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I PROFILI USURARI DELL’ANATOCISMO

USURARI DELLA COMMISSIONE MASSIMO SCOPERTO

DELL’ANATOCISMO

6.4. I PROFILI USURARI DELL’ANATOCISMO

Occorre precisare che l’anatocismo, sebbene è spesso trattato unitamente alla disciplina degli interessi ultralegali e viene ac- cusato di elevare cospicuamente il tasso d’ interesse, se utiliz- zato mediante forme attenuate si configura semplicemente ( come nel caso dell’anatocismo annuale) come un moltiplicato- re del debito molto meno incisivo rispetto ad un criterio che genera un tasso d’ interesse usurario o troppo elevato.

Inoltre si rammenti che gli artt. 820, 3°comma e 1282 c.c. stabiliscono il principio della normale remuneratività del dena- ro, secondo il quale il creditore ha diritto ai frutti sulle somme godute dagli altri e dal quale trae fondamento lo stesso anatoci- smo, finalizzato a tutelare il creditore dall’inadempimento del debitore all’obbligo di restituire il capitale maggiorato dagli in- teressi e, quindi, risarcirgli il danno per non aver potuto impie- gare anche gli interessi, ove fossero stati tempestivamente cor- risposti535. D’altra parte il codice civile, introducendo dei limiti all’operatività dell’anatocismo, si presuppone il fine di tutelare il debitore dalla possibilità che il creditore utilizzi la clausola anatocistica per conseguire un compenso usurario, o comun- que, sproporzionato rispetto al finanziamento prestato536.

Pertanto le uniche perplessità possono riferirsi al solo utilizzo della c.d. “capitalizzazione continua” ovvero quella maturata in tempi brevi (ogni trimestre per esempio) che, tra l’altro, è quel-

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Cfr. SCOZZAFAVA, Interessi moratori, Napoli, 1984. Si rimanda alla sub-nota 520, circa la differenza tra capitalizzazione e anatocismo.

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Non a caso alcuni autori hanno ritenuto che l’anatocismo sia un problema atti-

nenti ai soli interessi scaduti, ovvero agli interessi moratori, indipendentemente dal fatto che la disciplina dell’anatocismo si riferisca a tutte le tipologie di interessi sia- no essi corrispettivi, compensativi e moratori. Cfr. FEDELE, op.cit., p. 52

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la praticata dalle banche nell’ultimo cinquantennio e l’unica ad essere in grado di aumentare i tassi d’interesse in modo consi- stente oppure di realizzare contratti usurari537.

In aggiunta occorre sottolineare quanto detto in materia di CMS, ossia che l’anatocismo veniva regolarmente applicato anche agli altri costi che, computati al capitale iniziale e agli interessi, aumentavano esponenzialmente il debito.

Attualmente la disciplina antiusura approntata dal legislatore nel 96’ unita alle precedenti disposizioni del T.U.B. in materia di trasparenza e pubblicità del costo complessivo del credito sembrano poi aver posto fine alla prassi bancaria che riteneva sufficiente per adempiere all’obbligo legale di indicazione del tasso degli interessi mediante il semplice rinvio per relationem alle clausole c.d. “uso piazza”538

. Questa lacuna veniva giusti- ficata in considerazione dell’art. 1284, 3°comma, c.c. che, non disponendo necessariamente l’indicazione in cifre del tasso d’interesse all’interno del documento contrattuale, ammetteva implicitamente il ricorso alle clausole “uso piazza”. Attraverso questo rinvio le banche, non solo non consentivano al cliente la concreta possibilità di conoscere preventivamente o anche suc- cessivamente il metodo di calcolo degli interessi, ma potevano contare su una infinita discrezionalità nel determinare il tasso d’interesse che, a dispetto di quanto dovrebbe significare il termine “uso piazza”, permetteva ad ogni singolo istituto di credito di applicare una diversa misura degli interessi539.

537 Cfr. DAGNA, op.cit., p. 205

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Cfr. TETI, op.cit., pp. 105-106, il quale nota che il divieto di rinvio agli usi non

può essere inteso come divieto per qualsiasi forma di relatio per la determinazione del tasso d’interesse , piuttosto bisogna confermare l’opinione per cui il criterio uti- lizzato per la determinazione del tasso d’interesse non deve essere arbitrariamente fissato da una delle parti e deve essere tale che, attraverso essa, si possa individuare in maniera certa il tasso dovuto. Da ciò deriva la legittimità delle clausole maggior- mente diffuse per la determinazione degli interessi al tasso ufficiale di sconto, allo Euribor o al prime rate.

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Inoltre deve essere rilevato che la capitalizzazione trimestra- le, indipendentemente se si ritenga legittimata da un uso, è sempre stata strumentalizzata dalle banche al fine di esercitare finanziamenti usurari. E ciò non solo alla luce della nuova normativa antiusura introdotta nel 1996, ma anche a causa della antecedente disciplina codicistica che riteneva usurari quei fi- nanziamenti sproporzionati rispetto al debito iniziale, ai norma- li tassi di mercato e alla corrispettiva prestazione offerta dalla banca. Questo orientamento è stato confermato dalla giurispru- denza di legittimità, la quale affermò che, senza l’applicazione della clausola anatocistica, i tassi convenzionali sugli interessi passivi erano decisamente eccessivi, attestandosi intorno al 20 %540.

Purtuttavia, sembra evidente che se l’obiettivo del giudice di legittimità era quello di alleviare la posizione della clientela delle banche, esso è clamorosamente fallito. Infatti, con un semplice gioco sul tasso, negli ultimi quindici anni, il differen- ziale fra gli interessi pagati dal correntista e quelli corrisposte- gli dalla banca è enormemente aumentato, con la conseguenza di rendere quasi inutile l’equiparazione delle data di calcolo541

. La realtà è che l’anatocismo, se non applicato con cadenze troppo ravvicinate, non esprime quella connotazione negativa che molte associazioni dei consumatori ed esperti “demagoghi” gli hanno più volte affibbiato, non considerando il fatto che le banche vi potrebbero ovviare, come del resto hanno fatto, au- mentando il costo complessivo del credito attraverso l’imposizione di costi occulti e metodi di calcolo astrusi e in-

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Si veda in proposito Cass., 11 novembre 1999, n.° 12507; Cass., 30 marzo 1999,

n° 3096; Cass., 16 marzo 1999, n. 2374

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Si potrebbe dubitare che l’aumento del margine d’interesse serva in parte a paga- re i soggetti che hanno promosso le cause contro il sistema contestando la capitaliz- zazione trimestrale.

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comprensibili, o, più semplicemente, tramite un dilatamento dello spread tra interessi passivi e interessi attivi.

Meglio sarebbe qualificare l’anatocismo sulla base dei soli effetti prodotti, e di conseguenza vietarlo quando genera un ec- cessivo, e quindi intollerabile, aumento del debito, come nel caso della capitalizzazione trimestrale. Tuttavia, oggi, il limite soglia oggettivo e le disposizioni a tutela del consumatore rap- presentano dei rimedi abbastanza efficaci per il debitore, il qua- le a differenza del periodo antecedente al 1996, è certamente più tutelato542.

Non è certo un caso che, il recentissimo D.L. 24 giugno 2014, n° 91, ( c.d. “Decreto competitività”) sia stato oggetto di un “furbesco” e, attualmente, “orfano” emendamento, immedia- tamente abrogato a causa delle notevoli pronunce dell’ associa- zioni dei consumatori e di molti partiti politici, e la cui entrata in vigore avrebbe reintrodotto con legge statale l’anatocismo annuale.

Purtroppo l’intervento è stato censurato non tanto in base a delle valutazioni giuridico-economiche, ma in conseguenza ad una irrinunciabile reiezione sociale incline ad attribuirgli un accezione sempre e solo negativa.

Infine sembra evidente che non avrebbe alcuna importanza disquisire su una modalità di calcolo degli interessi se, e solo se, esistesse una disciplina dell’usura in grado di definire in modo certo e sicuro il “costo complessivo del credito” e, quin- di, stabilire quando e come una prestazione diventi usuraria. Affinché questo sia possibile però si renderebbe necessaria una revisione della normativa antiusura, con specifico riferimento al ruolo della Banca d’Italia nella tipizzazione e nella regola- zione dei costi.

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CONCLUSIONI

A distanza di quasi un ventennio dall’entrata in vigore della L. 108/96 devono trarsi le conclusioni generali sulla reale por- tata applicativa della nuova disciplina antiusura. Inoltre, è pos- sibile anche pronunciarsi e riflettere sui massimi profili pro- blematici che intercorrono tra banca e cliente, che questo ela- borato ha tentato di esaminare e, per quanto possibile, risolve- re.

Con specifico riferimento alla nuova disciplina dell’usura è stato evidenziato come l’eliminazione del requisito dell’ << approfittamento dello stato di bisogno >> abbia rimediato alle alla mancanza di determinatezza e tassatività del previgente art. 644 c.p.

Ogni ordinamento in tema di usura, ha due possibilità: fissare un limite oltre il quale si applica la disciplina antiusura oppure non prevedere alcun limite, lasciando che sia il mercato a deci- dere quali siano i soggetti degni di credito, e quindi, rimettendo alle discrezionalità del giudice la determinazione del quantum dell’usurarietà.

Il nostro ordinamento ha optato per la prima soluzione, intro- ducendo un tasso soglia che, in caso di superamento, integra la fattispecie criminosa dell’usura ex art. 644 c.p., con il parados- sale effetto di escludere dal mercato del credito bancario debi- tori molto rischiosi, ai quali non rimane che ricorrere al credito “ illegale”, finanziato dalle organizzazioni criminali o da pri- vati liberi da qualsivoglia controllo normativo.

Con riguardo ai fisiologici ma devastanti effetti prodotti dall’oggettivizzazione del reato di usura, occorrerebbe che il legislatore adottasse ulteriori soluzioni preventive, nell’ottica di un diritto non più finalizzato a tutelare il solo bene indivi-

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duale ( rappresentato dal patrimonio dell’usurato), ma proteso a garantire le regole del mercato nonché un più facile ricorso al credito che, per esempio, preveda un differenziale tra gli inte- ressi attivi e passivi assai più equo. L’adozione di nuove politi- che concorrenziali, e l’apertura al mercato internazionale, in concomitanza all’acquisita consapevolezza dei consociati sul funzionamento del mercato del credito, potrebbero rappresenta- re l’inizio di un processo finalizzato alla riduzione e alla traspa- renza dei prezzi che gravano su un servizio bancario, evitando così il ricorso agli strozzini e alle organizzazioni criminali.

Inoltre, sebbene sia lodevole il tentativo di oggettivizzare il reato di usura, permangono delle perplessità con riguardo al comma 3 dell’art. 644 c.p., nella parte in cui stabilisce che sono usurari gli interessi, anche se inferiori alla soglia, e gli altri vantaggi o compensi, che, avuto riguardo alle concrete moda- lità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati. L’intento perseguito dal legislatore è chiaro: evitare la creazione di settori coperti da impunità legislative e vuoti normativi. Se questo è vero, è al- trettanto vero che sarà molto difficile individuare e definire i requisiti delle “ operazioni similari” e delle “ modalità del fat- to” in quanto sono privi di parametri certi e, anche, mini- mamente determinati.

Questo è il motivo per cui si auspica un intervento del legisla- tore in materia di usura “ infrasoglia” e reale, che si preoccupi di correggere le violazioni del principio di determinatezza e tassatività della norma penale, evitando di affidare nuovamente ai giudici l’inquadramento e la determinazione di questi requi- siti, così come denunciato prima della riforma 96’.

Altra novella legislativa che si ritiene opportuna e doverosa riguarda le contradditorie e anomale conseguenza civilistiche

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prodotte dall’usura. In particolare, vorrei insistere sull’ampio spettro di sanzioni che il codice civile prevede contro l’eccessività/usurarietà dei finanziamenti e/o prestiti, che sem- brano aver creato un contrasto fra le usure civili ( al plurale) e la “usura pecuniaria” ( al singolare). Intendo dire che, entro una dimensione civilistica, tanto ordinamentale quanto sistematica, le usure civili ( al plurale) hanno sempre riguardato, e conti- nuano a riguardare, ogni sproporzione eccessiva e/o iniqua, ma, a fronte di tale minimo comune denominatore, il legislatore è intervenuto in modo diverso in relazione a fattispecie astratta- mente e concretamente diverse.

Così, per fare un primo esempio, il divieto del patto commis- sorio (art. 2744 c.c.) sanziona con la nullità un accordo palese- mente eccessivo e/o iniquo.

La riducibilità della penale eccessiva, al contrario, non è san- zionata con la nullità della stessa clausola, ma consente sol- tanto, appunto, di ridurre equitativamente l’ entità dell’obbligazione penale dovuta.

Ed ancora la rescindibilità del contratto lesionario ( art.1148 c.c.), paradossalmente, non solo è cosa ben diversa dalla nullità ( peraltro di un contratto concluso in stato di bisogno e con una lesione ultradimidium), ma è anche una dichiarazione di ineffi- cacia di tale contratto che è vista dal legislatore del 42’ con un evidente “sfavore” (così ad esempio la prescrittibilità di un an- no sia dell’ azione, sia dell’eccezione). E se quest’ultima con- siderazione riguarda in senso stretto i riflessi civilistici dell’usura, sembra che il legislatore non abbia adeguato l’istituto della rescissione del contratto di cui all’art. 1148 c.c. al nuovo volto assunto dal delitto di usura, spogliato oramai di qualsiasi riferimento alle condizioni soggettive dei contraenti.

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Infine, ma la campionatura delle usure reali non si ferma cer- to qui, la stessa risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenu- ta presuppone, appunto, una sproporzione sopravvenuta e dun- que un’usura ( in senso civilistico) certamente non voluta dalle parti ma non ritenuta meritevole di tutela, con buona pace della tradizionale teoria dogmatica della c.d. “commutatività” dei contratti.

A fronte di tali precedenti fattispecie e di altre, che per brevi- tà non ho richiamato, l’ipotesi di usura di cui mi sono occupato nel presente lavoro trova nell’ordinamento un’ulteriore artico- lazione di specie: l’interesse usurario stipulato entro un mutuo ( bancario o no che sia) apparentemente porta alla nullità par- ziale del contratto, in realtà porta ad una discussa e discutibile conversione legale della stessa clausola degli interessi.

Infatti se si trattasse di nullità parziale in senso strettamente tecnico ne resterebbe pregiudicato l’ intero contratto di mutuo perché è evidente, specie in presenza di mutuo bancario, che senza la clausola degli interessi il mutuante ( professionista dell’intermediazione bancaria) non avrebbe concluso il con- tratto così come si ricava dal primo comma dell’art. 1419 c.c.

Tantomeno, malgrado le apparenze, si può fare ricorso al se- condo comma dell’ art. 1419 c.c. in quanto la sostituzione di diritto di una clausola nulla dovrebbe soggiacere ad una logica civilistica di scambio equo e di giusto corrispettivo, ma così non è più dopo la riforma della legge antiusura che ha modifi- cato il secondo comma dell’ art. 1815 c.c. in tema di interessi usurari nel mutuo.

In realtà, almeno sotto un profilo strettamente tecnico, mante- nere valido il contratto di mutuo e ritenere non dovuto alcun interesse è una vera e propria conversione legale dello stesso contratto da accordo a titolo oneroso in accordo a titolo gra-

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tuito: e ciò, condivisibile o meno che sia sul piano giuridico, ma non certo sul piano economico e tantomeno bancaristico, esprime una volontà sanzionatoria del legislatore prevalente- mente afflittivo-penalistica, non già commutativo-civilistica.

Il presente lavoro ha inoltre esaminato il problema dell’usura sopravvenuta, dell’usurarietà degli interessi moratori, della le- gittimità/usurarietà della CMS e dell’anatocismo, fenomeni che hanno generato un ingente contenzioso tra banca e cliente, an- cora in atto all’interno delle aule giudiziarie.

Le origini di questo contrasto, se da un lato sono rappresenta- te dalla “indisturbata” discrezionalità della Banca d’Italia nella determinazione del costo complessivo del credito ( chiaramente contraria alla logica onnicomprensiva del costo del credito pro- pria della riforma del 96’), dall’altro sono semplice conseguen- za delle pedestri, e spesso, demagogiche tesi sostenute contro l’usura, che rendono evidente una scarsa conoscenza dei criteri di determinazione della soglia e, ancor più gravemente, del ge- nerale concetto di usura.

Per quanto riguarda i poteri della Banca d’Italia, bisogna premettere che le rivendicazioni dei clienti sono frutto di una

maggiore consapevolezza di tutti i consociati e

dell’introduzione di nuove discipline poste a tutela della tra- sparenza e della pubblicità dei servizi bancari.

Molti giudici di merito hanno infatti apertamente contestato la discrezionalità della Banca d’Italia nella determinazione del tasso usurario a tal punto da attribuire ai Chiarimenti e alle

Istruzioni un valore para-normativo, ritenuto in contrasto con la

L. 108/96, nella parte in cui,per determinare il limite di usura- rietà degli interessi, attribuisce all’Organo di Vigilanza e all’UIC la mera facoltà di esprimere pareri al Ministro del Te-

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soro, e non certamente il potere di emanare atti con efficacia vincolante ed erga omnes.

Purtroppo l’elevato tecnicismo della materia, spacciato e spacciabile come mera interdipendenza economica tra le ban- che e lo Stato Italiano, ha creato un sistema in cui ampia di- screzionalità è attribuita alla Banca d’Italia nella determina- zione/misurazione dei costi e delle spese di un servizio banca- rio che, per esempio, ha consentito alle banche di applicare una commissione illegittima, qual è la CMS, e addirittura esclu- derla dal limite soglia trimestrale ai fini dell’accertamento dell’usurarietà, applicandovi una specifica e “apposita” soglia di usura.

Anche l’esclusione degli interessi moratori dalla disciplina antiusura è il prodotto del carattere autoritativo delle Istruzioni provenienti dalla Banca d’Italia, conseguendo una discutibile applicazione dell’istituto della riduzione giudiziale, anziché il rimedio molto più afflittivo previsto dall’art. 1815 c.c.

Ed ancora, la totale irrilevanza dell’usura sopravvenuta de- cantata dall’Organo di Vigilanza che, pur non potendo produrre effetti civilistici parimenti importanti a quelli prodotti dall’usura non sopravvenuta, meriterebbe, almeno, un adegua- mento in seguito all’introduzione del tasso soglia.

Si pensi poi alla sperequazione temporale in tema di capita- lizzazione fra cliente e banca, che aveva creato una ingiusta e incontrollata modalità di remunerazione delle competenze.

Per quanto riguarda invece gli aspetti demagogici, populisti e “ corporativi” riguardanti l’usura, è evidente la tendenziosità e la mancanza di coerenza ordinamentale nelle tesi di coloro che, schierandosi a favore del cliente, hanno operato delle vere e proprie forzature del dato legislativo che, tra l’altro, come di-

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mostrato nel presente lavoro, non hanno conseguito nemmeno alcun effetto a favore del contraente debole.

Si pensi alle tesi della Corte di Cassazione in tema di usura sopravvenuta, in base alla quale si dovrebbe applicare l’istituto della nullità, con conseguente conversione legale della clausola originariamente pattuita e solo successivamente divenuta usu- raria. È chiaro che, in questo caso, il rimedio della nullità è svincolato da qualsiasi elemento di diritto positivo in quanto commina una sanzione grave, qual è la nullità, disinteressan- dosi completamente della condotta ( lecita e legittima) del cre- ditore nella fase di formazione del contratto.

Anche le tesi di coloro che ritengono gli interessi moratori idonei a generare usura e, di conseguenza, soggetti alla disci- plina antiusura della L. 108/96, sembrano fuorvianti e, soprat- tutto, privi di qualsiasi pregio logico e matematico. Ritenere che gli interessi moratori siano degli elementi che devono ag- giungersi per la determinazione del tasso-soglia, è una soluzio- ne difficilmente condivisibile in quanto non tiene conto del fat- to che la mora è un “ accessorio” applicabile solo in una fase patologica del rapporto, certamente lontano dal riferimento dell’art. 644 c.p. che considera rilevanti le sole spese << colle- gate all’erogazione del credito>>.

E se poi si volesse sostenere, come d’altronde è stato sostenu- to, che gli interessi moratori, pur non andando a comporre il limite soglia, debbano soggiacere al suddetto limite, si adotte- rebbe una soluzione aritmeticamente scorretta e illogica. Non occorre infatti soffermarsi nuovamente sul fatto che il tasso di mora è il risultato della somma tra il tasso corrispettivo e una maggiorazione, detta spread e, inoltre, rappresenta il “prezzo” di un’obbligazione indipendente ed autonoma rispetto all’obbligazione degli interessi corrispettivi.

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Ed infine, la teoria dell’inesistenza dell’uso normativo che, a dire della Suprema Corte, porterebbe alla delegittimazione del- la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi riscos- si successivamente all’emanazione dal codice civile del 1942, e la cui fondatezza è minata da numerose argomentazioni di con- tenuto storico prima che logico, esaminate ampiamente nel ca- pitolo di pertinenza.

Malgrado quindi i tentativi del legislatore volti all’equilibrio di un rapporto “ originariamente” sproporzionato, gli operatori forensi sembrano solcare una strada impervia e, soprattutto, in- trisa di antinomie e di gravi incoerenze, frutto di una improdu- cente lotta tra due fazioni, piuttosto che conseguenza naturale di un dibattito finalizzato alla ricerca dell’equilibrio e della “giustizia” contrattuale.

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BIBLIOGRAFIA

La presente bibliografia contiene i testi che ho maggiormente utilizzato, o anche semplicemente consultato, arricchita di qualche altro titolo utile per ulteriori approfondimenti che mi auguro di poter approfondire nel c.d. “post laurea”.

Per una migliore consultazione delle opere citate, ho preferito suddividere la presente bibliografia in tre parti principali: -A) nella prima parte ho raccolto i testi di carattere generale, vale a dire quelli nei quali in modo sistematico l’usura è trattata sia sul piano storico-normativo, sia sul piano tecnico- legislativo, sia sul piano, per così dire, “comparativo” di raf-