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LA SENTENZA N° 21095/2004 DELLA CORTE DI CASSAZIONE

USURARI DELLA COMMISSIONE MASSIMO SCOPERTO

DELL’ANATOCISMO

6.3. LA SENTENZA N° 21095/2004 DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Il confronto fra l’art. 1815 e 1283 c.c., soprattutto alla luce della ricostruzione storico-giuridica dei previgenti codici, non può che portare ad un’analisi della celeberrima sentenza della

saldo diviene la prima rimessa di un nuovo conto ( art. 1852) che, come tale, produ- ce interessi. Invece nel conto corrente bancario non è così perché per il correntista il saldo è immediatamente disponibile ( art. 1852 c.c.) e per la banca lo diviene in se- guito al recesso dal contratto di conto corrente

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In dottrina si ritiene inoltre percorribile un’altra via, sostenendo che il problema

non sussisterebbe assolutamente in quanto tanto nel conto corrente bancario quanto in quello ordinario si configuri un fenomeno diverso dall’anatocismo, costituito pro- prio dalla capitalizzazione. Nell’anatocismo gli interessi producono a loro volta inte- ressi, invece nella capitalizzazione gli interessi vengono periodicamente trasformati in capitale , ed in conseguenza di ciò, producono a loro volta interessi. Di conse- guenza, nel momento in cui il legislatore ha previsto anche nel conto corrente banca- rio un’operazione volta alla quantificazione periodica del saldo, ha riconosciuto la legittimità del trasformarsi periodico degli interessi in capitale, e, quindi, la possibi- lità che il montante capitale più interessi (saldo) produca gli interessi pattuiti. Così TETI, op.cit., p. 116

520 Tuttavia secondo taluni il problema sarebbe assai più semplice in quanto non ci si

troverebbe di fronte ad un uso, ma ad una clausola contrattuale, nulla perché conve- nuta in deroga alla legge. Posto che non è comprensibile il motivo per cui un uso non possa confluire in una clausola contrattuale, sembra un orientamento tardivo e modesto poiché, se così fosse, non si sarebbe mai preso in considerazione il fatto che per decenni i clienti bancari stessero stipulando contratti con clausole nulle solo per- ché contrarie alla legge. Inoltre non pare scorgere in questa osservazione la com- prensione dell’art. 1831 c.c.

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Corte di Cassazione sulla presunta inesistenza dell’uso della capitalizzazione nei contratti bancari521. Precisamente, occorre comprendere i motivi per cui la Suprema Corte, ritenendo ine- sistente l’uso della capitalizzazione, abbia stabilito la nullità della clausola anatocistica in quanto costituirebbe, in sostanza, un abuso di posizione dominante della banche.

Svolgendo un ragionamento di tipo sillogistico, promosso dalla stessa Corte, in cui la premessa maggiore è costituita dal principio secondo il quale soltanto gli usi normativi possono derogare alla legge, ossia quelli che consistono nella “ ripeti-

zione generale, uniforme, costante e pubblica di un determina- to comportamento, accompagnato dalla convinzione che si tratta di un comportamento…giuridicamente obbligatorio…”,

e quella minore dalla costatazione che “ dalla comune espe-

rienza emerge che i clienti si sono nel tempo adeguati all’inserimento della clausola anatocistica… in quanto com- presa nei moduli predisposti dagli istituti di credito, in confor- mità con le direttive dell’associazione di categoria, insuscetti- bili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione costitui- va al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari.” risulta evidente che i clienti avessero un “at- teggiamento psicologico ben lontano da quella spontanea ade- sione a un precetto giuridico in cui, sostanzialmente, consiste l’opinio iuris ac necessitatis, se non altro per l’evidente dispa- rità di trattamento che la clausola stessa introduce fra interessi dovuti dalla banca e interessi dovuti dal cliente”.522

Il sillogismo creato dalla Corte di Cassazione spiega con chiarezza il motivo di annullamento della clausola, causato, in

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Per un’analisi approfondita delle argomentazioni propugnate dalla Corte di Cas-

sazione e delle controdeduzioni e critiche mosse da parte della Banca d’Italia. V. DAGNA, op.cit., p. 238 ss.

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Cass., Sez. Un., 4 novembre, n° 21095 in Dir. Banca e mercato fin. 2004, 645

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sostanza, dall’inesistenza dell’elemento soggettivo che difetta proprio per l’evidente sperequazione nel metodo di calcolo fra banca e cliente. Questa differenza di trattamento diverrebbe quindi la giustificazione del fatto che nei contratti di conto corrente ordinario, ci si trovi di fronte ad uso diverso rispetto a quello praticato nei contratti di conto corrente bancario523. E non è forse un caso che il giudice di legittimità abbia utilizzato la formula della sperequazione per negare l’esistenza dell’uso e, proprio tramite questo espediente coglie le ragioni che ne negano l’esistenza.

Quale prova incontrovertibile dell’assunto, è il caso di ram- mentare che la presente regolamentazione della capitalizzazio- ne degli interessi sui conti correnti bancari promana dalla nota delibera del Cicr del 9/2/2000 che, lungi dal sopprimerla, ha semplicemente equiparato le cadenza di liquidazione degli inte- ressi attivi e passivi, il che è parso sufficiente, almeno fino al 1999, al giudice di legittimità per ritenere suddetto sistema di calcolo conforme a diritto e non contrastante con l’art. 1283 c.c.524

Dunque, tornando alla premessa del precedente paragrafo, non sembra che la Corte di Cassazione abbia voluto negare in generale l’uso della capitalizzazione, limitandosi unicamente a censurare un uso specifico nel contratto bancario, al quale mancherebbe il crisma della spontanea adesione da parte della clientela525. Contrariamente non sembrano esservi dubbi sull’esistenza dell’elemento oggettivo, il quale è di così palese

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Cfr. FRANCESCHETTI, MARASCA, Le obbligazioni, Santarcangelo di Roma-

gna (RN), p. 528

524

Per un’analisi approfondita delle novità introdotte dalla Delibera V. DI NAPOLI,

op.cit., pp. 145-146

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Come correttamente notato la difficoltà di ipotizzare una spontanea adesione a

disposizioni che aggravano le condizioni del cliente/consumatore impedirebbe di fatto la formazione di qualsiasi consuetudine contraria al disposto dell’art. 1283 c.c. In tal modo l’interprete si sostituirebbe al legislatore, modificando l’incipit dell’art. 1283 c.c. Cfr. CAPALDO, op.cit., p. 107

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e lapalissiana evidenza da non poter formare oggetto di alcuna contestazione.

Tuttavia, tornando a quella premessa maggiore, secondo la Suprema Corte, per derogare alla legge si renderebbe necessa- ria la ricorrenza di un uso unicamente normativo, tra l’altro, so- lo se appuratane l’esistenza specificatamente per il contratto bancario. Questa soluzione non può restare esente da critiche, non solo per l’espresso riferimento agli usi commerciali previ- sti dall’abrogato codice di commercio, ma anche perché sem- bra difficile cogliere il motivo per cui nel codice di commercio bastavano gli usi commerciali e invece nell’attuale codice civi- le non siano minimamente sufficienti, e addirittura neppure de- gni di citazione nelle parole della Corte526.

La chiave di volta sarebbe quella di comprendere il motivo per cui il legislatore del 1942 non avrebbe voluto qualificare gli usi in deroga di commercio, come d’altronde era previsto dal codice di commercio abrogato. Ciò lo si spiega prendendo in considerazione il fatto che se il legislatore avesse davvero rite- nuto quegli usi attinenti alla sola sfera dei rapporti commercia- li, non avrebbe avuto alcun senso mantenerli genericamente sotto la più semplice denominazione di “usi” in quanto una sif- fatta traduzione non poteva che impedire l’esplicazione degli effetti dell’uso nei soli rapporti commerciali.

Suddetta volontà legislativa è confermata anche

dall’originario testo della disposizione di cui all’art. 1232 c.c. (ora 1283 c.c.) dettata dalla commissione reale (art. 103 del re- lativo progetto) così prevedeva: << Gli interessi scaduti dei ca- pitali non possono produrre interessi se non per effetto di una

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La corte di Cassazione ha avuto occasione di statuire che l’uso negoziale consiste

“ nella semplice reiterazione di comportamenti ad opera delle parti di un rapporto contrattuale, indipendentemente non solo dall’elemento psicologico, ma anche dalla ricorrenza del requisito della generalità”. Inoltre l’efficacia “è limitata alla crea- zione di un precetto del regolamento contrattuale, che si inserisce nel contratto sal- vo diversa volontà delle parti”

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domanda giudiziale o per accordo posteriore alla scadenza di essi, purché, in ogni caso, si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi. Sono salve le disposizioni di altre leggi e gli usi del commercio>>527.

La precedente disposizione rende evidente che la soppressio- ne dell’aggettivo commerciale da parte del legislatore trae ori- gine da ragioni di contenuto diverso, e soprattutto, opposte, poiché in linea con la volontà di voler semplicemente genera- lizzare l’uso. A diversa conclusione non si potrebbe pervenire perché se il legislatore non fosse stato consapevole che quegli usi erano tanto estesi da acquisire uno spessore normativo, avrebbe proceduto semplicemente all’eliminazione della dero- ga consuetudinaria528.

Inoltre una siffatta conclusione risulta coerente con quanto affermato nella relazione ministeriale al codice civile del 1942 in cui si ritenne che le regole sull’anatocismo sono << suscetti- bili di modificazione ad opera degli usi anche all’infuori del campo commerciale>>, sulla base della considerazione che l’anatocismo prima dell’entrata in vigore del codice civile del 1942 era materia ampiamente regolata dagli usi529.

Per quanto riguarda la premessa minore avvalorata dalla Su- prema Corte, è evidente che almeno fino agli anni 90’, prima che intervenissero le innovazioni legislative in materia crediti- zia e le nuove interpretazioni giurisprudenziali sul generale quadro di riferimento delle obbligazioni bancarie, la generale convinzione dell’esistenza del precetto era molto diffusa e con-

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Cfr. DAGNA, op.cit., p. 209 528

Alla medesima conclusione si potrebbe pervenire analizzando l’art. 1232 dell’abrogato codice civile che rinviava per le obbligazioni commerciali agli usi e alle consuetudini. Infatti l’eliminazione del termine consuetudini potrebbe far pensa- re che oggi la deroga è costituita dai soli usi commerciali e non da quelli normativi. Tuttavia per ragioni sistematiche è preferibile seguire la precedente tesi.

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solidata, tra l’altro e non a caso, dall’unanime giurisprudenza che ne aveva avvalorato l’esistenza530

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Inoltre si potrebbe fare ricorso al principio per cui l’adesione spontanea ad una norma non implica adesione gradita alla me- desima. Se si considerasse assente l’elemento soggettivo per il sol fatto che l’uso comporti nocumento o un gravame indeside- rato a carico del cliente, infatti, si perverrebbe ad una soluzione senza alcun pregio giuridico e, soprattutto, logico.

Posto che, dopo il mutamento dell’orientamento giurispru- denziale del 1999, gli interessi economici di una controversia relativa all’operatività della clausola anatocistica trimestrale sono assai consistenti, qualsiasi indagine ex post sui compor- tamenti della clientela bancaria in tema di accettazione di clau- sole contrattuali non potrebbe che sortire l’effetto di obbligare il cliente a dichiarare l’assenza dell’elemento soggettivo e, al contrario, la banca non potrà che schierarsi inevitabilmente in favore della sua esistenza. In tal modo l’indagine risulterebbe priva di qualsiasi merito, limitandosi ad elevare a criterio di qualificazione della condotta le querimonie dei contraenti pe- nalizzati dal precetto in questione.

Ovviamente questa deduzione e/o rischio è stato considerato dal giudice di legittimità nella parte in cui si è ritenuto che i contratti sono conclusi su moduli predisposti dall’associazione di categoria, la cui accettazione costituisce presupposto indefet- tibile per lo stesso accesso ai servizi bancari531.

530 Tra le più recenti si veda: Cass., 20 giugno 1992, n. 7571, in Giust. Civ. Mass.,

1992.

531 Alcuni autori addirittura, invertendo il ragionamento della Cassazione ( soprat-

tutto al fine di dimostrarne l’apoditticità) ha, inoltre, ritenuto che l’uniformità delle clausole in questione, in tutti i contratti bancari predisposti da tutti gli istituti di cre- dito, e l’immodificabilità attraverso la contrattazione individuale dovrebbe, al con- trario, ingenerare nel cliente la convinzione che tale inserimento avverrebbe proprio in conformità ad una regola cui gli istituti di credito non possano derogare. L’opinione è di NIGRO, L’anatocismo nei rapporti bancari tra passato e futuro, nota a Cass., 11 novembre 1999, n. 12507;

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Dunque, da un punto di vista strettamente empirico, è certa- mente impossibile dare la prova della qualificazione ex ante della condotta degli stipulanti, ovvero stabilire se quest’ultimi siano o meno stati convinti di adempiere ad un comando giuri- dico. Questo è il motivo per cui la Corte di Cassazione fonda la sua tesi su elementi del contesto bancario non direttamente probanti, ma capaci indubbiamente di offrire rilevanti spunti di riflessione e deduzione.

L’uso dei moduli contrattuali predisposti uniformemente dall’associazione di categoria uguali per ogni esercente del credito e l’impossibilità di accedere ai servizi bancari in difetto della loro sottoscrizione, sono indubbiamente indirizzi forti di una coercizione della volontà.

Inoltre anche la sperequazione tra interessi dovuti dalla banca e interessi dovuti dal cliente testimoniano come le banche ab- biano strumentalizzato quell’uso normativo dell’art. 1283 c.c. per applicare una clausola trimestrale molto più onerosa rispet- to a quelle che prevedono una cadenza semestrale.

Non è quindi altro che la disparità di trattamento che esclude l’esistenza dell’uso. Tuttavia, se davvero si eleva la sperequa- zione a motivo di esclusione, l’uso ortodosso e vigente succes- sivamente al 1942 non poteva che essere sempre quello della capitalizzazione trimestrale a favore e a sfavore delle banche532 che non avrebbero potuto sottrarvisi in quanto la condotta era improntata ad uso generale, e pertanto, obbligatorio anche per loro. Contrariamente, non sarebbero spiegabili le numerose sentenze emanate a favore dell’uso della capitalizzazione tri- mestrale, dopo il codice civile del 1942 ma prima delle nuove normative a tutela del consumatore.

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Inoltre alcuni autori hanno addirittura ritenuto errata la valu- tazione della Corte di Cassazione circa la mancata esistenza dell’uso della capitalizzazione trimestrale anteriormente alle N.U.B. del 1952, in quanto risalente addirittura, secondo questi ultimi, agli anni 20’ del secolo scorso533. Comunque, che la ca- pitalizzazione trimestrale sia una modalità sicuramente antece- dente al codice civile del 1942 è dimostrato dalla Circolare 7 gennaio del 1929, da parte della Confederazione Generale Bancaria Fascista, con la quale si stabilì che i conti dovessero essere regolati trimestralmente534.

Sembra doversi concludere che valutare ex post l’esistenza dell’uso normativo della capitalizzazione trimestrale sia prati- camente impossibile, meglio avrebbe fatto invece la Suprema Corte a procedere all’individuazione di un criterio che permet- tesse di risalire con certezza all’uso vigente dopo il 1942.

Di maggiore pregio sarebbe stato valutare gli usi di capitaliz- zazione trimestrale in tutti i contratti stipulati tra la banca e il cliente, e non solo quando quest’ultimo fosse un consumatore, ma anche nei casi in cui la controparte della banca fosse un’impresa multinazionale o magari un’altra banca. Tale inda- gine, se mai fosse stata considerata, forse, avrebbe potuto rifiu- tare la tesi dell’abuso della posizione dominante delle banche, e far crollare ogni argomentazione propugnata dalla Cassazione.

E poi, invece, ovvio che le tecniche volte a razionalizzare la gestione dei conti e ad incrementare il profitto del prestatore di denaro, sorgono proprio in ambito bancario, settore nel quale, a causa di un abuso delle tecniche di calcolo, la capitalizzazione

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Cfr. TETI, op.cit., p. 112

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Cfr. DAGNA, op.cit., p. 219, la quale nota che se fosse mai esistito un uso della capitalizzazione trimestrale, non avrebbe avuto alcun senso statuirlo con legge. Tut- tavia questa soluzione, sebbene fondata dal punto di vista teorico, sembra non potere fornire la prova materiale a favore della tesi che sostiene inesistenza dell’uso.

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meriterebbe di essere esclusa o, comunque, compressa e inevi- tabilmente sanzionata.