: in un passo riportato da Porfirio egli racconta, infatti, che Pitagora, dopo essere stato scacciato da Crotone, si rifugiò prima nel porto di Caulonia e poi si diresse a Locri, da dove gli abitanti del luogo, però, lo allontanarono, pur riconoscendo che egli fosse sophos e deinos, adducendo la motivazione che essi erano contenti delle loro leggi e non erano intenzionati a cambiarle85. Secondo Burkert questo passo dovrebbe risalire ad una tradizione che si contrapponeva polemicamente a quella seguita da Aristosseno, secondo cui Zaleuco era discepolo di Pitagora86. In effetti, i Locresi, che come abbiamo visto rivendicavano orgogliosamente il primato della loro legislazione, non potevano accettare una tradizione che rendesse il loro legislatore successivo e dipendente da Pitagora.

84

DE SENSI SESTITO 2016,p. 272.

85 Dicaearch., fr. 43 Wehrli, ap. Porphyr., VP, 56.

86 BURKERT 1972,pp. 105-106. Cfr. anche CORDIANO 1999;MUCCIOLI 2002,pp. 391-392. In relazione alle

differenze presentate dalla testimonianza di Aristosseno e quella di Dicearco sulle vicende di Pitagora e dei suoi discepoli, MELE 2013, pp. XVIII-XXIII ritiene più affidabile quella del Tarantino, in quanto era il

“portavoce non solo della più pura tradizione pitagorica della quale Senofilo e gli ultimi pitagorici erano appunto testimoni, ma anche di memorie sui fatti del pitagorismo a partire dalla metà del V in poi risalenti a testimoni e protagonisti diretti”; le notizie riportate da Dicearco, invece, che era estraneo al movimento pitagorico e che quindi le ricavava non dall’interno della scuola, ma da memorie orali degli abitanti dei luoghi che erano entrati in contatto con i pitagorici, sarebbero meno precise e attendibili, sebbene egli sia inserito da Porfirio (VP 56) tra gli storici akribèsteroi. Un’opinione opposta, che dà maggior credito a Dicearco invece che ad Aristosseno, è presente in MADDOLI 1973,pp. 53-62;MUSTI 1990,pp. 35-65;MUSTI

1991b,pp. 13-65;CORDIANO 1999,pp. 301-326;MUCCIOLI 2002,pp. 341-409. In particolare, MUSTI 1990e MUCCIOLI 2002,ripresi recentemente da DE SENSI SESTITO 2016,p. 270, sottolineano come la tradizione

seguita da Aristosseno tendesse a caratterizzare con toni particolarmente celebrativi e apologetici la figura di Pitagora. Il metodo biografico di Aristosseno, comunque, è stato recentemente rivalutato da SCHORN 2012, pp. 177-221.

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